C’è un romanzo il cui titolo ha sempre esercitato su di me un fascino non indifferente: “Canzoni d’inverno” di Christian Floris, un titolo che è un po’ un ossimoro, perché uno le canzoni, non so perché, spesso se le immagina che fanno bene al cuore, gioiose; l’inverno invece non è che metta proprio addosso l’allegria. Il libro è la storia del trentatreenne Claudio (narrata da lui stesso), nomen omen, perché deriva dal latino e significa “claudicante”, e il suo percorso di vita in effetti non è proprio spedito, essendo un disoccupato cagliaritano risucchiato da quella crisi economica con cui facciamo i conti da un po’ di tempo; vive inoltre una separazione, quella da Lori, cose che già bastano a spiegare il termine “inverno” del titolo, che qui diventa una condizione dell’anima; “canzoni” si riferisce invece alla passione del protagonista per la musica: con gli amici Chix, Ciccio ed Enzo forma il complesso degli Avatar Robots, e allora è lo stesso personaggio principale a dire: “Schierate in battaglia, potrebbe succedere che, a scaldarmi il cuore, rimangano solo le mie canzoni d’inverno, di un inverno che chiude le porte, tarda ad andarsene, ghiaccia l’azione”.
Nell’esistenza di Claudio la spiritualità ha grande importanza, pur nella tormentata fede del protagonista (“Qualcuno non sa tutto e vede tutto, lassù, nascosto dietro le stelle, i pianeti, i sistemi solari, le galassie? Mi sbaglio e forse la mancanza di lavoro comincia a logorarmi. Ma ci sono selve incantate di domande a cui vorrei dare una risposta, prima di ricongiungermi al cielo.”); altra nota che contraddistingue il protagonista è l’attaccamento alla sua terra: Claudio resta lì, nonostante le prospettive di lavoro asfittiche; l’opera risulta prevalentemente ambientata a Cagliari, città dell’autore, la forza di questo personaggio è quella di essere un rappresentante di una generazione precaria, lo specchio dei tempi, un uomo così comune e perciò personaggio così straordinario. Il finale è spiazzante, per me dal terribile valore simbolico.
Dario Zizzo