La tana del polpo di Giorgio Lupo

Sinossi. Il commissario di polizia Placido Tellurico è un uomo tormentato dai fantasmi del passato, da cui tenta di sfuggire facendosi trasferire nel tranquillo commissariato di Termini Imerese. Noto come “u mazzolu”, il martello, ai tempi in cui lavorava alla mobile di Palermo, galleggia adesso in una routine impalpabile, svuotato di ogni slancio vitale. L’apparente tranquillità della cittadina viene però sconvolta dal ritrovamento di un corpo senza testa: per il commissario e la sua squadra è l’inizio di una lunga indagine in cui, per orientarsi, Placido Tellurico dovrà rispolverare tutto il proprio talento deduttivo. Un thriller che assume le sfumature del protagonista, desideroso di trovare la propria personale redenzione e un angolo di pace pur in mezzo alla tormenta di un caso complesso. Un protagonista che sa anche far sorridere nella sua imperfetta umanità, districandosi tra l’affetto per la figlia Frida, gli anziani amici ospiti di un istituto per non vedenti e gli efferati crimini con cui sarà costretto a confrontarsi.

Recensione

Termini Imerese è una cittadina tranquilla, in cui non succede mai nulla di eclatante, tutt’al più qualche episodio legato alle attività della piccola criminalità ‒ spaccio, furti ‒ o qualche scazzottata tra ubriachi o gente che va presto in escandescenze. Tutte situazioni facilmente gestibili, insomma. Per questo il commissario Placido Tellurico ha deciso di farsi trasferire lì, lasciando il ben più complicato, ma anche professionalmente stimolante, commissariato di Palermo: dopo aver preso un grosso abbaglio investigativo, di cui ne paga le conseguenze un poveraccio che si è visto condannare all’ergastolo, ha deciso che u mazzolu non esiste più e, per evitare di fare danni, è meglio che stia alla larga da indagini in cui sia richiesto un minimo di acume.

La vita di Placido Tellurico non è facile: sulle sue spalle grava il peso del rimorso non solo per aver causato l’ingiusta condanna di Geraci, ma anche per la morte dei propri genitori, assassinati durante una rapina in casa quando ancora era uno studente universitario; come se non bastasse, si biasima per non essere stato abbastanza per Federica, sua moglie, che ha abbandonato lui e la loro bambina, Frida.

Allora Placido si fa trasferire a Termini, sperando che la tranquillità del luogo possa propagarsi anche alla loro vita, non tanto alla sua ‒ ché non ci spera proprio ‒ quanto a quella di Frida.

Succede però qualcosa che turba la piattezza delle giornate in commissariato: il ritrovamento di un cadavere di donna privato dalla testa. E la testa non si trova.

Per il commissario, la cui emozione più grande negli ultimi tempi è indovinare se sarà una giornata più o meno pessima in base al centraggio del water al mattino, è quasi un trauma.

È costretto a rimettersi in gioco; la sua squadra ripone aspettative in lui, e lo stesso vale per l’intera comunità.

Ma Placido non si sente all’altezza.

Inizia qui l’indagine che porterà Tellurico sulle tracce di un terribile e insospettabile serial killer, perché subito arriva un secondo morto e poi un altro ancora.

La narrazione avviene su due piani temporali: contemporaneo, in cui, mantenendo la focalizzazione su Tellurico, il narratore in terza ci mostra il progredire delle vicende, sia private che relative alla caccia al killer; passato, che copre un arco temporale che va dal 1979 al 1983, in cui sentiamo la voce dell’assassino senza intuirne le fattezze. Tramite questo espediente narrativo il lettore viene fagocitato in un vortice di angoscia via via crescente.

La trama è senza dubbio coinvolgente: l’autore costringe chi legge ad assistere agli abusi che il futuro omicida è costretto a subire durante l’infanzia e che decreteranno l’insorgenza del suo grave disagio psichico. Devo dire che questo aspetto è stato per me molto difficile da accettare: è stato doloroso, al limite del malessere fisico, ascoltare il racconto in prima da parte della vittima che sarà carnefice, ma è stato necessario per comprenderne appieno l’evoluzione.

All’interno di questo mondo oscuro, la voce dello scrittore è un’ancòra che ti permette di non affogare: la penna ironica scivola senza intoppi e riesce a far respirare il lettore, alternando momenti drammatici ad altri esilaranti.

Ho trovato divertentissimi i botta e risposta tra Tellurico e Salvù Lo Presti, “lo sbirro più inutilmente colto” che il commissario conosca: le analisi psicosociocazziche dell’ispettore mi hanno fatto morire.

Anche gli incontri tra Placido e Amilcare e gli altri vecchietti dell’ospizio per non vedenti sono meravigliosi: quando il nostro protagonista ha bisogno di pace, è lì che si rifugia e gli basta stendersi sul letto accanto al suo amico novantaduenne, fumare e mangiare i panini all’olio con lui, ma soprattutto sfogarsi, per chiarirsi le idee. Certo, poi fa “battute da vedente stronzo”, ma ormai abbiamo imparato che è fatto così e, a dirla tutta, a me piace un sacco.

E poi lui stesso ci svela chi sono i suoi riferimenti letterari: visto che non siamo al commissariato di Vigata e neanche davanti a Maigret, con Camilleri e Simenon a supervisionare, come avremmo potuto aspettarci qualcosa di meno interessante?

In ultimo, vorrei accennare alla polemica ambientalista che serpeggia lungo l’intera narrazione.

È evidente che Giorgio Lupo conosca bene i luoghi di cui parla e che li ami profondamente, e proprio per questo la deturpazione progressiva del paesaggio ad opera di una industrializzazione irrispettosa della natura, a cui si è sommata l’incuria e l’inciviltà degli abitanti, sono temi fortemente presenti e costituiscono una denuncia legittima e non velata.

Alla fine il nostro commissario riuscirà a risolvere il caso ‒ con un magistrale colpo di scena finale ‒ e a far invaghire di sé le due donne più belle di Termini. E anche a perderle nello stesso momento, prima ancora che la storia con una almeno delle due iniziasse.

Complimenti, Placido, sei riuscito in un’impresa quasi da guinness dei primati.

Tormentato in tutto, Tellurico.

Che strano nome.

Sa di pace e di tormento, serenità e terremoto.

Io tifo per lui e spero che nella sua prossima avventura sarà in grado di rivolgere uno sguardo un po’ più benevolo verso sé stesso. Sono sicura che, così facendo, il mondo che lo circonda glielo restituirà.

Claudia Cocuzza