Adil bey, un giovane diplomatico turco, viene mandato a Batum, sul Mar Nero, a dirigere l’ambasciata turca in città. Siamo nei primi anni della dittatura stalinista e il giovane ne avverte subito il peso. La città sembra respingerlo o addirittura ignorarlo. I rapporti che ha modo di allacciare sono deludenti.
Non c’era quasi nessuno per le strade, non un negozio, non quel traffico che fa di una città una vera città. Un tempo quei vicoli erano un fervore di vita, come Istanbul, come Samsun o Trebisonda, come tutte le grandi città orientali. Si vedevano ancora le botteghe, ma erano vuote, le imposte chiuse o i vetri rotti. Si leggevano cartelli sbiaditi dal sole, in russo ma anche in armeno, turco, georgiano ed ebraico.[…]Ma la gente dov’era, la gente vestita nelle fogge più disparate, che un tempo fermava i passanti offrendo la mercanzia? Soltanto ombre scivolavano, lente e rassegnate, nel sole, oppure si scorgevano sagome stese sotto gli androni. Batum, ormai, non era più che il porto, i pochi battelli stranieri raggruppati intorno agli oleodotti che laggiù, addossati alla montagna, portavano attraverso il Caucaso il petrolio di Baku. E anche la statua di Lenin il quale, benché a grandezza naturale, aveva tutta l’aria di un ometto qualunque.
Adil prende l’abitudine di osservare un uomo e una donna che hanno l’abitudine di affacciarsi ogni sera alla finestra di fronte. Scopre che sono il fratello e la cognata della sua segretaria.
Corse alla finestra. Cercò la finestra di fronte e individuò prima un punto lucente, quello di una sigaretta, poi una manica di camicia, un braccio col gomito piegato, la testa di un uomo e, vicinissima, la donna che aveva sciolto i capelli sulle spalle. Il chiarore della luna s’infiltrava fin nell’ombra e oltre la coppia. Adil bey scorse il rettangolo bianco di un letto.
La segretaria di Adil Bey si chiama Sonia
Era giovanissima ma nient’affatto timida[…]dimostrava a malapena diciotto anni era davvero minuta, con un visino pallido, occhi chiari, capelli biondi. Eppure c’era in lei una forza tranquilla, risoluta, che sgomentava il console.
Adil deve ben presto fare i conti con il regime dittatoriale che vige a Batum e in un primo momento sembra cedergli
Che importava, dopo tutto? Bastava imitare gli altri, tutti gli altri, la gente in strada, negli uffici, e anche Kolin e la moglie: non fiatare! Ci si fa la propria tana. Ci si crea le proprie abitudini. Si arriva persino a non pensare più se non a sprazzi, in modo vago, come quando si sogna.
Ma quando scopre che qualcuno ha l’intenzione di avvelenarlo come è accaduto al suo predecessore, ha un moto di ribellione e la rabbia vince la paura.
Almeno ora sapeva! Avrebbe agito di conseguenza. Camminava in su e in giù pronunciando frasi smozzicate. Di quando in quando gettava occhiate di sfida alla finestra di fronte.
Adil prova a sfuggire alle regole invisibili ma ferree cui fino a quel momento è stato costretto ad adeguarsi. Coinvolge nella sua ribellione anche Sonia di cui si è innamorato corrisposto… Invano. Anche l’amore finirà per soggiacere alle dure leggi che regolano la vita di Batum.
Tra il 1932 e il 1933 milioni di ucraini trovarono la morte per fame. Dietro questa terribile carestia si annidò non solo la politica di collettivizzazione imposta dal governo sovietico, ma anche la volontà di Stalin di sopprimere le aspirazioni nazionali dell’Ucraina.
Le finestre di fronte viene pubblicato nel 1933 quando il progetto staliniano non si era ancora rivelato fuori dalla nazione nè tanto meno qualcuno aveva osato divulgarlo all’interno dell’ambiente sovietico. Eppure Simenon, che aveva da poco compiuto un viaggio nel sud dell’URSS, soggiornato ad Odessa, e, circumnavigando il Mar Nero, era rientrato in patria per via Istambul, descrive con estrema precisione il clima di sospetto, di esaltazione idealistica e allo stesso tempo liberticida che gravava su quei luoghi. Lo fa con questo libro che rientra nella serie di romanzi dove non appare il personaggio del commissario Maigret. Ne viene fuori un’opera sui generis, testimonianza della enorme abilità narrativa e della capacità di saper leggere nella profondità dell’animo umano dello scrittore belga.
“La prof” Maria Lucia Martinez