Ultimo sangue di Diego Di Dio

Ci sono ferite profonde, troppo profonde per essere guarite dal tempo. Tagli che scavano fino all’osso, e rimangono lì, negli anni, a ricordarti chi sei.

Alisa e Buba sono due sicari professionisti.

Uccidono per soldi; non sono affiliati a nessuna famiglia, non hanno legami: ricevono un incarico, lo portano a termine e vengono pagati. Perchè, se una cosa è certa, è che sono i migliori sulla piazza e – se escludiamo il giorno della catastrofe – non è mai capitato che fallissero una missione. Mai.

Vengono ingaggiati da donna Teresa, la boss che sta a capo della famiglia Esposito. Il loro compito è uccidere Lucia De Rosa, figlia del boss della famiglia rivale, con cui gli Esposito si dividono la piazza di spaccio di Castel Volturno. Secondo donna Teresa, Lucia è responsabile della morte di suo figlio e il suo desiderio più grande è quello di vederla morta e seguire il suo feretro finché non verrà inghiottito dalla terra.

Il filone narrativo principale riguarda le azioni messe in campo da Alì e Buba per portare a termine il lavoro assegnatogli.

Fin qui quello che possiamo dire sulla trama.

Ultimo sangue è un noir in cui la narrazione è affidata in misura preponderante ad Alisa, che parla in prima persona: l’autore ha compiuto una scelta coraggiosa, quella di calarsi nei panni della protagonista femminile, e lo fa in maniera credibile, restituendo al lettore la figura di una donna complessa, fragile e determinata, dalle mille sfaccettature.

Osserviamo lo svilupparsi della vicenda seguendo le azioni dei due killer, che non riusciamo a vedere come i “cattivi” della storia quanto piuttosto come antieroi, un po’ come Diabolik o Lupin: Alì e Buba hanno un loro codice morale a cui si attengono scrupolosamente e, cosa ancora più importante, hanno una motivazione forte che li ha spinti a diventare quello che sono.

Forse ognuno di noi ha avuto una notte oscura, ha vissuto un istante in cui ogni cosa è cambiata, si è plasmata per sempre, senza possibilità di ritorno.

La notte oscura, a cui Alì fa riferimento fin dalle prime battute, è un evento che cambia in modo irreversibile il corso della vita di ciascuno.

Alì l’ha vissuta; Buba l’ha vissuta. Non insieme, ma ognuno ha subìto un fatto traumatico a seguito del quale sono diventati ciò che sono: due assassini prezzolati.

Non che si compiacciano della loro condizione, semplicemente ne prendono atto come fosse qualcosa di ineluttabile.

Alla trama principale se ne affiancano due parallele, che vedono come protagonisti il commissario Maresca e il Mascherato. I capitoli che portano avanti queste storie si distinguono per la narrazione che passa dalla prima alla terza, con focalizzazione interna su questi due personaggi, di cui non parlerò perché, nel corso del romanzo, sarà lo sviluppo degli eventi a far capire in che modo le loro storie si intrecciano con  la vicenda principale. Questo per dire che la costruzione è complessa, la trama strutturata e, alla fine, il cerchio verrà chiuso senza lasciare nulla di incompiuto o non spiegato.

È evidente che dietro la stesura di Ultimo sangue c’è uno studio approfondito: la descrizione dei luoghi è accurata, il ritmo incalzante, il gergo appropriato.

Dal punto di vista stilistico, merita di essere evidenziato l’uso consapevole che l’autore fa dell’espediente narrativo del cliffhanger: in corrispondenza di un colpo di scena o di un momento in cui la tensione è particolarmente elevata troviamo l’interruzione del capitolo e con il capitolo successivo viene ripresa una delle trame parallele, con il risultato che il lettore, ansioso di conoscere l’evoluzione della scena interrotta bruscamente, è spinto a proseguire nella lettura.

Inoltre la narrazione è scandita da diversi timelock – tre i più importanti – che accelerano ulteriormente il ritmo e imprimono potenza all’azione, fino a un all is lost esemplare collocato a più di tre quarti del romanzo. Da qui in poi, come in un corridoio dove l’autore ha man mano aperto tutte le porte, ciascuna di queste verrà metodicamente chiusa, fino allo scioglimento finale.

Teatro della vicenda è Napoli, i suoi quartieri, i suoi dintorni, ma quella in cui ci muoviamo non è la terra del sole; come in ogni noir che si rispetti, l’ambientazione è cupa, quasi claustrofobica e, per far sì che le descrizioni risultino realistiche, i fatti si svolgono nel mese di novembre. Cieli plumbei, nuvole che improvvise oscurano il sole, mare in tempesta. E pioggia: se dovessi indicare un protagonista tra gli elementi naturali, direi che è senza dubbio la pioggia, che accompagna tutti gli eventi di rilievo di questa storia, fino al suo epilogo; pioggia che, salvifica o inclemente, leggera o tempestosa, ricopre e amalgama ogni frammento di questo puzzle come una presenza imprescindibile.

Le descrizioni dettagliate  – ma non enciclopediche –  delle tecniche di addestramento e degli allenamenti rappresentano un valore aggiunto, in quanto conferiscono realismo alla narrazione senza appesantirla.

Tra le pieghe della storia, l’autore riesce a trovare il modo di inserire le figure di Jamila e Rashid, da una parte, e dei Coccodrilli, dall’altra, così da toccare due temi di attualità che evidentemente gli stanno a cuore: il dramma dei profughi che raggiungono il nostro Paese via mare e quello della microcriminalità, che in certi contesti sembra l’unico modo che i ragazzi hanno per emergere. Le loro storie, incastonate tra le pagine come piccoli cammei, mi hanno emozionata.

Su ciascuna di queste, dalla principale alle sottotrame, rimane sospesa la percezione, forte, che il destino di ognuno dei personaggi sia segnato.

Forse il tempo è un’autostrada a una sola corsia, dove non si può sorpassare né fare marcia indietro. Bisogna solo andare avanti, sperando che alla fine del percorso non ci sia un vicolo cieco.

Non vi dirò se Alì e Buba si scontreranno con un muro o ce la faranno a ribaltare il corso di una storia che sembra già scritta; ciascuna delle vicende che abbiamo seguito troverà la propria risoluzione, che è esattamente quella che non immaginavamo, regalando al lettore una sequenza di colpi di scena che lo spiazzeranno, fino all’ultima parola.

Claudia Cocuzza