Quando racconta della situazione nel suo Paese, Maria ha la voce stanca, preoccupata ma lo sguardo è risoluto e fiero.
Parla di quiete prima della tempesta, perché quello che dicono ai media i talebani, sul fatto di rispettare le donne, è una menzogna, una frase d’effetto per una comunicazione priva di fondamento per dei guerriglieri estremisti. Loro rimangono sempre gli stessi identici a quelli di 20 anni fa e lei quei volti e quelle persone non potrà più dimenticarli.
Maria è una giovane donna afghana, che vive e lavora nel sestiere di Cannaregio a Venezia. In questi giorni sta vivendo l’incubo di sapere che sua mamma e i suoi quattro fratelli maggiori, con le rispettive famiglie, non saranno più donne e uomini liberi a Kabul.
La situazione è disperata soprattutto per le sue nipoti, cinque ragazzine dai 23 ai 12 anni che da un momento all’altro si sono ritrovate a non poter più uscire di casa.
“Sono preoccupate perché nei giorni scorsi, quando potevano ancora uscire non sono andate a comprare il Burqua e quindi se usciranno infrangeranno la legge. Stanno cercando dei nascondigli in casa, dentro gli armadi, si stanno preparando al momento in cui entreranno i Talib. Magari non succederà oggi, neanche domani, ma presto. Tornerà la violenza, la paura, la morte”, racconta con angoscia Maria, che spiega anche che la sua famiglia aveva scelto di non abbandonare il proprio Paese, confidando nell’appoggio dell’Occidente e in un futuro più roseo di quanto aveva riservato loro il passato.
Quando per la prima volta sono arrivati a Kabul i talebani, Maria andava in prima elementare e il ricordo di quegli anni è vivido e chiaro: la moschea ogni mattina e il Corano con cui ha imparato a leggere a scrivere. Perché quello doveva fare una bambina di 6 anni. Le donne, invece, dovevano rimanere a casa, niente lavoro, niente hobby, niente sport, non potevano uscire se non coperte e sempre accompagnate dagli uomini che per essere buoni mussulmani potevano svolgere solamente due compiti: lavorare e pregare.
“Mio fratello studiava medicina e accadeva che studiasse anche di notte. I guerriglieri vedendo la luce accesa entravano in casa, lo picchiavano e capitava che lo prendessero. Mia mamma allora stringeva al petto il Corano e si buttava ai loro piedi implorando di lasciarlo a casa, a continuare a studiare”.
Ma loro non capivano. Dopotutto, secondo Maria, si tratta di gruppi creati per accendere “fuochi”, senza idee, senza cultura, mossi da un estremismo che non trova seguito nelle parole del Profeta, in cui mai viene imposto di fare del male alle donne.
Da oggi in poi, invece, le afghane torneranno a essere schiave. Attiviste e studentesse che volevano cambiare il Paese, ora sono in pericolo, considerate fuorilegge e – soprattutto – un bottino di guerra per premiare i soldati. Ogni giorno dovranno preoccuparsi di restare vive o quantomeno “di non venire uccise per mano dei talebani, senza alcun motivo plausibile”.
Maria fa un appello ai governi e confida nelle organizzazioni umanitarie che possano fare qualcosa per salvare decine di sue concittadine, soprattutto quelle che si sono prodigate nella difesa dei diritti e della libertà femminile.
Nel frattempo la sua mamma è seduta davanti alla porta della sua casa a Kabul, con il Corano tra le braccia, pronta a difendere la sua famiglia con le uniche armi che le sono rimaste: le suppliche e le lacrime.
Ora come 20 anni fa.
Lorenza Raffaello