Quello che vi apprestate a leggere è un omaggio alla serie di avventure nate dalla mente di Maurice Leblanc con protagonista il sublime ed ineffabile… Lupin
Il signor Lambierre, anche se tremava da cima a piedi, cercava di mantenersi seduto in modo corretto sulla scomoda sedia di legno del ristorante.
Al centro del tavolo stava l’elegante segna posto con il nome del signor Lambierre scritto su di esso; non fu Lambierre a prenotare il tavolo.
Sistemava spasmodicamente le posate sul tavolo. La prima forchetta sulla destra era storta ed entrava a contatto con quella alla sua sinistra. Il cucchiaio invece non era perpendicolare al lato del tavolo.
C’era del pane sulla tovaglia, offriva la casa. Il signor Lambierre fece per prendere qualche mollica, ma ci rinunciò. Il suo braccio era troppo pesante per essere sollevato. Riusciva a malapena a giocherellare con le posate di metallo che gli stavano lontano neanche un pugno.
Cercava di rimanere dritto con lo sguardo.
Gli avevano detto di non cercare gli agenti dentro il ristorante. Non ci sarebbero dovuti essere, la nota diceva esplicitamente il contrario! Come poteva un signore dal calibro di Lambierre non contattare la polizia! Aveva paura per la sua incolumità.
Aveva letto molti giornali e molte notizie sull’Eco de France. Quel ladro era in gamba, quel muta-forma… quell’Arsène Lupin!
Perché a soffrire devono essere i ricchi? si domandava il signor Lambierre. Sapeva che prima o poi sarebbe toccato anche a lui, ma cosa aveva fatto per evitarlo? Niente!
Si malediceva. Si toccava il foglio che portava nel taschino della giacca. Quel foglio. Quello che c’era scritto dentro era quasi diventata una preghiera per il signor Lambierre. La sapeva a memoria per quante volte l’avesse ripetuta.
Ed ecco che proprio nel luogo dell’incontro iniziò a recitarla ancora:
Buonasera signor Lambierre, spero di trovarla in buono stato – ma sono sicuro che sia così.
Volevo informarla del fatto che ho deciso di derubarla, ma visto che sono un gentiluomo – e so che lo sa bene – vorrei incontrarla per discutere su cosa posso prendere e cosa no. Già la metà dell’arredamento nel vostro appartamento non vale la pena neanche di essere preso in considerazione. Senza offesa, ma ha davvero un pessimo gusto. Visto che non sono molti gli oggetti interessanti dentro la sua casa, volevo discutere insieme a lei su cosa rubarle e cosa invece risparmiare; non vorrei mai che per colpa mia lei cadesse in disgrazia e soprattutto rimanesse con una casa dai soli mobili orribili.
Incontriamoci all’Oie Servie questa sera alle 19. Ho già prenotato a suo nome.
Non porti la polizia, non le conviene. Sa, sto organizzando questo incontro per lei, per venirle incontro. Non faccia stupidaggini delle quali si potrebbe pentire.
Mi raccomando, io sarò lì, nel ristorante insieme a lei. Non mi deluda. Ci vediamo lì.
Suo devoto
Arsène Lupin
Recitarla oramai gli faceva uno strano effetto… quasi lo calmava! Era almeno un punto fermo.
Stavano per incontrarsi.
Controllò l’orologio. Mancava all’incirca un minuto alle 19.
La lettera aveva detto niente polizia. Ma come poteva non chiamarla! Magari sarebbe stato il punto di svolta del signor Lambierre: Daniel Lambierre, il milionario che catturò Arsène Lupin!, avrebbe guadagnato la stima di tutta la Francia. Probabilmente sarebbe diventato l’uomo dell’anno.
Aveva ricevuto la lettera la mattina stessa. Passò la prima parte del giorno nel panico più totale; che fare? Che fare?! Mi vuole uccidere? Impossibile, non porterebbe mai una pistola o qualcos’altro di mortale in un ristorante. È un gentiluomo! Ma soprattutto un ladro, e i ladri non uccidono.
Nel primo pomeriggio chiamò la polizia locale e in modo sbrigativo spiegò la situazione.
Alla fine però avevano organizzato tutto: la polizia avrebbe usato gli stessi metodi di Lupin. Gli agenti si sarebbero travestiti per non dare nell’occhio. Chi a fumare una sigaretta all’uscita maledicendo il freddo che fa, e chi a fingersi un importante uomo d’affari a strafogarsi con il tacchino arrosto del ristorante.
Erano le 19. Ancora nessuno.
