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Terzo Millennio, era della “Rughetta”

Parlando in generale, la bellezza è un ideale intriso di soggettività a vari livelli: di epoca, di cultura, di ambiente, di comunità, infine personale. Molti canoni apparentemente soggettivi trovano riscontro oggettivo nella comunità in cui si idealizzano e si promulgano. L’ideale di bellezza è fortemente legato all’epoca, alla cultura, allo sviluppo sociale e, spesso e volentieri, alle “mode” di un popolo che, inevitabilmente, istituisce modelli. Nessuno, se non pochissimi, può negare la bellezza di una rosa appena sbocciata, di un pavone in fase di corteggiamento, un cucciolo di qualunque animale, un tramonto sul mare, un’aurora boreale.

Da qui i cosiddetti canoni, regole più o meno condivise che accomunano (o dividono) gli individui nel giudizio sull’estetica delle immagini. L’evoluzione di questi canoni, nell’epoca tecnologica corrente, vuole differenziare addirittura un’immagine digitale da un’immagine analogica. Concetto difficile, ma non più di tanto: un’immagine analogica è naturale, spontanea, scevra da simmetrie e costrizioni geometriche, regole stilistiche o modellistiche, come ad esempio un albero, una pietra, una montagna, una donna al naturale (ma anche truccata). La forma analogica non ha bisogno di spiegazioni, è assolutamente naturale, mentre si può ravvisare un’immagine digitale, ad esempio, nella torre Eiffel, una costruzione, un treno, l’anello o il bracciale.

Uno scultore modella un oggetto digitale quando utilizza il tornio; modella un oggetto analogico invece quando usa le mani per plasmare la sua opera, o, al massimo, la scovolina e lo scalpello. Questa discriminazione comunque non interferisce con i canoni della bellezza: si possono forgiare canoni per la bellezza digitale, vedi un ologramma femminile al massimo della perfezione geometrica leonardiana.

I canoni oggettivi di una bellezza digitale si possono ravvisare su quanto una figura digitale si possa avvicinare a un ideale estremo enfatizzato di una figura analogica. Ricordiamo la bella Jessica nel film “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”. Ma gira gira l’attenzione verte sulla figura femminile, quale riferimento principale, e non solo dal punto di vista maschile.

Nell’antica Roma la bellezza della donna era caldeggiata dalla sua carnagione bianca e dalla prosperosità naturale. La donna ante-terzo millennio è magra come un grissino, seno piccolo non oltre la seconda misura, alta, agile, sinuosa, la pelle preferibilmente abbronzata. Scrive Vitruvio: “La natura ha composto il corpo umano in modo tale che il viso, dal mento all’alto della fronte e alle più basse radici dei capelli, fosse la decima parte del corpo; la terza parte del viso, considerata in altezza, è dal mento alla base delle narici; un’altra terza parte è costituita dal naso stesso considerato dalla base delle narici al punto d’incontro delle sopracciglia e la terza parte va da qui alla radice dei capelli”.

In poche parole le tre parti mento-narici, narici-inizio naso, inizio naso-fine fronte, che completano l’altezza del viso, secondo Vitruvio devono essere uguali. Ma Vitruvio, nel I^ secolo a.C., aveva ereditato la Teoria della perfezione espressa secoli prima dagli scultori della conquistata Grecia. Questa Teoria rimane immutata ai giorni nostri e si traduce in pratica: la adottano i parrucchieri, gli estetisti, e nondimeno i chirurgi estetici, fino… agli scultori odierni… quando non allungano i colli delle statue e deformano o caricano le figure umane all’inverosimile con l’alibi della figuratività post-moderna.

Taluni canoni sono dettati dalla natura: per esempio l’uomo, per istinto primordiale, tende a privilegiare la donna bionda perchè biologicamente attesta l’assenza di rischio di rachitismo. Il rachitismo è stato sconfitto da cinquant’anni, ma gli istinti maschili non sono aggiornati. La donna bruna corre ai ripari… ossigenando i capelli.

Ma i canoni della bellezza del terzo millennio si evolvono: vogliono la donna snella ma non troppo, alta ma non troppo, e, incredibilmente… non troppo giovane. E’ il boom delle ultra quarantenni fino alla donna-pantera: l’età, la maturità, la compostezza, lo stile, il portamento, la rughetta che si insinua fra la guancia e il mento sfavillano un valore aggiunto di bellezza non solo estetica, che rende più appetibile la preda, non più bersaglio di istintivo appetito sessuale, ma obiettivo di carezzevoli corteggiamenti favoriti dall’intesa culturale ancorché ormonale. Un modello femminile completo d’insieme che non si limita alla bellezza esteriore, ma che enfatizza sempre di più le qualità e doti interiori.

In conclusione: la donna, non più oggetto del desiderio, la mamma non sfiorisce: si trasforma nel soggetto del desiderio.

Vincent
Scrittore, Musicista, Informatico