Strutture e decorazioni identificabili con i resti del Teatro di Nerone sono tornati alla luce in una indagine archeologica condotta dalla Soprintendenza Speciale di Roma nella corte interna di Palazzo della Rovere, sede dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Lo scavo ha restituito una articolata stratigrafia, che dalla tarda età repubblicana arriva fino al XV secolo.
“Si tratta di una scoperta di eccezionale importanza – spiega Daniela Porro, Soprintendente Speciale di Roma – che testimonierebbe uno straordinario edificio di età giulio claudia, il teatro dove Nerone provava le sue esibizioni poetiche e canore, noto dalle fonti antiche ma mai ritrovato. Di grande interesse anche i rinvenimenti medioevali e moderni, che arricchiscono le conoscenze storiche e topografiche sulla evoluzione di una importante area della città. Ottimi risultati scientifici conseguiti grazie alla proficua collaborazione con l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme“.
A nome dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, proprietario di Palazzo della Rovere, il Governatore Generale Ambasciatore Leonardo Visconti di Modrone ricorda: “Nella sede dell’Ordine, che finanzia istituzioni caritative in Terra Santa dove sono accolti cristiani e non cristiani in uno spirito di dialogo e di apertura interreligiosa, sono state avviate attività di scavo e di studio in collaborazione con la Soprintendenza, nella consapevolezza della responsabilità per la proprietà di conoscere, tutelare e valorizzare un Palazzo così importante sotto il profilo storico, archeologico e artistico“.
In antico l’area di scavo, iniziato due anni fa sotto la direzione scientifica di Renato Sebastiani e proseguito da Alessio De Cristofaro, archeologi della Soprintendenza, e condotto sul campo dall’archeologa Marzia Di Mento, si trovava all’interno degli Horti di Agrippina maggiore.
La vasta tenuta della famiglia giulio claudia, dove Caligola aveva costruito un grande circo per le corse dei cavalli e Nerone realizzato un teatro, di cui parlano Plinio, Svetonio e Tacito.
I resti venuti alla luce riguardano la parte sinistra della cavea a emiciclo, la scenæ frons, sontuose colonne finemente lavorate di marmi pregiati, raffinate decorazioni a stucco con foglia d’oro e ambienti di servizio, forse depositi per costumi e scenografie. Tutti elementi, insieme alla alta tecnica realizzativa e ai bolli laterizi, che concorrono a indentificare gli edifici ritrovati come il Theatrum Neronis testimoniato dalle fonti antiche.
Rarissimi esemplari di calici vitrei, brocche e materiale ceramico, insegne dei pellegrini, oggetti in osso e matrici per rosari, battuti stradali testimoniano l’evoluzione dell’area in età medioevale tra attività produttive e pellegrinaggi alla tomba dell’apostolo Pietro.
DAL TEATRO DI NERONE AI PELLEGRINAGGI MEDIOEVALI. IL RACCONTO DI TREDICI SECOLI IN UNO SCAVO
A partire da gennaio 2020, le indagini archeologiche effettuate nel Palazzo della Rovere hanno restituito un ricco palinsesto stratigrafico databile tra la prima età imperiale e l’età moderna, portando a importanti scoperte sia di resti degli Horti di Agrippina, tra cui spiccano strutture identificabili con il Teatro di Nerone, sia tracce delle attività insediative e produttive di età medievale.
GLI HORTI DI AGRIPPINA E IL TEATRO RITROVATO
Le fonti antiche attestano come negli Horti di Agrippina sorgesse anche un teatro, fatto costruire da Nerone, dove l’imperatore provava le sue esibizioni poetiche e canore. Ne hanno scritto Plinio, probabilmente Svetonio e Tacito.
Legata alla sola memoria letteraria e alle ipotesi degli studiosi, l’esistenza del Teatro di Nerone fino a oggi era circondata da una aura di leggenda: i nuovi scavi hanno finalmente permesso di riportare alla luce dei resti monumentali che la Soprintendenza Speciale di Roma propone di attribuire al celebre edificio neroniano.
