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La lama dell’assassino

Una ragazzina, Elena Vitale, vive nella periferia di Palermo; Una sera, dopo la lezione di danza, non ritorna a casa. I parenti, allarmati, attivano tutti i mezzi possibili per ritrovarla, Facebook compreso. Dopo qualche giorno la vicenda, diventata un vero e proprio caso mediatico. Assume i contorni di un rapimento a scopo di ritorsione mafiosa. I fratelli Corsaro, l’uno come avvocato, l’altro come giornalista di nera, vengono coinvolti.  Nel corso delle loro indagini emergono a poco a poco  dettagli inquietanti che riguardano il passato di alcuni dei familiari di Elena. La ragazzina ha da poco compiuto quindici anni come la protagonista di un caso analogo e non risolto avvenuto nel 1997. Una data, il 14 settembre, accomuna a quella sparizione degli eventi drammatici e si dimostrerà alla fine illuminante.

I fratelli Corsaro uniscono ancora una volta le loro forze per arrivare alla risoluzione di un caso complesso nell’articolazione dell’intreccio e complesso nella dinamica dei sentimenti che gli ruotano intorno, come avviene abitualmente nei gialli di Salvo Toscano. Vedremo quindi la narrazione sostanziale dei fatti affiancata da problematiche adolescenziali di ieri e di oggi, rapporti genitori-figli, crisi di coppia, amori finiti bruscamente e altri che si evolvono in sentimenti di amicizia e stima e persino  riflessioni sull’essenza profonda del sistema giudiziario.

  • Un processo lunghissimo è già una pena in sé, ingiusta anche per il reo, che si becca la punizione per il crimine quando già la sua vita è stata stritolata da anni di udienze […] tutti vogliono solo punire. E punire. E punire e su questi e altri miserabili pilastri si regge questo palazzo sbilenco, storto come un dipinto surrealista  che è il sistema della giustizia penale italiana.–

E più in là:

  •  Tra due settimane si vota per il CSM. e Ubaldi è in corsa. Nell’ultimo anno avrà fatto più dibattiti e presentazione di libri che processi.

Altro motivo conduttore, quello dominante, il pensiero della morte e del tempo che scorre inesorabile, qui  esorcizzato  grazie all’elaborazione di un sonetto di Shakespeare, il 12, di cui lasciamo l’interpretazione personale al lettore.

La struttura narrativa è quella a cui l’autore è rimasto fedele a partire dal primo dei romanzi di questa serie. Narrazione in prima persona affidata alternativamente ora a Fabrizio ora a Roberto Toscano. In quest’ultimo thriller con una variante: le pagine del  diario di una adolescente.

Ritroviamo ancora l’impronta di Toscano nel misurarsi con la lingua siciliana presentata come un insieme di modi di dire tipici del dialetto della Sicilia occidentale a volte lasciati all’intuito del lettore:

  • U circanu, u circanu…un si trova –
  • Ci’u dumannassi a iddi. Io non sono carabiniere –
  • Stanno cercando di capire chi è che si è preso la bambina per rompergli le corna–

A volte col ricorso al solito espediente della frase esplicativa che segue quella dialettale:

  • Iu un ma firu cchiù, avvoca’– disse. Cioè – non ce la faccio più.

Non mancano poi cenni a lingue straniere:

Parlava in rumeno, a occhi chiusi

  • Mami nu pleca, asteapta–

Chiedeva a sua madre di aspettarlo e di non andarsene.

O l’albanese:

 Zemra ime, mi ha detto ieri. Significa qualcosa come “ amore mio”.

Anche in quest’ultimo libro appare una cura capillare degli ambienti, musica, usi, modi di pensare, che variano a seconda del momento storico trattato, in questo caso rappresentato dai due piani temporali, quello degli anni Novanta e il più recente, datato nei primi mesi del post covid.

Lo scenario è quello della Sicilia occidentale incentrato ora sulla Palermo dei ceti meno abbienti presentati nella loro essenza più profonda

[…] via Roccazzo numero… Era un pezzo di quella Palermo dei rioni popolari che assorbe una buona parte della popolazione di questa città che sembra un arcipelago. L’isola maggiore, più visibile, è quella del centro, della borghesia, dei palermitani ricchi, o impicciolati, come si dice qua […] e poi ci sono le altre isole. Che appunto, da isole vivono. I rioni e le borgate, con il loro popolo […] Mondi che conducono un’esistenza quasi paesana […] ciascuno con i propri usi, le proprie feste di piazza con i manifesti dei cantanti neomelodici, i propri notabili, più o meno raccomandabili.

 Ora focalizzato  sull’asprezza selvaggia delle Madonie

C’era verde e ancora verde tutto attorno. pensai a Mimmo Cirrincione che vagava da solo per quell’eden, immerso nella contemplazione della natura che amava, e per un attimo misi da parte i miei pensieri famelici per tentare di visualizzare questa scena da Walden sulle Madonie con gli occhi dell’immaginazione. Ci riuscii, e in quell’immagine trovai purezza e pace.

Ma è alla Palermo dell’anima che l’autore  non può mancare di rivolgersi prestando la sua voce a Fabrizio Corsaro:

 Quant’era bella Palermo quella mattina, col sole a illuminare la cattedrale e il Cassaro pieno di turisti. Cercai di non distrarmi

[…] Nel pomeriggio il caldo scemava, c’era una bella aria fresca di inizio estate, Palermo seduceva i sensi come una vecchia maliarda scaltra.

E alla fine della vicenda, come nella migliore tradizione, ognuno conclude festeggiando a modo suo:

Roberto porta Rebecca a vedere La Bohème perché Monica s’è preso  il coronavirus e chiede alla figlia di andare al suo posto. La ragazzina storce  dapprima il naso, ma poi…

 Rebecca piangeva […] stringendomi la mano sinistra. Era bella come un chiaro di luna […] posai la mia destra su quella mano bellissima senza dire nulla e mi sembrò che il senso del mio essere venuto al mondo stesse tutto in quell’istante.

Fabrizio invece più prosaicamente telefona ad un’amica:

  • Perché stasera non ci andiamo a mangiare una pizza io e te coi bambini?–
  • […] – mi sembra un’ottima idea, Corsaro – rispose dolcissima Laura.

Lo sembrava anche a me.

“La prof.” Maria Lucia Martinez