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Saturno, il grande dio di un’era passata

Alcune fonti letterarie collegano il dio italico Saturno con quello greco Crono. Tuttavia, questa tesi non appare condivisibile per svariate ragioni tra cui l’attenzione che i Greci mostrano per le cosmogonie che nei Romani risulta completamente assente.

Nella tradizione romana, infatti, non ci si interroga su come siano nati l’universo, gli uomini e le cose. Il mondo romano non possiede una genesi. Ci si sofferma per lo più sugli aspetti che riguardano il vivere nel presente e i corretti rapporti da mantenere con i mondi di sopra e di sotto nel rispetto dell’equilibrio, oggi diremmo, naturale.

LO SBARCO NELLE TERRE ITALICHE

Il dio Saturno, di cui la tradizione italica tralascia la provenienza, arriva per mare, in nave, ed entra nella nostra storia nel momento in cui sbarca sulle coste tirreniche. Non sappiamo chi o cosa fosse, né da dove venisse. Sbarcato sulla costa tirrenica viene accolto, con grande senso di ospitalità e amicizia, da Giano, antichissimo dio re delle terre laziali.

Saturno ha abbandonato ciò che (o chi) era e faceva. Per lui era giunto il tempo del riposo. Egli probabilmente era il dio regolatore di un’era precedente, come Giove è l’equilibratore del tempo attuale.

Giunto alla fine del suo mandato, Saturno desiderava solo riposare e Giano lo accoglie, lo protegge e gli offre un monte che prenderà il suo nome, Mons Saturnius (diventando successivamente il Campidoglio). In ricordo di quell’incontro, in epoca successiva fu coniata una moneta di bronzo che portava incisa da un lato la testa di Giano bifronte e dall’altro lato la prua della nave di Saturno.

IL REGNO DI SATURNO

In cambio di un’ospitalità così cortese e affettuosa, Saturno dona il suo sapere, gioia, serenità e ricchezze a Giano e al suo popolo. Accettare e ricambiare dei doni significava instaurare un forte legame e così Giano e Saturno iniziano a regnare insieme cooperando a beneficio degli abitanti del luogo.

Saturno, che conosceva i segreti della terra e sapeva come renderla ricca e feconda, insegna agli uomini l’agri-cultura, l’arte di avere cura dei campi, di coltivarli e comprendere il tempo giusto per seminare e raccogliere dominando l’aleatorietà dei cicli stagionali. Allontana, in tal modo, lo spettro della fame e insegna agli uomini a ridere e gioire della compagnia reciproca. Il periodo del suo regno è estremamente felice perché la terra dona prodotti abbondanti e non vi è divisione tra uomini liberi e servi. Gli uomini vivono in comunione con la natura senza preoccupazioni, fatica e miseria; liberi da afflizioni e diffidenza. Non esistono guerre né contese. Regna la pace e l’uguaglianza, ognuno ha coscienza dei propri doveri e porta rispetto per l’altro; c’è fiducia e lealtà.  Il mondo va secondo iustitia, conformità allo ius e all’ordine giusto di tutte le cose.

Accanto al dio, come sposa, c’è Ops, dea dell’abbondanza e della prosperità. È chiamata così perché procura agli esseri umani i mezzi, opes, necessari alla vita o anche perché la frutta e le messi nascono per opera, opus, della terra. Sarà invocata come Terra, Ops o anche Ops Mater dal momento che la terra è la madre di tutti gli esseri umani, li partorisce e li nutre.

Il regno di Saturno fu tanto felice da essere chiamato il tempo d’oro, un’era caratterizzata dall’assenza di mali. Non rappresenterà mai un modello naturale di vita, quanto piuttosto un modello culturale da imitare quanto più possibile.

Questi tratti sono gli elementi che ancora oggi contraddistinguono gli italiani e chi adotta uno stile di vita italiano: sapersi godere la vita, il buon cibo, il piacere di condividere gioiosamente e con spirito allegro gli eventi che ne scandiscono lo scorrere. Saper condividere ricchezze e spartire in povertà. Avere a cuore chi è in difficoltà e accogliere chi non ha più casa, sono i valori che albergano, di norma, nell’animo italico; anche se in questo strano tempo nel quale viviamo sembrano, alle volte, alquanto appannati.

