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L’Etna, ‘a muntagna de’ catanisi

Diggia’ la Sicilia sorgeva come una nuvola in fondo all’orizzonte. Poi l’Etna si accese tutta un tratto d’oro e di rubini, e la costa bianchiccia si squarcio’ qua e là in seno e promontori scuri. G. Verga

Il 2021 è iniziato col botto per noi siciliani, catanesi in particolare. Anzi, botti e lapilli. Dal 3 gennaio l’attività eruttiva dell’Etna è stata quasi incessante e ha dato spettacolo. O meglio, il resto del mondo si è goduto le immagini spettacolari diffuse quasi in contemporanea, noi ci siamo meravigliati, emozionati, anche un po’ spaventati ‒perché quando la Signora si arrabbia, non guarda in faccia nessuno‒ e alla fine ci è toccato spalare chili e chili di cenere vulcanica.

Ma noi siciliani senza l’Etna non saremmo quello che siamo. Noi l’amiamo da quando esistiamo e le tracce della nostra venerazione si perdono nella notte dei tempi. E no, non stiamo andando in confusione. Per noi l’Etna è femmina, e se senti un siciliano rivolgersi a lei al maschile, diffida: quello è un impostore. L’Etna è femmina perché per noi è a muntagna, è il simbolo più alto e potente della forza della natura. È madre, non tiranno. E, onestamente, non ce ne frega niente se altrove la chiamano anche Mongibello ed è IL vulcano attivo più alto d’Europa.

Avv. Antonino Salvo

Numerose sono le leggende che ruotano intorno alla nostra montagna: tra queste, molto nota è quella che riguarda la lotta tra il gigante Tifeo e Zeus.

Tifeo è figlio di Gea e Tartaro.

Il suo aspetto è mostruoso, il corpo è gigantesco e sulla sua testa si agitano cento serpenti.

Tifeo odia il re degli déi perché egli ha sconfitto i Titani, che sono suoi fratelli.

Divenuto adulto, perciò, Tifeo sfida Zeus a un duello mortale spezzandogli i tendini. Il dio si salva a stento fuggendo dall’Olimpo. Rianimato da Ermes e Pan, ritrova però le forze.

Tifeo invece va indebolendosi, ha incontrato le Moire che gli offrono cibo per comuni mortali. Spossato, riprende la lotta con Zeus ma stavolta a scappare è il gigante che si rifugia in Sicilia.

Qui, ferito a morte, viene trascinato e rinchiuso in eterno sotto l’Etna.

Si cunta da allora che tutta la Sicilia poggia sopra il gigante Tifeo.  Prigioniero sotto di questa, con le braccia distese e le mani sorregge i capi opposti di Peloro e Pachino mentre i piedi sono congiunti su Lilibeo.  La testa, poggiata sotto l’Etna, ha la bocca che coincide con quella del vulcano. Quando il gigante è proprio arrabbiato, da questa erutta lava, lapilli e ceneri ardenti. Causa un continuo tremore vulcanico tutte le volte che tenta di ribellarsi al suo crudele destino e quando è annoiato, si limita a sbuffare fumo bianco e grigio.

L’Etna è stata una musa per poeti, pittori, musicisti.

Ha ispirato anche uno dei passi più noti dell’Eneide di Virgilio, quello della fuga di Enea da Troia in fiamme, il padre Anchise sulle spalle e il figlioletto Ascanio al seguito. Il riferimento alla leggenda dei fratelli pii Anfinomo e Anapia è evidente. Ce ne parla già Strabone, geografo e storico greco (63 a.C.-23 d.C.) nella sua opera La Geografia (Γεωγραφικά) e poi Pausania, detto anche Pausania il Periegeta, scrittore e geografo anche lui (II secolo d.C.) nella Periegesi della Grecia.

I fratelli pii sono tuttora venerati dai catanesi come simbolo di pietas e li ritroviamo raffigurati in una delle piazze più importanti della città, Piazza Università.

Ci fa piacere condividere con voi questa parte della nostra storia e della nostra cultura:

Una volta, ma tanto, tanto tempo ai piedi dell’Etna, vicino a Catania viveva una famiglia di agricoltori.

La famiglia era composta dai genitori molto anziani e dai loro due figli.

I due fratelli si chiamavano Anfinomo e Anapia.

Un giorno, mentre erano intenti a lavorare nei campi, sentirono fortissimi boati. Era l’Etna; stava iniziando un’eruzione. Tutti iniziarono a scappare e a cercare la salvezza verso il mare ma non per questo molti trascurarono i loro averi; anzi, se li portarono con sé nella fuga.

Anche Anfinomo e Anapia, spaventati, decisero che dovevano fuggire, era forti e giovani e sarebbero stati più veloci di molti altri.

Tuttavia i loro genitori, erano vecchi e stanchi e non erano in grado di sostenere il passo veloce dei loro due figli per cui ben presto rimasero indietro.

«Pensate a mettervi in salvo» urlò allora il padre ansante «non preoccupatevi per noi, figli miei!»

I due giovani invece si fermarono e si guardano.

«Non possiamo abbandonarli» disse Anfinomo

«No, certo che no! Vivremo oppure moriremo insieme!» rispose Anapia.

 Tornati indietro, caricarono sulle spalle i due vecchi genitori incuranti delle loro proteste, ma ben presto furono costretti a rallentare il passo a causa del peso maggiore.

 La lava intanto era ormai prossima, raggiunse Catania e sommerse il centro storico. Neanche il fiume Amenano fu risparmiato si dice anzi che probabilmente in questa occasione ebbe da lui origine il Lago di Nicito.

In quanto ai due fratelli quando la lava giunse a un passo da loro, si biforcò in due lingue di fuoco, che scivolando a poca distanza da loro lasciarono indenni i due giovani coraggiosi e i loro genitori.

Anfinomo e Anapia furono da tutti acclamati come modello di amore filiale e in loro onore vennero innalzati templi, scolpite statue e coniate monete.

Catania, 20 03 2021

Maria Elisa Aloisi – Claudia Cocuzza

credits Fernando Famiani