“Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto”….
Così si legge nel Manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo, pubblicato a Milano l’11 marzo 1915 a opera di Giacomo Balla e Fortunato Depero, “astrattisti futuristi”, come loro stessi si firmano. Il manifesto costituisce la prima teorizzazione e testimonianza della tendenza non figurativa dell’arte d’avanguardia in Italia prefigurando un’arte “polimaterica”, un’arte nuova che diventa arte-azione, cioè volontà, ottimismo, aggressione, possesso, penetrazione, gioia, splendore geometrico delle forze, proiezione in avanti.
Ed è proprio il Manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo, a siglare il punto d’arrivo di una stagione artistica, quella del Futurismo, che è l’anima e l’essenza di una mostra d’eccezione che indaga in modo assolutamente inedito le origini del movimento.
“Futurismo 1910-1915. La nascita dell’avanguardia”, allestita nelle sale di Palazzo Zabarella a Padova, con la curatela di Fabio Benzi, Francesco Leone, Fernando Mazzocca, si impone infatti, come “sguardo altro”, offrendo una visione nuova ed originale e invitando alla scoperta di una realtà artistica fino a ora poco, o per niente, svelata. Sebbene negli ultimi quarant’anni si siano succedute molteplici rassegne dedicate al Futurismo, nessuna si è mai focalizzata in termini critici ed esaustivi sui presupposti culturali e figurativi, sulle radici, sulle diverse anime e sui molti temi che hanno concorso prima alla nascita e poi alla deflagrazione e alla piena configurazione di questo movimento che ha caratterizzato in modo così dirompente le ricerche dell’arte occidentale della prima metà del Novecento.
“Futurismo”, innanzitutto, significa “arte del futuro”, e infatti, tra le avanguardie del ‘900 è quella maggiormente animata da un sentimento rivoluzionario di rinnovamento, di ribellione nei confronti della tradizione e di fiducia nelle possibilità offerte dal futuro e dalle sue innovazioni tecniche. Gli artisti della prima generazione di futuristi – Umberto Boccioni, in primis, e poi Carlo Carrà, Luigi Russolo, Antonio Sant’Elia, Giacomo Balla e Gino Severini – si pongono come obiettivo di risvegliare l’arte figurativa poiché non è più immaginabile che continui a dar voce a tematiche lontane dalla realtà, spesso vincolate a soggetti religiosi e mitologici.
E per farlo, guardano al Divisionismo, tanto che nel “Manifesto” della fondazione artistica del Futurismo (1910) si dichiara l’ammirazione per i pittori di questa corrente che hanno messo a punto una elaborata tecnica mutuata dal Post-Impressionismo e dal Puntinismo. I futuristi si approprieranno quindi della loro pennellata, pur non nascondendo la loro attrazione per le forme sintetiche, la scomposizione dei piani e la distruzione della prospettiva del Cubismo (di cui però rinnegano la staticità), e senza dimenticare che dal Neoimpressionismo prendono in prestito la luminosità cromatica e dai Nabis il simbolismo dei temi.
È partendo da questi presupposti tecnici che il Futurismo, si pone come chiave di rottura verso gli schemi del passato, assurgendo anche a precursore di idee ed esperienze del Dadaismo, delle avanguardie russe e delle neo avanguardie del secondo Novecento. Diventa così l’interprete di una vera “rivoluzione” artistica che vede quale ideale un’opera d’arte “totale” che supera i confini troppo angusti del quadro e della scultura per coinvolgere tutti i sensi, facendo di massimo contrasto cromatico, simultaneità (per determinare l’effetto dinamico) e compenetrazione (per liberare l’oggetto dai suoi confini), i suoi tratti salienti.
Raccontano tutto questo e molto altro ancora, snodandosi in un percorso in crescendo, le oltre 100 opere che animano le sale di Palazzo Zabarella, tutte appartenenti a un arco cronologico piuttosto ristretto, dal 1910, anno di fondazione del movimento in ambito pittorico, al 1915, quando la pubblicazione del Manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo e l’ingresso in guerra dell’Italia tracciarono un netto spartiacque nelle ricerche artistiche del movimento.
Opere d’eccezione, alcune delle quali inedite o esposte raramente, provenienti da gallerie, musei e collezioni internazionali, per un totale di oltre 45 prestatori differenti, un corpus davvero unico che già definisce il prestigio della mostra.
A siglare l’avvio della mostra, le radici simboliste del Futurismo e i legami con l’arte divisionista grazie al confronto tra i lavori di Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Giuseppe Pellizza da Volpedo tra gli altri, e quelli dei padri fondatori del movimento da Umberto Boccioni a Giacomo Balla, da Gino Severini a Carlo Carrà, da Luigi Russolo a Mario Sironi.
Un “dialogo” che attesta come questi primi futuristi siano accomunati da una formazione artistica di natura secessionista, legata alla tecnica divisionista e alla temperie simbolista di tardo Ottocento e di inizi Novecento.
Poi si scoprirà lo “Spiritualismo” con la meraviglia di Stati d’animo di Boccioni del 1911-1912 e Mercurio transita davanti al sole“di Balla del 1914, quali punte di diamante.
Di sala in sala si giunge nel cuore della mostra, che vede protagonista il “Dinamismo“, in cui si fronteggiano le opere di Boccioni, Balla, Severini, Sironi, Carrà, Russolo e quelle di Gino Rossi, Gino Galli, Ardengo Soffici e Ottone Rosai.
Ci si tufferà poi nella “Simultaneità“, con opere di Carrà, Boccioni, Fortunato Depero, Russolo ed Enrico Prampolini. Lo spirito rivoluzionario e di completa rottura con i canoni del passato, è il fulcro della “Vita moderna“, con opere di Sironi, Carrà, Boccioni, Antonio Sant’Elia, Fortunato Depero, ma anche di Aroldo Bonzagni e Achille Funi, emblemi del desiderio di una nuova vita, lontana da immobilismo e tradizione.
Si indagheranno poi i temi della “Tridimensionalità” della scultura e del “Polimaterismo” dove, a testimonianza dell’utilizzo in arte di materiali diversi, troveremo Forme uniche della continuità nello spazio e Sviluppo di una bottiglia nello spazio di Boccioni, i complessi plastici di Balla e Depero appositamente ricreati per questa rassegna poiché andati perduti.
Dopo una sezione sulle “Parolibere” il percorso si snoda fino a toccare il tema della “Guerra“, vista dai Futuristi come mezzo che permette di sbarazzarsi del vecchio e noioso passato e di far prevalere la gioventù. Troveremo in mostra capolavori firmati Carrà, Balla, Sironi e Severini.
Chiude il percorso appunto la “Ricostruzione Futurista dell’Universo“, con il concetto di ‘arte totale’ che si impossessa del mondo degli uomini e delle cose e che ha trovato proprio con i futuristi la prima, piena configurazione in seno ai movimenti d’avanguardia.
In copertina, Umberto Boccioni Meriggio. Officine a Porta Romana, 1910 olio su tela, 75 x 145 cm Collezione Intesa Sanpaolo Gallerie d’Italia – Piazza Scala, Milano.