Si tratta di due strutture in opera laterizia databili, grazie ai bolli rinvenuti sui bipedali, all’età giulio-claudia e la cui possente tecnica costruttiva testimonia un’opera di grande impegno economico e tecnico, frutto di una committenza di alto rango come si può evincere dall’apparato decorativo. Il primo edificio è caratterizzato da una pianta a emiciclo, con muri radiali e un sistema di accessi e di scale.
Tutte caratteristiche compatibili con una cavea teatrale, su cui sorgevano le gradinate per il pubblico, con scaenæ frons a ovest e un ricchissimo apparato decorativo, sembra di ordine ionico, con elementi architettonici e rivestimenti in pregiati marmi bianchi e colorati. Stucchi ricoperti di foglia d’oro – una tipologia che si riscontra anche nella Domus Aurea – impreziosivano probabilmente, sia l’interno che il prospetto della struttura.
Il secondo edificio perpendicolare al primo è costituito da una serie di ambienti con funzione di servizio: presumibilmente per ospitare i materiali e le attrezzatture utilizzati per gli spettacoli nel teatro, come scenografie, costumi. Entrambi gli edifici si affacciavano su una grande corte scoperta, forse circondata da un portico, e sembrano essere utilizzati come teatro per un periodo tutto sommato breve.
La stratigrafia indica come, già dai primi decenni del II secolo dopo Cristo, il complesso sia stato oggetto di un sistematico processo di smontaggio finalizzato al recupero di materiali, soprattutto lapidei, come testimonia un deposito di cinque colonne in marmi pregiati.
La posizione topografica all’interno degli Horti di Agrippina, come l’articolazione planimetrica, l’alta qualità tecnica delle opere murarie, i bolli laterizi e materiali, stile, raffinatezza delle decorazioni sono tra gli elementi che hanno portato a indentificare come il Teatro di Nerone le strutture del I secolo dopo Cristo rinvenute a Palazzo della Rovere. Maggiori certezze si avranno dai risultati di attente analisi e un approfondito studio di tutti i reperti rinvenuti.
MEDIOEVO CRISTIANO
L’altro importante nucleo di testimonianze archeologiche venuto alla luce riguarda il Medioevo. Dal X secolo l’area si connota per una serie di tracce di attività produttive e manufatturiere. Sia la cronologia che la localizzazione porterebbero a ritenere queste evidenze di pertinenza della Schola Saxonum, una delle più antiche scholæ peregrinorum che, in rappresentanza delle principali nazioni cristiane dell’Europa settentrionale, sorgono attorno alla basilica del primo degli apostoli, Pietro, con la principale funzione di accoglienza ai pellegrini in visita alla sua tomba.
Tra i reperti relativi a questa fase si segnalano alcuni esemplari di calici vitrei a colonnette, da interpretare come preziosi arredi liturgici. Le attività proseguono anche dalla metà del XIII secolo, con il passaggio dell’area all’Ospedale di Santo Spirito in Sassia – edificato tra il 1198 e il 1204 e ricostruito poi dalle fondamenta durante il pontificato di Sisto IV (1471- 1484) in occasione del Giubileo del 1475.
Il ritrovamento di numerosissimi ossi lavorati, semilavorati e matrici di rosari, porta a supporre che proprio la manifattura dell’osso dovesse costituire una delle attività primarie dell’area. Si tratta probabilmente di una produzione di oggetti strettamente legati al pellegrinaggio e al culto, che perdura per un periodo lunghissimo caratterizzandosi come attività artigiana tradizionale.
Di notevole importanza è anche il rinvenimento di una successione di tracciati stradali più volte rifatti e sistemati, collegati all’approdo sul Tevere a valle di Ponte Sant’Angelo, noto come Portus Maior e da mettere in relazione con la ripresa delle attività artigianali e commerciali documentata a partire dal XII secolo. Dagli strati di abbandono delle strade provengono due insegne da pellegrino (Volto Santo di Lucca, Santa Vergine di Rocamadour) e una fiaschetta sagomata a forma del gallo di San Pietro.
