Raffaello de’ Santi, al secolo Raffaello Sanzio (derivazione dal latino “Sancti”) , nacque a Urbino nel  1483 e morì a Roma nel 1520 a soli 37 anni. Tralasciando i  trascorsi della sua breve vita da grande e immortale pittore e architetto, mi sovviene un aneddoto, vissuto dall’illustre artista nel periodo in cui non era ancora famoso e viveva ai limiti della povertà a Firenze. ove si era trasferito nel 1504, per imparare le lezioni di grandi pittori quali Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti.

Raffaello non vi ha vissuto in modo continuo, ma ha continuato a viaggiare e a lavorare in varie città, come Perugia e Urbino, fino ad approdare a Roma intorno al 1508 per affermarsi definitivamente come pittore a soli 25 anni.

Premesso quanto sopra, si racconta che, nel periodo di formazione, durante uno suoi  viaggi, in un inverno molto freddo, si trovò ad albergare in una locanda umile e malmessa, stanco e affamato e senza il becco di un quattrino. Contava di vendere i suoi quadri che portava sempre con sé, nascosti nel suo pesante mantello rosso, sempre pronti per un’esposizione di fortuna. Approdato alla locanda, si scaldò e rifocillò, per essere in forze onde poter affrontare le fatiche dei giorni successivi. Purtroppo, dopo il primo e il secondo giorno non riuscì a guadagnare un soldo, e in qualche modo avrebbe dovuto pagare il locandiere: ben sapeva che non avrebbe accettato i suoi quadri. Un’idea fece strada nella sua mente, incoraggiata dalla necessità: tolse il suo mantello appeso a un chiodo ricurvo verso l’alto sulla parete  frontale vicino alla finestra e, sulla stessa porzione di muro, si mise a dipingere. Poi scese le scale, si recò alla reception, richiamò l’attenzione del locandiere manifestando l’intenzione di uscire. Il dubbioso locandiere  squadrò il giovane pittore, vide che aveva con se una grande bisaccia e dei quadri, ma Raffaello lo rassicurò:

– “Ho lasciato su il mantello poiché non vado lontano. Un cliente mi ha comprato questi quadri e vado a portarglieli, poi dovrò disbrigare delle commissioni e tornerò più tardi per pranzare e per pagare.”

Il diffidente locandiere lo invitò ad attendere giusto il tempo di andare a controllare. La stanza era vuota, ma il rosseggiante mantello era lì appeso al chiodo, illuminato dalla luce mattutina che ne risaltava il color carminio ed il contrasto con l’ombra delle pieghe.

Tranquillizzatosi, richiuse la stanza, tornò dal pittore, gli elargì un sorriso quasi volesse scusarsi per la sfiducia avanzatagli, quindi gli aprì la porta consentendogli di uscire: sapeva che senza il mantello non sarebbe potuto andare tanto lontano.

È l’ora di pranzo e Raffaello non è rientrato. Passano due, tre ore, il locandiere si reca più volte a controllare la stanza: il mantello è sempre lì, immobile, a garantire il ritorno del pittore. Giunge la sera, il pittore non rientra.  Il locandiere, preoccupato visita la stanza per l’ennesima volta, si avvicina al mantello, fa per afferrarlo, ma… si accorge di grattare il muro:  Il mantello era dipinto.  Basito dallo stupore,  indignato per essersi lasciato raggirare da un ragazzo, stupito per la fedeltà della pittura, si muove con l’intenzione di ritrovare il ragazzo ed esigere il pagamento, ma presto desiste dai suoi intenti: un pensiero gli attraversa la mente ripensando al dipinto:

  • (Se ha ingannato me per una giornata intera, significa che il ragazzo ha un grande talento e presto sfonderà. Questo dipinto vale molto più del soggiorno del ragazzo e avrà ancor più valore quando costui diventerà famoso!)

Fece incorniciare la porzione di muro dipinto, ponendo una lastra di vetro per proteggerlo.  Ritagliò dal registro la firma del giovane talento e pose la striscia di carta all’angolo basso destro del quadro.  Il pittore divenne presto famoso e la locanda recava l’iscrizione: “Qui soggiornò tre giorni il grande Raffaello Sanzio da Urbino”. Ai viandanti curiosi il padrone mostrava con orgoglio il magnifico dipinto ottenendo pubblicità. Le tariffe di soggiorno lievitarono non poco e la locanda in poco tempo diventò un prestigioso albergo, meta culturale di clienti danarosi, ove avrebbero potuto osservare una delle prime opere del grande pittore e passare intere notti in sua compagnia.

Non si sa per quanto tempo sopravvisse l’opera insieme all’albergo, né se Raffaello venne a conoscenza di tali fatti, dei quali è difficile trovare traccia. Ma questo racconto si è tramandato per generazioni fino ad arrivare alle orecchie di mia madre, che me lo raccontò quando vivevamo ancora a Firenze, città che a lungo è stata patria del grande artista.

Vincent

Scrittore, Musicista, Informatico

Fonte: Memoria verbale, raccontata da mia mamma nel lontano 1970 (Maestra elementare e Pittrice quotata, vincitrice della medaglia diamantata alla mostra di pittura a Londa (FI), nello stesso anno), riportata su un sussidiario della Scuola Elementare degli anni ’60. Non vi è traccia su internet