Il lato fragile – Gaetano Savatteri

Il lato fragile” è il primo racconto con protagonista Saverio Lamanna.

Pubblicato nell’antologia “Vacanze in giallo“(2014) e riproposto nella raccolta “Quattro indagini a Màkari” (Sellerio, 2021), ci presenta un Saverio Lamanna che ha appena perso il lavoro di portavoce di un sottosegretario del Ministero degli Interni ‒ non meglio identificato se non come “grandissimo stronzo” ‒ e che, su due piedi, trasformatosi dall’indispensabile Lamanna al fallito Lacanna ‒ per tutto una questione di equivoci che non sto a spiegarvi ‒, è costretto a lasciare il suo comodo appartamento romano di ben 40 metri quadri per far ritorno in quella Sicilia da cui era fuggito anni prima.

Qui troviamo subito tutti gli altri personaggi che ricorreranno negli episodi a venire: Peppe Piccionello, che trovarlo nella borgata di Màkari, in cui sembra che una porta sì e l’altra pure ci sia scritto “Piccionello”, si rivela la prima impresa che al nostro Saverio tocca fronteggiare; Suleima Linch, la studentessa di Architettura venuta dal Nord che lavora come cameriera durante la stagione estiva e di cui Lamanna si innamora seduta stante; ma anche altri minori, ma comunque sempre presenti, come il vicequestore Randone e anche “Teresita” , che sembra più la voce della sua coscienza che un’app per imparare lo spagnolo.

Come è consuetudine degli episodi della serie di Lamanna, la vicenda da cui nasce l’indagine non è importante; quella che conta è la descrizione dell’umanità, della cultura di un popolo, quello siciliano, che ha regole e dettami che non stanno scritti da nessuna parte ma che non per questo sono meno stringenti e che chi in Sicilia non ci nasce può cercare di capire, ma difficilmente ci riuscirà.

L’omicidio c’è, ma lo troviamo quasi alla fine di questo primo episodio, e la risoluzione del caso è anche abbastanza veloce: l’indagine è quella che Savatteri fa sull’animo umano, non sulla scena del crimine.

Con Il lato fragile scopriamo perché Lamanna ha lasciato la Sicilia:

L’ultima volta era una sera di giugno del 1992. Un mese prima avevano ammazzato Falcone a Capaci. Nel chiostro di Casa Professa Paolo Borsellino parlò del suo amico Giovanni. Non ricordo bene le frasi, ma ho ancora presente la disperata tensione, la vertigine di stare sul ciglio del vulcano, le labbra strette di Costantino seduto alla mia sinistra e una macchia di caffè sul pantalone che cercavo di mandar via strofinandola con la saliva.

Qualcosa come rabbia, il furore di voler cambiare tutto. O forse quella sera cominciai a fuggire da Palermo, come ho fatto per il resto del mio tempo. Borsellino saltò in aria venti giorni dopo. Allora mi voltai e andai via.

Ma poi, ritornato in mezzo al traffico di Palermo, con i motorini che ti sorpassano a destra, il mulunaro, il venditore di pane e panelle, si rende conto che un siciliano appartiene per sempre alla sua terra, come disse già Pirandello; è un legame indissolubile, è la stessa consapevolezza che ebbe Ulisse in giro per il Mediterraneo: puoi conoscere mille posti, amare mille donne, ma sai sempre che c’è Itaca che ti aspetta e lì ritornerai. E questo lo disse Bufalino.

Alla fine, qual è il lato fragile?

Palermo è una città insanguinata. Lapidi, commemorazioni, strade, piazze, alberi. Tutto parla di morte. Tutto parla di mafia, ma parla anche di lotta eroica, grandiosa, titanica tra il bene e il male, tra i giusti e gli ingiusti. Tu lo sai che da una vita cerco di tenere insieme questo fronte. Ma il lato giusto è fragile, esposto alle ambizioni personali, ai fanatismi, alle cecità della buona fede, alla corruzione del potere.

Il lato giusto è fragile: per evitare che si rompa, bisogna mantenere gli equilibri tra bene e male, giusto e ingiusto; tutto il resto è utopia.

Savatteri ci dice che il bianco e il nero non esistono, nel migliore dei casi dovremmo farci andare bene una sfumatura di grigio, sperando che non sia troppo cupa.

Claudia Cocuzza