È un’alba di novembre, e l’Etna ha appena sputato cenere su tutta Catania quando, nel suo appartamento in pieno centro, ritrovano il corpo di Carlo Spadaro, un geriatra sul quale pendeva la più infamante delle accuse: aver abusato della figlia. Dell’omicidio viene imputato il suo datore di lavoro, Damiano Crisafulli, che con la vittima aveva avuto recenti e incendiate discussioni. Dopo alcuni mesi, e per strane vie traverse, ad assumerne la difesa è chiamata Emilia Moncada – “Ilia” per gli amici – una giovane penalista con una passione sincera per la Legge, una spiccata fobia a parlare in pubblico e una vita sentimentale aggrovigliatissima. Ma anche con un gran talento a leggere nell’anima dei clienti, nelle carte di un processo e nei segreti annidati tra le pieghe di un delitto. Il caso però mostra molte, troppe spine: Damiano aveva un ottimo movente per uccidere, è senza alibi e sulla scena del crimine sono state ritrovate tracce della sua presenza. E poi sa essere sgradevole, come uomo è tutto tranne che irreprensibile. L’esito del processo, insomma, appare scontato e il cammino intralciato da una girandola di bugie. In aula, infatti, ognuno sembra avere un buon motivo per mentire. Impegnata nel gestire questioni familiari e dilemmi del cuore, riuscirà Ilia a portare a galla la verità?
È il paradosso più antico della storia, dicono. Un impasse logico senza uscita: sto mentendo.
La frase impossibile. Il limite dell’assurdo.
Perché?
Perché sto mentendo, se mento mentre lo dico, significa che invece dico il vero. Qual è il vero? Che sto mentendo.
Ilia Moncada ha un rapporto quotidiano con la menzogna: è avvocato. E in un’aula di tribunale non è mai la verità che conta. Contano le prove, conta quel che si può dimostrare. E il ragionevole dubbio, come ricorda nelle prime pagine a Fabio, il praticante.
In questa storia mentono tutti, perché in fondo parla di noi: noi mentiamo, costantemente, ogni giorno, in mille modi diversi. A volte facciamo buon viso a cattivo gioco, raccontiamo bugie bianche per non ferire qualcuno, inventiamo storie per i nostri bambini e scuse per le nostre mancanze.
Altre volte calunniamo. Senza buona fede: infanghiamo, sporchiamo, per vendetta, per semplice cattiveria, oppure per guadagno. Certe calunnie, però, rovinano esistenze.
Ilia si trova per la seconda volta a subentrare in un caso avviato da un collega, questa volta un vecchio principe del foro, che per motivi di salute si trova a non poter concludere il proprio lavoro. Questa volta il cliente in questione, Damiano Crisafulli, la mette davanti a un altro tipo di dilemma professionale: cosa succede quando un avvocato detesta la persona che deve difendere?
Maria Elisa Aloisi tratteggia ogni personaggio e ogni scena con la cura di un direttore d’orchestra, mantenendo in perfetto equilibrio la realtà dei meccanismi processuali e le regole del giallo classico. Sa farci odiare i cattivi e adorare i buoni. E inserisce aneddoti — molti dei quali tratti dalla sua esperienza in aula — assolutamente esilaranti.
In un labirinto di inganni, con una serie di vicende personali sempre più ingarbugliate e l’entrata in scena di un nuovo – e ingombrante! – collega avvocato, Ilia dovrà arrivare al fondo di verità senza precipitare nell’abisso.
Perché la verità forse non conta, ma lei la deve conoscere a ogni costo.