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Il mostro di Capri

Giugno 1884, il commissario capo della polizia del Regno Veneruso ha appena risolto un cruento assassinio avvenuto in un basso dei quartieri spagnoli in via Chiaia, che lo ha molto turbato e risvegliato la parte irrazionale che dorme in lui:

Veneruso credeva nei fantasmi, negli spettri e negli spiriti, nel malocchio, nelle fatture, nei maghi, nel potere delle cartomanti, nel diavolo e negli esorcismi, nelle maledizioni e nei mostri nascosti nelle grotte o nelle vecchie cantine, però simulava scetticismo: era un credulone che si fingeva un incredulone ed aveva fiducia anche nei sogni: pensava che significassero sempre e assolutamente qualcosa, qualcosa sfuggito all’attenzione diurna.

Ed è proprio un sogno premonitore, un incubo degno di un quadro di Johann Heinrich Füssli,  a suggerirgliene la  risoluzione:

Rivide le giovani vittime, non erano morte: si stavano tutte risvegliando come da un breve sogno

[…] Fate attenzione, commissario! Fate attenzione

  • attenzione? Ma a cosa? –

      –    Alle tracce –

Ed ecco prospettarsi una nuova missione. Veneruso con il suo agente Salvo Serra dovrà recarsi a Capri per prendere in consegna Cosimo Zapatano, un vecchio brigante, sfuggito alla cattura per decenni, che recentemente è stato localizzato sull’isola. A bordo del Gaiola, il commissario viene a contatto con alcuni passeggeri con i quali avrà a che fare nel suo soggiorno caprese per diversi giorni.  Una violenta burrasca, infatti, lo tiene bloccato a Capri e intanto un altro terribile fatto di sangue seriale annunzia la presenza di un mostro. Si tratta di omicidi che colpiscono la famiglia Famigliuolo. L’assassino si trova nell’isola dato che nessuno può raggiungerla o lasciarla ma Veneruso vorrebbe disinteressarsi del delitto. Lascia dapprima che sia il maresciallo della locale stazione dei carabinieri a risolvere il mistero ma alla fine cede alla sua richiesta disperata d’aiuto:

Io qui, in venti anni, al massimo mi sono occupato di una rissa tra pescatori.

Il commissario inizia la sua indagine che lo porterà a contatto con una società cosmopolita fatta da artisti, aristocratici, facoltosi imprenditori. Tutta gente difficile da trattare convinta com’è che:

A Capri non si viene per delitto, ma per diletto e la gente non cerca rogne, cerca solo questo: libertà. Tutti cercano la libertà, chi da un rimorso, chi dai fantasmi, chi dai problemi, chi dal proprio passato e chi dal proprio presente.

Il commissario è però un pacioso testardo, entra anche di prepotenza nell’ambiente, si sforza di capire la gente, di  trovare le connessioni tra le  persone e le cose e alla fine riesce a trovare il classico bandolo della matassa:

Veneruso si fermò: aveva timore di andare avanti, anche perché non era sicuro di ciò che stava per dire. Per avere qualche certezza sarebbe stata necessaria una conferma, un dettaglio, una parola, un’ammissione…I presenti invece aspettavano in silenzio: sembravano tanti spettatori in un piccolo teatro illuminato ancora con le candele di tanti anni prima. Nessuno fiatava, tutti attendevano che lui continuasse.

E Veneruso infatti conferma la sua abilità investigativa. Può quindi lasciare Capri ma sul Gaiola che lo riporta a Napoli, come avviene in ogni avventura che si rispetti, nel tirare le sue conclusioni, si rende conto che:

Nell’insieme il viaggio era stato troppo concitato, casuale, faticoso, stancante, senza controllo e inconsapevole, e bellissimo.

