Mancano due mesi all’apertura al Museo Bailo della grande mostra “Canova, Gloria trevigiana” e dai Musei Civici di Treviso giungono le prime anticipazioni di quella che si prefigura come la più importante mostra canoviana della stagione in Italia. E si chiarisce anche il significato del titolo, là dove si definisce lo scultore possagnese come “Gloria trevigiana”.
Fabrizio Malachin, direttore dei Musei Civici, evidenzia come la “trevigianità” derivi da elementi storici molto precisi. La città, all’indomani della scomparsa dello scultore avvenuta a Roma, decide di onorarlo con un monumento marmoreo ed una medaglia celebrativa, affidando la realizzazione del primo a Luigi Zanomeneghi e la medaglia a Francesco Puttinati. L’Ateneo di Treviso volle dedicare a Canova anche una sonata “con parole e musica appositamente composta per tale occasione dal socio onorario dell’Ateneo Maestro professor Rossini”.
L’attivismo dell’Ateneo non lasciò indifferente il fratello di Antonio Canova, Giovanni Battista Sartori, che nel 1837 donò al sodalizio trevigiano il volume monumentale con le incisioni delle opere di Antonio Canova. Si tratta di un unicum sia per le dimensioni, 90 x 73 cm formato chiuso, che per il contenuto, ben 86 rami realizzati da diversi artisti. L’opera, restaurata, viene esposta per la prima volta in mostra e riprodotta integralmente come allegato al catalogo. Nel 1845 fu realizzata una custodia per il dono con ganci idonei all’esposizione a muro.
Il ruolo di Treviso divenne fondamentale anche negli anni del secondo centenario canoviano della nascita dell’artista, quello del 1957. Potrà sembrare strano, oggi, pensare ad un Canova la cui fama era “piuttosto languente in una cerchia ben più vasta che non quella dell’affetto e della riconoscenza paesane, dopo un lungo periodo di quasi indifferenza per non dir oblio”, come scriveva Coletti. Attorno a Canova c’era ancora una certa “inquietudine critica”, tanto che “molti critici e storici illustri ne parlavano male, molto male”.
In questo clima irrompe la “Mostra Canoviana”, allestita nel 1957 a Palazzo dei Trecento, curata da Luigi Coletti che ebbe l’oggettivo merito di riaccendere i riflettori sullo scultore.
Legittimato il diritto di Treviso a definire Canova come “Gloria Trevigiana”, ecco le prime anticipazioni sulla grande esposizione al Bailo.
«C’è grande attesa per la mostra dedicata al Canova, oltre che per l’inaugurazione del nuovo Grande Bailo. Il pubblico potrà ammirare un nucleo molto importante di sculture e gessi del grande Maestro. Molti dei prestiti, anche eccezionali, per la mostra sono già stati definiti e confermati. Sarà una mostra bellissima che, ne siamo certi, riuscirà a celebrare il Canova, indiscussa Gloria Trevigiana».
L’Assessore alla Cultura Lavinia Colonna Preti anticipa che la mostra trevigiana intende svelare, per la prima volta al largo pubblico, «una serie di reperti conservati nelle collezioni civiche, mai sino ad ora esposti. A partire dai calchi della mano destra del Maestro e della sua maschera funeraria, autentiche “reliquie” dell’artista, entrate nelle collezioni civiche già in epoca ottocentesca».
«Per capire l’importanza di questi due “reperti”, chiarisce il Direttore dei Musei Civici Fabrizio Malachin, «bisogna tornare al clima culturale dell’epoca.”Quando, il 13 ottobre 1822, Canova muore a Venezia, scatta la caccia alle sue reliquie, quasi fosse un santo. Uno dei primi biografi, Pier Alessandro Paravia, riferisce che il giorno dopo la morte “si fece la sezione del cadavere alla presenza de soprintendenti Aglietti e Zannini, a cui si aggiunsero Pietro Pezzi e Tommaso Rima, chirurgo primario di questo nostro spedale”.
È lo stesso Paravia a pubblicare in antiporta l’incisione della “maschera cavatagli dopo morte”. Il gesso suscita oggi un po’ di sensazione “per l’efficacia con cui mostra la decadenza fisica provocata dalla malattia e dalla vecchiaia nell’artista della bellezza ideale”, ma ha un valore documentale relativo sia all’aspetto dell’artista che al macabro ‘mercato’, gestito da Leopoldo Cicognara in accordo con l’erede Sartori, che si fece subito dopo la morte. Un feticismo, sostenuto certo dal mito stesso di Canova, che portò all’eccesso di fare a pezzi un cadavere per conservare la memoria di uno spirito geniale. Così il cuore, simbolo dell’amore, è toccato ai Frari (da pochi anni è tornato a Possagno e ed è ora riposto accanto ai resti morali del Maestro nel suo Tempio). La mano destra, strumento della creatività artistica, al tempio dell’arte veneziana, l’Accademia delle Belle Arti. Il calco della mano sinistra a Possagno. E i calchi di Treviso, rari, sono quindi l’esito di quel mito che era evoluto in un culto, quasi si trattasse di un santo”.