LA SPARIZIONE

Quando giunge il momento di sparire, Saturno lo fa nel modo più sobrio possibile. Semplicemente sparisce o meglio non compare più agli occhi degli uomini. D’altra parte un dio non muore. Per i Romani, il non comparire, l’essere diventato invisibile, eppure esistente era l’espressione che designava la natura immortale. Saturno è il primo, ma a sparire saranno in molti: Enea, Romolo, Acca Larenzia.

A seguito della sparizione, Saturno divenne “latente” e si occultò, interrandosi, ai piedi di quello stesso monte dove lo troviamo ancora oggi. Il mons Saturnius da quel momento cambiò nome e divenne colle Capitolino (l’attuale Campidoglio, la storia di questo colle sarebbe già una storia in sé). Tuttavia, la memoria del tempo di uguaglianza, ricchezza e libertà, gli sopravvisse a lungo. La sua essenza spirituale rimase perpetuamente legata alla terra e alla gente del posto che continuò per moltissimo tempo a percepirne la presenza spirituale e a onorarlo.

Secondo una tradizione, il nome Lazio deriva dal verbo latere, nascondere ovvero dalla latitanza di Saturno nella terra che lo aveva accolto. Lascia il suo nome all’Italia tutta, la Saturnia tellus.

TEMPIO DI SATURNO

Alle pendici del Campidoglio, all’interno del foro romano, sono visibili i resti del tempio di Saturno.

Nel tempio venne posizionata una statua del dio con i piedi legati da corde di lana che venivano sciolte durante i Saturnalia per permettergli di muoversi indisturbato e recare ricchezza (da lì nasce il termine scatenarsi alle feste). Poiché il dio era sotterraneo, nascosto, custode dell’età dell’oro e dispensatore di abbondanza, i romani nascosero nelle cavità sotterranee del tempio il denaro pubblico (Erario), posto sotto la sua vigile protezione, affinché la risonanza col dio lo accrescesse e mantenesse l’età dell’oro e dell’abbondanza di cui l’Erario era la manifestazione terrena.

Il rispetto tributato a questo dio era immenso, Egli era colui che rendeva possibile l’accesso all’oro segreto. In questa funzione diviene chiaro il collegamento con Giano (che apriva la porta) perché Saturno rendesse possibile la fuoriuscita dell’oro dalla terra. In altre parole Saturno permetteva agli uomini l’accesso alla fonte spirituale collegata alla terra. Era per questo che chi aveva le qualificazioni spirituali richieste poteva accedere ai grandi misteri di Saturno (sul significato di piccoli e grandi misteri ci sarebbe molto da dire), con i quali si poteva accedere alla conoscenza profonda di se stessi.

ICONOGRAFIA

Nel periodo più antico gli dei potevano essere solo simbolizzati, non rappresentati. Le statue con gli dei in forma umana, a cui siamo abituati, sono frutto di un’epoca più recente (circa VI sec a.C.). Un dio poteva, quindi, essere simbolizzato e riconosciuto per un fenomeno naturale, un oggetto o un animale che, in qualche modo, ne lasciavano intuire la presenza.

Per Saturno questi simboli erano la falce e la cornucopia (un corno di toro o mucca da cui fuoriesce cibo). Con la falce si faceva riferimento alla fase di raccolta delle messi; radere le messi voleva anche dire livellare, rendere uguale. La falce poteva anche essere quella lunare e riportare all’idea di notte e riposo (la falce lunare). Con la cornucopia si faceva riferimento all’abbondanza di ogni bene, che contribuisce a cancellare le preoccupazioni e rende godibile la vita e la compagnia degli amici.

In epoca successiva, iniziò a essere rappresentato come un vecchio con lunghi capelli bianchi e una barba fluente, un mantello color porpora e una falce in mano.

ETIMOLOGIA DEL NOME

Il nome Saturno potrebbe derivare da Satus che significa semina ma anche origine e nascita. Un’altra etimologia lo ricollega all’aggettivo satur ovvero pieno soddisfatto, ricco fertile e abbondante. Un’altra ancora, collega il nome all’accadico, quindi semita, Satum (che beve molto) con l’aggettivante urnus che significa giorno o tempo (di-urno e nott-urno). Potremmo dire che il nome condensa l’idea di gioire, bere e godere in un dato tempo.   