I temi:

Se l’intento di Diego Lama era quello di trattare della mostruosità nella sua essenza più profonda, c’è riuscito benissimo. Sin dalle prime pagine del suo giallo si respira questa sorta di degradazione del corpo e dell’anima che tocca ora punte di estrema intensità ora diventa, ma solo un po’, più accettabile. Già il primo delitto da risolvere descritto in alternanza con la trama principale sotto il titolo di Preludio ce ne dà il primo sentore:

     –     No! – Urlò la donna- La memoria di mia figlia deve rimanere intatta, pura

     –   E voi, un mostro?-

   –    Io, il mostro.

Il tema pervade quasi in modo ossessivo tutto il giallo. Lama in un ritmo sempre più incalzante descrive personaggi e situazioni come se si servisse di una lente deformante. A dare il via nel corso del viaggio verso Capri è la signora Famigliuolo:

  • C’è un mostro assassino su questa nave-
  • Un mostro? –
  • Un mostro assassino-
  • E chi ve l’ha detto? […]
  • Le voci.

 A partire da quel momento questa sinistra presenza incomberà sul lettore e persino la stessa Capri alla fine della traversata, invece di mostrarsi nella sua tradizionale bellezza da cartolina oleografica, assumerà un che di mostruoso. Lama ce la presenta torbida, a tinte fosche incupita persino dalle minacce del cattivo tempo:

 Capri […] apparve avvolta in una strana foschia. Sembrava un mostro marino emerso all’improvviso dalla profondità del Mediterraneo […] Tutta salite, sassi, sabbia, rocce, pietre, rovine polvere e grotte […]

Neanche i suoi abitanti sfuggono al sortilegio:

Tra questi Veneruso vide un uomo con la faccia verde, da rettile, la bocca grande e lo sguardo basso […] al commissario fece venire in mente una lucertola anzi un serpente velenoso.

Al tema della mostruosità, poi, si mescola quello del sogno o per meglio dire dell’incubo. Un torpore tiene in pugno l’isola e tutti cadono vittima di un mondo allucinato in cui predominano il sesso, l’oppio, riti di iniziazione e il sangue delle vittime. Eppure, nessuno sembra rendersene conto. Ognuno ha in sé inferno e paradiso e una voglia sfrenata di libertà. Veneruso però vorrebbe capire capire capire il perché di tutto questo. Glielo impediscono la paura di vivere e perciò anche di desiderare l’amore e la libertà stessa. Come gli rimprovera il suo agente, Salvo Serra:

Tenete sempre nella testa quella voce che vi assorda e non vi fa ascoltare nessun altro se non voi. E voi! e voi! E voi! 

In questo suo soggiorno caprese, tuttavia, a tratti sembra che una maglia si allarghi, che appaia uno spiraglio:

Il commissario si sentì più leggero, più disteso, più sereno. Poi fu preso da un desiderio e da una voglia che non riusciva a spiegarsi e che diventavano sempre più feroci, attimo dopo attimo: la maledetta voglia di vivere. Che quell’asino cretino di Serra avesse ragione?

Ma poi tutto ritorna come prima:

  • Ma no: la vita è un’illusione per gli stolti- sussurrò però veramente a voce bassa, per non farsi sentire da nessuno.

O quasi:

Veneruso avanzò pesante, rigido, verso la panca dove sedeva la bella Katharina.

La salutò con un movimento del viso.

Poi, muto, le fece cenno di seguirlo.

La signora si alzò senza esitazione e gli venne dietro remissiva.

E per finire…

Poche parole su quelli che sembrano i punti focali e di pregio del giallo.

Il primo è senz’altro costituito dalla scrittura che si presenta a tratti ironica, dissacrante, mordace a tratti profonda meditativa e persino filosofica.

Il secondo, dalla serietà e dall’accuratezza della ricerca storica come testimoniano anche le stesse note dell’autore in appendice.

Il terzo, il più caratterizzante, la ricchezza del vocabolario. Eccone un esempio:

Il commissario da molti anni non credeva più nella giustizia, che a volte era isterica, altre volte pigra, altre violenta, implacabile, rabbiosa, oppure bonaria, bonacciona, altrimenti sciatta, disordinata, addirittura senza memoria, o anche cavillosa, illogica, ottusa, assurda: insomma una vecchia scema.

Maria Lucia Martinez