L’avevano forse placcato all’entrata? La polizia si era forse accorta che chi stesse entrando nel ristorante fosse il nostro ladro? Impossibile. Non è così stupido. D’altronde si sarà creato una falsa identità. Si sarà truccato e tutto il resto. I giornali non mentono. Dicono sia il migliore degli artisti circensi, pronto a diventare un’altra persona nel tempo di un battito di ciglia. Un mostro… di bravura.
Le 19 e un minuto.
Ora le cose si facevano più strane. Lui era un gentiluomo! E i gentiluomini non fanno ritardo! Era troppo, questa tortura stava durando tutto il giorno, il signor Lambierre non ne poteva più. Dalla mattina si sentiva come in bilico su un sottile filo bianco, prossimo alla caduta come il più scarso dei funamboli.
Lupin, Lupin… il maestro… del travestimento!
Il signor Lambierre ne aveva lette di sue avventure e di due cose era sicuro: la prima che Arsène Lupin mantiene sempre la parola data; secondo, che Lupin si traveste sempre o almeno finge di essere qualcun altro (o dice che qualcun altro sia lo stesso Lupin).
Lambierre si iniziò a guardare intorno. C’era un cameriere. Lo guardava strano. Quest’uomo andava in giro per la sala a servire ai tavoli ma teneva lo sguardo sempre su Lambierre. Era lui. Doveva esserlo.
Lambierre prese il coraggio tra le mani e gli fece cenno di avvicinarsi.
«Complimenti.»
«Come, signore?»
«Senta, facciamo in fretta. Le ho portato dei soldi. Sono più di quanto potrà guadagnare nella sua misera ma divertente vita.»
«Signore, l’ho vista preoccupato.»
«Zitto! Sono un gentiluomo anche io. Preferisce dei soldi sicuri o la gattabuia? Li prenda, ora. Sono… “la mancia”»
Il cameriere prese il sacco di soldi. Ringraziò il gentile signore e tornò a servire.
Lambierre si sentiva… forte. Era riuscito ad affrontare il grande ladro di Francia. La sfida tra gentiluomini era stata vinta da lui, il milionario di turno. Avrebbe contattato le testate e avrebbe raccontato la sua storia. Era riuscito a fare cambiare idea a Lupin! Pochi spiccioli invece di costosi soprammobili.
Incredibile. Anche una volta finito il colpo, il “cameriere” continuava a recitare la sua parte. Quel Lupin, si diceva Lambierre, quasi quasi si merita ciò che facilmente si guadagna.
A quel punto si aprì la porta del ristorante, ed un signore si diresse al tavolo del signor Lambierre.
«Cosa ha fatto?»
«Ci conosciamo?» Disse preoccupato Lambierre, che constatò di non trovarsi ancora fuori dalla spirale degli eventi.
«Sono il commissario Ganimard. Perché ha dato un sacco di soldi a quell’uomo?»
«Glieli ho dati perché la polizia è inefficiente, ecco perché!»
Ganimard non capì subito.
«Sveglia! Quell’uomo era Lupin!»
«Ma signore, se fosse stato Lupin sarebbe ancora qui a servire i tavoli?» Disse Ganimard indicando l’uomo di cui stavano parlando.
«Beh, si vede che sa come recitare una parte.»
Ganimard fece avvicinare un’altra volta l’uomo.
«No» disse il commissario, «non è lui.»
«Come fa ad essere sicuro?»
«Perché lo conosco.»
Lambierre sgranò gli occhi:
«È vero! Lei è il famoso poliziotto che è sempre lì lì pronto a catturarlo… ma non ci riesce mai.»
«E infatti, anche in questo caso…»
Fecero andare via l’uomo che nel mentre si stava preoccupando del suo futuro. Il signor Lambierre si fece ridare la sua sacca di soldi, anche se gli fece pena e gli lasciò comunque qualche moneta di “mancia”.
«Allora» iniziò Ganimard sedendosi al tavolo, «tanto oramai qualsiasi copertura è sfumata; pensa che sia qualcuno dentro il ristorante? Oltre a quel pover’uomo?» Gli scappò una risatina.
«Nessun altro. Eppure Lupin…»
«Non ritarda mai.»
Ganimard si accese una sigaretta, la offrì al signor Lambierre, il quale gentilmente non accettò. Non era nello stato di fare qualsiasi altra cosa se non cercare di sopravvivere fino alla fine a quella serata.
