La storia di Trieste ha inizio con il formarsi di un centro abitato di modeste dimensioni in epoca preromana, che acquisì connotazioni propriamente urbane solo dopo la conquista (II secolo a.C.) e colonizzazione da parte di Roma. Dopo i fasti imperiali la città decadde a seguito delle invasioni barbariche, ricoprendo un’importanza marginale nel millennio successivo. Subì varie dominazioni per poi divenire un libero comune che si associò alla casa d’Asburgo (1382).
Fra il Settecento e l’Ottocento, Trieste conobbe una nuova prosperità grazie al porto franco e allo sviluppo di un fiorente commercio che fece di essa una delle più importanti metropoli dell’Impero austriaco (dal 1867 Impero austro-ungarico). Città cosmopolita, rimasta in età asburgica di lingua italiana, importante polo di cultura italiana e mitteleuropea, fu incorporata al Regno d’Italia nel 1918 a seguito della prima guerra mondiale. Dopo il secondo conflitto mondiale fu capitale del Territorio Libero di Trieste, restando per nove anni sotto amministrazione militare alleata. In seguito al Memorandum di Londra (1954) si riunì nuovamente all’Italia, anche se, inizialmente, con lo status di città amministrata in forma fiduciaria. Dal 1963 è capoluogo del Friuli-Venezia Giulia.
Scambi culturali e prestiti lessicali tra l’antico e il moderno nelle principali lingue Indo-Europee. Già nel Medioevo, quando Trieste era un grande villaggio dove vivevano principalmente contadini, pescatori e alcuni commercianti, nella città si parlavano molte lingue: quasi un terzo degli abitanti parlavano lo Sloveno, un terzo il Friulano e il resto parlava un dialetto locale affine al Veneziano.
Più tardi, quando Trieste nel XVIII secolo diventò un importante porto e molti commercianti, imprenditori e banchieri vennero nella città, si parlava quale lingua franca, l’italiano ma anche altre lingue come il tedesco, il croato, il greco, l’ungherese e il turco. Tutte queste lingue hanno influenzato il dialetto triestino, cosicché molte parole straniere furono assorbite dal dialetto.
Caratteristico di questa città è che oggi il dialetto venga parlato dalla maggior parte della popolazione, quasi come segno della particolarità del capoluogo friulano: situata al punto d’incrocio di diverse culture, vuole conservare la sua identità. Anche sul posto di lavoro è ancora oggi usuale parlare il dialetto. E non dobbiamo meravigliarci se un impiegato delle ferrovie o delle poste o un bancario parla in dialetto con il suo cliente. Anche nelle famiglie si parla per lo più dialetto.
Tra i molti vocaboli, che derivano da lingue straniere, ne abbiamo trovato alcuni d’origine tedesca. Qui di seguito citiamo alcuni esempi:
Triestino – Tedesco
Bubez (garzone) - der Bube
Clanfer (lattoniere, idraulico) – der Klempner
Crafen (dolce tipico) – der Krapfen
Cucar (sbirciare) – gucken
Cucer (cocchiere) – der Kutscher
Cuguluf – der Kugelhupf
Sgnapa (grappa) – der Schnaps
Sina (rotaia) – die Schiene
Sinter (aguzzino, vessatore) – der Schinder
Sluc (sorso) – der Schluck
Rucar (spingere, scostare) – Rucken
Ruc (spostamento) – der Ruck
Smir (grasso, lubrificante) – die Schmiere
Snita (fetta di pane) – die Schmitte
Strica (segno, tratto) – der Strich
Stricar (segnare con un tratto) Streichen
Strucolo (dolce tip.) – der Strudel
Traiber (guardiano) – der Treiber
Wiz (barzelletta, scherzo) – der Witz
Altre parole del dialetto triestino di derivazione tedesca:
Ciompo : Monco, maldestro. Forse dal tedesco stumpf.
Clonz (klonz) : Stivale da contadino, scarpaccia, stivale molto grosso. Dal tedesco Klots (zoccolo).
Mismas : Zozza, guazzabuglio, cocktail. Anche fig. di confusione, andirivieni. Dal tedesco Misch-masch.
Spàrgher (spacher, sparghered, spagher, spraghert, sparcher, sparhert, sparghet) : Cucina a legna o a carbone. Dal tedesco Sparherd (focolare economico).
Tumbano : Stupido tonto, ignorante. Dall’antico tedesco dumm (sciocco).
