Recensire questo bel giallo di Christian Floris non è stato facile, perché risulta complicato parlarne senza spoilerare. Ogni volta che si tenta di accennare alle sorprese riservate dalla trama si è costretti a tornare sui propri passi e dirsi: no, così non si può, si rivela troppo.
Mi limiterò a dire, quindi, che le variazioni di prospettiva di questa storia ricordano il risultato dei gesti che si compiono per regolare un cannocchiale: ciò che vorremmo vedere appare dapprima vicino, anche troppo vicino, poi lontano, forse troppo lontano, sin quando non si riesce ad aggiustare la mira e mettere a fuoco. In questo si manifesta l’abilità dell’autore nel suscitare sempre nuovi dubbi nel lettore.
Siamo in Sardegna, un’estate di diversi anni fa, epoca non lontanissima ma dalla quale ci separano gli incredibili progressi tecnologici avvenuti nel frattempo. I cellulari e il mondo virtuale si affacciano nel quotidiano di molti, ma sono ancora agli esordi.
Sulla suggestiva isola di San Pietro giunge la squadra anticrimine composta da Roberto Angioj, Pier Giovanni Naitza e Filippo Manunza con l’incarico di far luce sulla morte di un ragazzo.
Ai piedi di una scogliera, in un paesaggio da cartolina che evoca romantiche storie d’amore, uno studente universitario è stato ritrovato morto: forse un gesto disperato, forse un tragico incidente. Forse un omicidio abilmente mascherato.
La terza ipotesi acquista sempre maggiore verosimiglianza e partono le indagini, ma con pochi elementi all’attivo: esplorando il passato del ragazzo ci si ritrova di fronte a una vita lineare, priva di scossoni o traumi. In apparenza Marco era un ragazzo come tanti, forse un po’ più solo; cresciuto senza padre da una madre poco empatica, aveva una fidanzata indecisa, amici non del tutto sinceri, un talento e, all’insaputa di tutti, una missione.
Il suo talento si manifestava nell’amministrare un forum nato per offrire supporto agli studenti della sua università; che sia stato questo il luogo virtuale in cui ha conosciuto il suo assassino, magari dopo averlo cercato a lungo?
La missione di Marco, infatti, era scoprire la verità sulla morte di suo padre, un tedesco proveniente dalla Germania dell’Est, ufficialmente scomparso per un incidente sul lavoro avvenuto quando il suo bambino aveva pochi mesi. In piena Guerra Fredda, quindi, epoca di spie e intrighi internazionali, quando tutto ciò che avveniva al di là della Cortina di Ferro era ammantato da un mistero che sapeva di fascino.
Che sia stata anche questa fascinazione a indurre Marco a voler incrociare strade che non portano a nulla, a perdersi, a perdere la vita?
O forse, mentre lui scrutava nelle nebbie di un passato vago e senza testimoni, c’erano altri occhi che scrutavano lui, lo seguivano incessantemente, interessati a tutti i suoi movimenti, ma per ragioni diverse?
Quando ho citato il cannocchiale mi riferivo proprio a questa incertezza tra lontano e vicino, tra un movente banale, legato alle relazioni che si intessono nella vita quotidiana, e uno diverso, inaspettato, che affonda le sue radici in un mondo lontano e ormai cancellato dalla Storia, un mondo in cui lo scomparso padre di Marco era un agente segreto della Stasi, punito con la morte per aver disertato.
Ciascuno degli inquirenti percepisce a modo proprio le particolarità della vicenda e tutti continuano a rimuginare senza tregua sugli aspetti che non li convincono, a dispetto degli infiniti elementi di distrazione che li circondano, a partire dalle suggestioni paesaggistiche e culinarie del luogo, gli impegni affettivi di famiglie giovani e vivaci e le mille istanze della vita privata, a cui si aggiungono, per finire, la tragedia personale di un’amica carissima e le partite di un campionato di calcio. Per restare in gergo calcistico, la soluzione arriverà proprio ai tempi supplementari, quando l’assassino è ormai convinto di poter sfuggire alle conseguenze del suo gesto. Si resta sorpresi dalla conclusione e anche un po’ dispiaciuti, ma con la convinzione che sia la più logica e che l’autore sia stato molto bravo a dissimularla.
Gli aspetti di questo romanzo che ho apprezzato di più sono quelli relativi all’ossessione di Marco per la ricerca della verità. Simile a un affresco nascosto da uno strato di pittura bianca che si manifesta man mano che questa viene grattata via sino a mostrare un disegno chiaro e completo, la verità sul passato del padre di Marco alla fine appare coerente con i sospetti del ragazzo.
Altra parte che mi è piaciuta molto è rappresentata da tutti i brani relativi all’epoca della Guerra Fredda, palcoscenico ideale delle mille spy-story ambientate in quel periodo; confesso che ne avrei letto volentieri anche più a lungo.
Volendo a tutti i costi trovare un elemento che invece, a mio avviso, potrebbe essere migliorato, suggerirei di ridurre un po’ lo spazio dedicato alla vita privata dei tre inquirenti e dei loro amici, che rischia di prevalere su altri aspetti più inerenti alla trama.
Nel complesso si tratta di un romanzo avvincente e ricco di sorprese e sotto alcuni aspetti molto originale, per cui ne consiglio assolutamente la lettura.
Complimenti a Christian per la bella prova!
Agnese Manzo