Uno scantinato in penombra alla periferia del Cairo. Piastrelle insanguinate, strumenti e garze sporche. Su un tavolo di alluminio che luccica sotto la lampada, il corpo immobile giace coperto in parte da un lenzuolo macchiato di rosso. Un odore ferroso impregna la sala operatoria improvvisata.
Niente di nuovo per Emilio Furia, alias il Chirurgo, e il suo allievo, il Piccolo, ingaggiati per smantellare un traffico illegale di reni nella capitale egiziana, da anni centro di smistamento per il mercato nero degli organi in quell’angolo di mondo. Portare a termine la missione è come staccare una foglia secca da un intero albero, marcio fino alle radici, che nessuno è davvero interessato ad abbattere.
Il prossimo incarico però sembra l’occasione giusta per colpire duro. Una grossa rete internazionale di trapianti clandestini ruota intorno a una clinica privata italiana, una specie di fortezza inviolabile in cui solo un infiltrato avrebbe qualche possibilità di reperire informazioni vitali. Nessuno saprebbe riuscirci meglio di un chirurgo, per di più con un passato da incursore. I contatti con pazienti facoltosi in grado di pagare per simili servizi avvengono tramite il dark web, dove la persona che gestisce tutto si fa chiamare Regina di Cuori. E questa non è che la superficie del gorgo infernale in cui Emilio sta per calarsi.
Recensione
C’è una strofa degli Eagles che ha iniziato a risuonarmi nelle orecchie dal momento in cui Emilio Furia, sotto mentite spoglie, si è introdotto nella clinica XX: you can check in any time you like, but you can never leave.
E infatti, arroccata su una splendida isola del mediterraneo, la clinica ha tutte le caratteristiche di un Hotel California: bellissima, e letale. L’architettura stessa richiama il topos di un labirinto in cui occorre perdersi, per trovare quello che si sta cercando.
La verità che l’autore fa scoprire a Emilio Furia, al di là della costruzione della trama, tocca un argomento di stringente attualità: da un lato le vite perdute di chi cerca di raggiungere l’Europa fuggendo dal proprio Paese, dall’altro la mercificazione delle vite umane in un traffico orrendo come quello di organi.
Quello che succede nella clinica è fiction, ma potrebbe essere vero. È il destino degli ultimi, che possiamo concederci il lusso di dimenticare perché non li abbiamo mai incontrati; perché le loro tracce scompaiono prima di poterci turbare.
È un po’ questo, anche, il ruolo della spy story nel panorama moderno: agenti in smoking e cocktail agitati e non mescolati stanno lasciando il posto a personaggi normali, estremamente umani, che aprono uno spiraglio sulle storture delle dinamiche internazionali.
E, personalmente, credo vada molto bene così.
Nonostante risolva il caso, la storia non finisce qui per Furia: il finale apre ai prossimi episodi, e noi non vediamo l’ora di leggerli.
Denise Antonietti