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Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno

Ernest Cunningham è uno che di mestiere scrive libri su come si scrivono i libri. In particolare si occupa di gialli. La sua specializzazione lo ha portato ad operare un distinguo tra gli scrittori di gialli dell’Epoca d’oro  come Agatha Cristie, Ronald Knox, G.K. Cherston, autori rispettosi delle regole, tra le quali la più importante è dire la verità, e i moderni, che invece tendono a concentrarsi  più sugli espedienti narrativi, che sui fatti, più sugli assi nella manica, che sulle carte in tavola.

La regola d’oro del giallo è : Gioca pulito. Ed è questa che Cunningham ha seguito per raccontarci la sua storia la cui premessa è già tutto un programma: Fra i membri della sua famiglia non corre sempre buon sangue, ma una cosa li accomuna: tutti hanno ucciso qualcuno.

In occasione della scarcerazione del fratello maggiore di Ernest, Michael, la zia Katherine ha deciso di riunire la famiglia per un fine settimana in un resort di montagna. L’intenzione è quella di festeggiare l’evento ma i Cunningham non sono tipi da stare in pantofole davanti al caminetto e, complice una bufera che si abbatte sull’albergo, rendendo difficoltosa la partenza degli ospiti, inizia la decimazione dei presenti con un meccanismo infernale di cui si serve un fantomatico Lingua Nera, ispirandosi ad un metodo di tortura usato dagli antichi persiani.

Riuscirà Ernest Cunningham a scoprire l’assassino o la parola the end coinciderà con la strage totale dei presenti nel resort? Basta leggere questo divertentissimo giallo e si saprà.

L’australiano Benjamin Stevenson con Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno, offre al lettore una simpaticissima parodia del giallo tradizionale di cui, promette di osservare tutte le regole, almeno così dice nell’incipit e quasi sempre  manterrà la parola. Non a caso  alla pagina 7 del libro è possibile leggere il Decalogo del giallo perfetto, scritto da Ronald Knox nel 1929, con raccomandazione di tenerlo sempre presente ricorrendo nel suo libro “al metodo dell’orecchietta da ripiegare al margine della pagina su cui  troverete l’indicazione: Piegare qui.

Il narratore, che si dichiara dunque “affidabile”, applica al suo romanzo, scritto in prima persona, buona parte delle tecniche narrative del genere, la più rilevante, il delitto della camera chiusa, qui rappresentata dall’albergo in preda alla tormenta, e della successiva eliminazione dei componenti della vicenda, che richiama tanto I dieci piccoli indiani di Agatha Cristie.  Il procedimento adoperato è tra i più suggestivi. Il protagonista dialoga col lettore e attraverso il ricorso a anticipazioni, inattesi spoiler sulle pagine in cui avverranno gli omicidi, considerazioni estemporanee, colpi di scena tipici della narrativa contemporanea del giallo americano, gli dà quasi l’impressione, come in un gioco di specchi,  di un vero e proprio coinvolgimento nella stesura della vicenda, di una specie di caccia all’assassino alla fine della quale il colpevole non sarà il classico maggiordomo ma… E qui un colpo di scena inaspettato e dal nostro punto di vista un po’ trasgressivo.

Lettura piacevole, divertente, ricca di humor, persino spiazzante nella sua disarmante dissacrazione del genere. Insomma, provateci.

“La prof.” Maria Lucia Martinez