Durante la prima guerra mondiale, un esempio rilevante di un triestino, sciolto e disinvolto in genere proclive all’accoglimento di innovazioni lessicali, sono le poesie del Leghissa, incentrate per buona parte sulla descrizione della vita militare nelle caserme e sul fronte austriaco. I termini, anche gergali, della terminologia militare, sono per lo più “TEDESCHISMI”, alcuni dei quali rimarranno vivi fino ai nostri giorni.
Esempi: Triestino Tedesco Befel (ordine, comando) der Befehl (comando)
Dal 1945 a oggi: a un certo momento della storia, il triestino sostituisce il suono s con sc; l’impiego della sibilante sorda s non si può dire con certezza se sia un italianismo ma ciò non toglie che la somiglianza con il tedesco sia molto notevole.
Tedesco die = Triestino Schiene (rotaia), scina e poi sina.
Gustosissime le osservazioni del protagonista di un racconto sull’apprendimento delle lingue straniere:
“Bel spagnol! Ma chi no sa spagnol? Cossa ocori studiar spagnol? Spagnol se se rangia. Segnor, segnorita… vàmos, vegnìmos, adelante. Unica roba che bisogna ricordarse xe che per spagnol aceite vol dir oio e burro vol dir muss. Per el resto cossa volè che sia? Inglese si, inglese servi. Adesso senza l’inglese no se pol moverse” (Le Maldobrie pag. 126)
“Cossa no i impara più tedesco a scola, me disè? Pensarse siora Nina, che una volta el tedesco iera el passpertù, el vademecum. Chi iera un omo se no el saveva tedesco?” (Le Maldobrie pag. 41)
Il dialetto per sua natura è una forma d’espressione verbale flessibile e infinitamente mutevole. Leggerlo stampato non è immediato: richiede la fatica di tradurre dapprima in suono le parole scritte, e poi quella di riascoltarsele cavandone un significato; per chi non ci avesse mai pensato, quando si legge normalmente, invece, le parole passano dritte dagli occhi all’intelletto (o dalla corteccia visiva all’area di Wernicke) saltando la fase vocale.
Fortunatamente esistono dei precedenti illustri molto noti – ad esempio Carpinteri & Faraguna – che hanno avuto il coraggio di scrivere in dialetto anche nel periodo buio in cui “iera poco fin”. Dai loro lavori – i numeri della Cittadella, Le Maldobrìe, Serbidiòla, giusto per citarne alcuni fra i più diffusi – possiamo trarre, oltre che il piacere di leggerli, anche una serie di regole orientative sul come tradurre in parola scritta quello che già siamo perfettamente in grado di dire a voce senza alcuno sforzo cosciente (vedi gli esempi citati sopra).
Interessante l’impasto di tedesco, triestino e italiano, linguaggio mitico e segno che il poeta Fery Fölker inventa per esprimere il legame che lo stringe alla sua terra e alle sue radici.
Titolo: Fery Fölker, Immer noch Triest, Trieste ancora (1978)
Adieu mein Oberst Verfluchter Jude Mein hübscher Wiener Mein lieber Papa. Te go zigà, attento. Vien qua oltre el muretto. In questa radura sora la dolina, il ghetto l’hai lasciato in Bucovina a zia Steif a nonna Regina. Vien qua sul Carso Fra rovi e pini E case de pietra grezze E tramonti azzurri de malinconia, Ti no te pol, ti mio splendido viennese, capir questo Carso duro forse scortese. Xe ciaro cossa te porti dentro de ti, un paese, un mondo una storia senza fine e me par de somigliarte. Inveze mi go davanti ai oci Questa mia città affondada In nave da battaglia rovesciada Su una secca nel Vallon de Muggia Senza lagrime gettò la sigaretta – l’ultima, diseva Ettore Schmitz- Impassibile gettó il fumo Mentre una stretta al cor me dà vertigine. E per finire citiamo alcuni versi da un’altra poesia un po’ malinconica dello stesso autore, che sembrano quasi come un epitaffio: "…Jawohl, mein Kapitän, alles verloren? Alles, ganz alles? Forse rimane forse a noi ne resta il lessico triestino la sua dolcezza-asprezza E dopo, se anche questo bastione cade? Ma ciò, papà mio vecio ebreo, ne resta monàde"
Che dire? il fascino del suono cadente del lessico triveneto carezza l’orecchio e imprime memoria. Toglietemi tutto, o Italia unita, ma non il dialetto.
Vincent
Scrittore, Musicista, Informatico
Fonte : Storia, Progetto scolastico http://lucio15.altervista.org/scambi/tedesco-6.htm