SATURNALIA

A Saturno furono dedicati i Saturnalia, giorni di feste che andavano approssimativamente dal 17 al 24 dicembre, la settimana prima del nostro Natale e comportavano, innanzitutto, l’interruzione immediata e totale dei ritmi lavorativi. In quei giorni, tutte le lotte e le controversie erano proibite.

Il primo giorno era caratterizzato da festeggiamenti di carattere religioso e i giorni seguenti da banchetti e danze.

C’era un’aria di festa generale come a ricordare il periodo aureo del regno di Saturno. Erano il tempo dell’allegria, della baldoria e delle grandi bevute. In pratica un tempo di grande gioia e godimento collegato al bere e allo stare bene insieme agli altri. Durante i Saturnalia ci si poteva abbandonare alla spensieratezza e ai momenti di festa. Si sospendevano le regole sociali, si rivitalizzava il tempo mitico delle origini e si viveva nell’età dell’oro (il cinghiale bianco di una bellissima canzone di Battiato) per una settimana.

Durante quei giorni si poteva giocare a dadi, cosa normalmente vietata. Si giocava per un pugno di noci, ad una partita speciale, quella con il proprio destino stabilito attraverso un colpo di dadi (un tiro buono significava che la propria vita sarebbe migliorata).

Era un periodo di sospensione dall’ordinario scorrere del tempo. In quei giorni si cancellavano per una settimana le classi sociali e gli obblighi reciproci che comportavano. Non c’era distinzione tra liberi e schiavi, servi e padroni; vigeva l’uguaglianza. La toga era proibita e tutti, a prescindere da classe, età e rango, indossavano la tunica e il pileus libertatis, caratteristico berretto che segnalava l’affrancamento dalla schiavitù.  Con questo si ricordava che gli esseri umani sono tutti uguali dinanzi al divino. Sono i comportamenti a differenziarci, non la natura.

I festeggiamenti avvenivano nel periodo del silenzio e del riposo che caratterizzano la stagione invernale, della meditazione protesa alla gestazione delle energie divine e vitali. Era la settimana più buia dell’anno, quella che precedeva il solstizio invernale (il momento in cui il sole è al minimo) e faceva da preludio alla rinascita della luce. Questo momento buio, di difficoltà per essere affrontato e superato, richiedeva che tutti fossero solidali con la luce facendo la propria parte, con gentilezza, festeggiamenti, ebbrezza e gioia. In tal modo, la luce (il sole) poteva rigenerarsi e risplendere nuovamente per far emergere, dalle difficoltà, la forza indomabile della natura (viriditas) sia al di fuori sia all’interno dell’uomo, poiché fra le due nature (esterna e interna) non vi è che una illusoria separazione.

L’attuale periodo di Natale coincide proprio con questo tempo magico e sospeso durante il quale ci si può concedere il lusso di abbandonare tutte le preoccupazioni e i rancori che spesso affliggono le nostre vite.

In quel tempo invernale ci si salutava con le parole “Iò Saturnalia” e si era usi scambiarsi doni e cibo, le strenne. Ancora oggi il Natale, come periodo, reca in sé la sopravvivenza (incosciente?) di questa restaurazione periodica dell’età dell’oro, compreso lo scambio di doni, il cibo abbondante e le grandi bevute.

In quanto dio latens, Saturno è divenuto un sussurro sottile e perpetuo nascosto nella terra italica donando a tutti coloro che vi abitano, o soggiornano, la possibilità di sperimentare nel proprio profondo la letizia e la pienezza dell’età dell’oro. Purtroppo i tanti “rumori” di fondo della nostra attuale civiltà riempiono questo spazio interiore di detriti mentali, i quali rendono sempre più difficile percepire il murmure del dio che, nonostante tutto, continua a parlare con un bisbiglio appena percettibile, per chi desidera (e sa) ascoltare.

Spero che ritorni presto l’era del cinghiale bianco

Paola Romano e Paolo Maglio