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Suez o non Suez, questo era il dilemma

Ce passo?

Vai tranquillo, c’hai ‘n chilometro…

Chissà che gli istanti prima dell’incagliamento della Ever Given non siano andati così. Probabilmente sì. A ogni modo, mentre l’enorme nave da carico dava vita a decine di meme sui social, si è riproposto per i navigatori un dilemma che non si ponevano più da un secolo e mezzo da quando, cioè, nel 1869 è stato ultimato il canale stesso: come passare dal Mediterraneo all’Oceano Indiano, collegando Occidente e Oriente? Scaricando le merci dalle navi sulla sponda mediterranea dell’Egitto, per poi trasportarle fino al Mar Rosso con una carovana e da lì riprendere la navigazione, oppure circumnavigando l’intera Africa? E se invece facessimo tutto il viaggio sulla via di terra, tipo quei tre signori veneziani?

Dopo secoli, c’è chi ha scelto di aggirare l’Africa, temendo di perdere troppo tempo in attesa della risoluzione del problema; ma si tratta, chiaramente, di un’alternativa ben più costosa in termini di tempo e denaro rispetto all’attraversamento del canale di Suez, per non parlare del rischio rappresentato dai moderni pirati. Eppure si è fatto così per secoli, da quando i portoghesi hanno effettuato la prima circumnavigazione del continente africano con Vasco da Gama (nel 1498), mentre prima si viaggiava per via terrestre e prima ancora, in età classica, si prediligeva il viaggio che passava sempre dall’Egitto, attraversandolo però per via terrestre.

Per secoli, infatti, i romani hanno commerciato con l’Oriente passando principalmente da Alessandria d’Egitto e riprendendo la navigazione da uno dei tanti porti sul Mar Rosso, per poi arrivare fino in India. Nei primi secoli dell’Impero Romano, la via marittima (favorita dai monsoni se organizzata nei mesi giusti) era preferita a quella terrestre per evitare l’intermediazione – e quindi la limitazione dei possibili guadagni – da parte dei Parti, il grande regno che occupava l’altopiano iranico e con il quale Roma era spesso in conflitto. Anche la via marittima, tuttavia, vedeva un intervento dei mercanti locali: palmireni, arabi e cinesi si dividevano le tratte ad ovest e ad est dell’India, all’interno della tratta commerciale che univa Roma e l’Estremo Oriente.

Spicca, come eccezione, la vicenda di tale Maes Titianos, un mercante macedone o siriano – comunque suddito romano – che nel I secolo avrebbe percorso la via di terra dalla Mesopotamia fino ai limiti del regno dei Seres, come gli scrittori latini chiamavano i cinesi (in generale era un termine usato per i popoli che producevano e commerciavano la seta, ma in questo caso si parla precisamente della Cina). La vicenda di questo mercante è riportata solamente da Tolomeo, che usa a sua volta una fonte che conosciamo solo per suo tramite, cioè Marino di Tiro. Si è molto discusso sulla veridicità o meno di questa impresa, sul perché non abbia aperto un legame commerciale continuo con il Levante. Le ipotesi più plausibili riconducono l’eccezionalità dell’evento alle condizioni politiche delle zone da attraversare: la missione commerciale di Maes Titianos sarebbe avvenuta durante un periodo di pace tra Romani e Parti e seguita dall’instaurazione in Turkestan del bellicoso regno dei Kushana, che rese nuovamente instabili i possibili contatti con la Cina. Rimane il fatto, comunque, che Maes Titianos potrebbe non aver mai compiuto il viaggio e avrebbe, quindi, raccolto le informazioni sulla Cina da mercanti incontrati in Mesopotamia. Bravi tutti così.

Com’è come non è, in età antica i collegamenti anche di ampia distanza erano continui e frammentati tra più intermediari, se si eccettua l’incerta vicenda di Maes Titianos. Entrando nel Medioevo, gli spostamenti ebbero un brusco arresto, per poi rianimarsi con il passare dei secoli, finché singoli personaggi non decisero nuovamente di percorrere la via della seta (formata da più itinerari) per raggiungere l’Estremo Oriente, mossi da spinte diverse. Interessi commerciali ed esplorativi per Marco Polo e i suoi parenti, missione evangelizzatrice per tre frati, meno conosciuti del Polo ma che compirono separatamente dei viaggi simili al veneziano, anche prima di lui: Giovanni da Pian del Carpine, Gugliemo di Rubruck e Odorico da Pordenone. Fortunatamente, oltre al Milione poliano abbiamo i resoconti di viaggio anche degli altri tre esploratori, a loro volta ricchi di racconti fantastici ma in generale di enorme importanza storica. Non è questa la sede per approfondire questi testi ma sono una lettura straordinaria, una testimonianza diretta del confronto con il diverso, che in alcuni passi sembra più articolato di tante cose che si sentono oggi, a distanza di 7 secoli. Sempre perché il Medioevo è l’età buia…

Al tramonto del Medioevo, l’esplorazione vedeva primeggiare spagnoli e portoghesi: mentre i primi scoprivano l’America – grazie a un italiano, solo per dire – i lusitani effettuavano, come si accennava, la prima circumnavigazione dell’Africa, arrivando per la prima volta dall’Europa all’India senza mai scendere dalla nave. Sicuramente non ne furono contenti gli arabi, che vedevano il loro predominio commerciale nell’Oceano Indiano fortemente compromesso, ma era solo il primo passo di quella che nel tempo sarebbe diventata la corsa alle colonie, con protagonisti non più solo gli iberici ma anche francesi, olandesi e inglesi. Superare l’Africa, inoltre, smentiva una credenza a lungo diffusa: che il mondo, cioè, fosse diviso in tre fasce di cui una settentrionale e abitabile, una centrale troppo calda per la vita e una meridionale ancora abitabile, ma irraggiungibile per l’impossibilità di attraversare la calda fascia centrale. Per raggiungere l’Oriente, nonostante i tentativi di scovare il passaggio a nord-ovest sopra il continente americano, la strada rimarrà per secoli quella della circumnavigazione dell’Africa, fino all’apertura del canale di Suez, nel 1869, che tra le altre conseguenze avrà anche quella di rianimare il traffico nel Mediterraneo, fortemente ridimensionato dalla scoperta dell’America. Seguirà poi lo stretto di Panama (1914), senza contare che i protagonisti del commercio mondiale cambiano nel tempo spostandone gli equilibri, ma in questo caso ci interessava guardare principalmente al commercio tra Europa e Oriente e quindi al passaggio – che siamo abituati a considerare scontato – lungo il canale egiziano.

Il blocco di Suez della scorsa settimana, dunque, ha fatto fare un salto indietro nel tempo ai navigatori di tutto il mondo. La nave è stata sbloccata in pochi giorni perché l’uomo è per sua natura spinto a superare ogni ostacolo, che sia disincagliare un’enorme nave, scavare un canale per passare attraverso due continenti o aggirarne uno senza sapere cosa troverà più avanti e se è possibile farlo. È l’innata spinta dell’uomo per il progresso, per la conoscenza, per oltrepassare i limiti che a volte la natura stessa sembrerebbe porgli davanti. Eppure, che sia un oceano sconosciuto o lo spazio senza fine, un ostacolo fisico o una questione morale, in qualche modo l’umanità andrà oltre, sempre più avanti. È sempre un bene o c’è un limite? Sarà la sua rovina? Si arriverà a una Fine? Eh. Non sarà certo chi scrive a rispondere.

Giangiacomo Bonaldi