«Quindi cosa vorrebbe fare? C’è qualche oggetto di valore che riuscirebbe a sacrificare? So che non era un’opzione, ma purtroppo davanti a maestri del genere, parlo di Lupin che anche essendo il peggiore dei ladri non gli si può non riconoscere una tecnica affina, a volte non c’è piano B. Magari sacrificando qualche oggetto di poco valore riesce a tirarsi fuori da questa storia.»
«Non ci avevo proprio pensato. Non lo so, Ganimard. In questo momento non riesco neanche a rimanere dritto su questa dannata sedia!»
Il signor Lambierre iniziò ad alzare leggermente il tono di voce, ma Ganimard gli fece segno di rimanere tranquillo.
«So che è molto agitato, oramai io ci ho fatto il callo. Già l’avevo capito dalla sua lettera che la situazione sarebbe stata molto difficile, infatti sono venuto ad aiutarla; ma quando si tratta di Lupin a volte è meglio arrendersi. Potremmo però organizzargli una trappola. Lei potrebbe far trovare gli oggetti dei quali vuole sbarazzarsi e gli tendiamo un’imboscata.»
«Lei ci pensi. Io devo andare al bagno al volo.»
Eccolo. Lo aveva davanti agli occhi: il mitico Lupin che, come già un’altra volta aveva fatto, si era travestito da commissario Ganimard, che diciamolo, molte volte gli regge gioco. È lui! Aveva nominato una lettera… Lambierre non aveva mai spedito una lettera a Ganimard. Quando avrebbe potuto? Aveva avuto solo 12 ore di tempo da quando Lupin si era messo in contatto con lui. Inoltre il commissario viveva e lavorava in tutt’altra zona di Parigi, un’ipotetica lettera ci avrebbe messo minimo una settimana ad arrivargli. Quest’uomo è un ingannatore! Ma Lambierre si era alzato. Era il segnale. Lo aveva in pugno.
Gli agenti sotto copertura puntarono le armi verso Ganimard, e lo dichiararono in arresto.
I poliziotti lo bloccarono.
«Idioti!»
«Arsène Lupin, la dichiaro in arresto.»
«Ma non sono Lupin!»
Lambierre prese il coraggio a due mani e afferrò i capelli di “Ganimard” e strattonò forte. In mano si ritrovo dei corti peli.
«Aia!»
Il poliziotto che stava fuori a fumare entrò dentro e con dispiacere constatò che l’uomo altri non era che il commissario Ganimard, per il quale molte volte è stato a servizio.
«La lettera» ragionò Ganimard, «la lettera… era di Lupin! Ma era scritta da parte sua, signor Lambierre! Diceva che Lupin le aveva chiesto di contrattare con lei su cosa rubarle o no, e di averle detto appuntamento martedì 9 febbraio in questo ristorante. Sono venuto perché mi implorava aiuto, dato che molte volte sono stato alla ricerca di Lupin.»
Nessuno allora era venuto all’appuntamento…
Erano le 20.
Di corsa, il signor Lambierre corse a casa accompagnato dalla scorta della polizia.
Entrò e non trovò tutti i suoi più cari mobili e i migliori oggetti da collezione. Nella stanza vuota c’era però appoggiata a terra una busta, che riportava in rosso due lettere: A.L.
Lambierre, oramai senza speranze, mentre la polizia inutilmente si disperdeva nella casa alla ricerca del ladro, e mentre Ganimard se la rideva di gusto anche se sotto i baffi, aprì la busta e iniziò a leggere il foglio al suo interno.
Gentile signor Lambierre, come ha potuto constatare la rapina è andata a buon fine. È un piacere fare affari con lei.
Non si dispiaccia, gli affari sono affari… ma non dica che ho mentito! Un gentiluomo non mente mai! E soprattutto non è mai in ritardo! Sbaglio o ci sono stato anche io all’appuntamento al ristorante? Sono stato nei suoi pensieri dall’inizio alla fine. L’ho accompagnata per tutto il tempo. Abbiamo discusso, anche se io non ero presente. Ci siamo detti quali oggetti lasciare nella sua casa e quali no: l’esclusione è avvenuta semplicemente, non c’era neanche bisogno di discuterne; un occhio come il mio sa molto bene cosa poter prendere e cosa invece no!
Comunque sono stato assolutamente in orario, anzi, sono stato praticamente tutto il tempo con lei.
È tempo che le nostre strade si separino.
Mi saluti il caro Ganimard.
Con rispetto
Arsène Lupin
P.S.
Le ho lasciato il procione impagliato che regge il piccolo diamante di dubbia provenienza. Davvero orripilante!
Matteo Abozzi