Le sequenze stratigrafiche medievali rappresentano un documento di grande importanza per la storia economica e sociale di Roma tra il X e la metà del XV secolo e permettono di ricostruire su basi archeologiche importanti aspetti del fenomeno del pellegrinaggio alla tomba dell’apostolo Pietro, sepolto in Vaticano nei pressi del Circo di Caligola. Proprio partendo dai ritrovamenti, quindi, in collaborazione con la proprietà, dopo la fine delle indagini i ritrovamenti verranno valorizzati all’interno dello stesso Palazzo della Rovere.
GLI HORTI DI AGRIPPINA LUOGO SIMBOLO DELLA DINASTIA GIULIO CLAUDIA
Tra la tarda repubblica e l’inizio dell’età imperiale un anello di grandi tenute, appartenenti alle più importanti famiglie patrizie e imperiali aveva circondato il centro dell’Urbs. Definite Horti erano caratterizzate da padiglioni ed edifici immersi nel verde adibiti allo svago e all’otium più che alla funzione residenziale. Primeggiavano per importanza gli Horti di Agrippina, di Domizia, di Lucullo, di Sallustio, di Lucio Elio Lamia (detti Lamiani), di Mecenate e gli Horti Spei Veteris.
GLI HORTI DI AGRIPPINA
Conosciuti attraverso le fonti letterarie antiche e alcuni ritrovamenti archeologici, gli Horti di Agrippina Maggiore – la figlia di Agrippa e di Giulia, moglie di Germanico nonché madre di Caligola – si estendevano nella piana del Vaticano (XIV Regio, Transtiberim), tra il Tevere, le pendici del colle di Santo Spirito e la Basilica di San Pietro.
Alcuni scavi archeologici del recente passato tra le pendici nord del Gianicolo, i sotterranei del complesso di Santo Spirito in Sassia e via di Santo Spirito, hanno portato alla luce strutture di età giulio-claudia lussuosamente decorate, che potrebbero appartenere al settore residenziale degli Horti.
Se Seneca ne descrive un viale, o una terrazza, che lambiva il Tevere sormontato da un portico, sappiamo dalle fonti come Caligola vi costruì un circo per le corse private dei carri. Del Circus Gai et Neronis o vaticanus, è nota la posizione lungo il lato meridionale della Basilica di San Pietro grazie a ritrovamenti di età moderna e all’originaria collocazione dell’obelisco in granito rosso che ancora oggi decora il centro della piazza delimitata dal portico di Gian Lorenzo Bernini.
L’obelisco, prima di essere spostato nel 1586 al centro della piazza da Domenico Fontana per volere di Sisto V, aveva decorato la spina del Circo restando in piedi e visibile dopo la fine del mondo antico per tutto il medioevo nella sua posizione originale, tuttora segnalata sul lato sud della basilica petrina.
Le fonti letterarie ricordano come negli Horti sorgesse anche un teatro, fatto costruire da Nerone, figlio di Agrippina Minore a sua volta figlia di Agrippina Maggiore. Qui l’ultimo degli imperatori giulio-claudi svolgeva le prove delle sue esibizioni poetiche e canore, e forse sempre qui, se ben si intende un celebre passo di Tacito, Nerone contemplò il rovinoso incendio del 64 dopo Cristo cantando i versi sulla caduta di Troia.
Sia il teatro che il vicino circo, pur costruiti all’interno di una grande tenuta privata, erano comunque aperti al pubblico, seppure in modi che le fonti storiche non precisano. Ma gli Horti di Agrippina erano certamente attraversati da due delle più importanti strade pubbliche del settore occidentale di Roma antica, le vie Cornelia e Triumphalis, che per il primo tratto attraversavano la piana del Vaticano sullo stesso tracciato, lambendo e, dunque, servendo entrambi gli edifici da spettacolo costruiti dai due imperatori “folli”.
Gli Horti erano entrati a far parte del demanio imperiale quando Caligola, che li aveva ereditati dalla madre Agrippina, divenne imperatore. Con la fine della dinastia giulio- claudia, tuttavia, i successivi imperatori persero interesse per questa tenuta, che venne progressivamente occupata da sepolture private e da necropoli.