104 femminicidi da inizio anno, i numeri orribili di una strage inarrestabile. Possiamo parlare di progresso e civiltà di fronte a questi numeri? Di fronte a Donne spesso e ancora discriminate e maltrattate tra le mura domestiche, vessate dai mariti o compagni, dimenticate dagli amici, bistrattate sul lavoro, in momenti di assoluto bisogno e attenzioni?
Abbiamo fatto una chiacchierata volutamente informale con chi, per amore, ha subito. Per anni.
Bene, ti dico subito che ti darò del “tu”
“Beh, certo, mi vorresti dare pure del “Lei”?
Quindi, questo amore per l’uomo che hai sposato si è rivelato un po’ “movimentato” e non in senso buono…
“Guarda, che mio marito avesse un carattere non mansueto lo avevo visto fin dall’inizio, ma non aveva mai alzato le mani, anzi, era pure premuroso. Eravamo giovanissimi, neppure ventenne io. Si rideva, si scherzava, qualche volta si discuteva… era un uomo brillante, intelligente. Poi, nel 1973 decidemmo di sposarci…”
E lì iniziarono i problemi?
“Sì, di fatto esplose con scatti d’ira assurdi, anche nei confronti di mia mamma, non me lo sarei mai aspettato. Credevo dipendesse dal lavoro: era appena stato assunto, grazie a mio suocero, all’allora SIP, non lavorava proprio dietro casa. In realtà, fu davvero una brutta sorpresa. Nessuno si aspettava quel lato caratteriale. Bastava una giornata sbagliata e volavano schiaffi, urla, insulti. I miei suoceri abitavano al piano di sotto e facevano finta di non sentire. All’epoca, poi, nostro figlio era appena nato e io cercavo di sopportare il tutto, dedicandomi interamente alla famiglia. Per volontà di mio marito, poi, smisi di lavorare. E fu un grosso errore, mi ero completamente messa nelle sue mani.”
Potevi frequentare le amicizie, uscire, distrarti un attimo?
“Oddio, guarda, non proprio… la mia figura oramai era quella di mamma e casalinga. Amici sì, ma sempre in compagnia di mio marito, uscite poche, molte volte a casa. Pure quando andavo a trovare mia mamma era meglio mi facessi ritrovare in casa, all’opera. Più volte mi ha rinfacciato di esser troppo spesso da lei.”
Vita sociale azzerata, quindi… Tu, però, hai preferito non lasciarlo…
“Guarda, negli anni 70 e 80 non era poi così facile separarsi, noi eravamo una famiglia “operaia” a cui nulla mancava, mio figlio era ancora piccolo e da crescere, ho pensato non fosse il caso, ho preferito somatizzare la situazione, limitando i danni, ove possibile. Ricorderò sempre una sera, quando invitammo un amico per cena. Avevamo mangiato, riso, scherzato. Mio marito mi chiese più volte di riordinare la tavola, voleva far due scarti di briscola col suo amico, appunto, ma io stavo lavando e sistemando altri piatti. Ad un certo punto, prese la tovaglia e la tirò a terra, con posate e piatti ancora lì, bottiglie, caraffe, tutto. Ed io, poi, a pulire, in lacrime. Questi scatti erano diventati una triste routine, finché io caddi in depressione e iniziai ad esser apatica, stanca, inerme. Naturalmente lui aveva una bella cura per me, fatta di schiaffi e urla. Perché io, che dovevo “solo” lavorare in casa e star con mio figlio, non potevo esser depressa. Nel 1994 mi venne diagnosticato un fibroma maligno all’utero, ebbi delle complicazioni e rimasi ricoverata quasi 40 giorni, subendo 4 interventi. Da lì pareva esser rinsavito, addolcitosi.”
E poi?
“Beh, durò due anni, tre forse. Poi non so, crisi di mezz’età, forse non gli bastavo più. Cercava lo scontro, mi trattava malissimo anche psicologicamente, ancora e sempre di più. Con gli amici era sempre splendido, poi in casa mi umiliava costantemente. Sino a che una mia ex collega non pensò bene di provarci e lì scattò il tradimento. E sai, non è questo che mi ha fatto male, ma il contesto nel quale il tutto è avvenuto. Questa signora che lamentava con me d’esser sola, io che l’ho accolta in casa e lei che ha fatto quel che ha fatto. Con mio marito. Chiesi la separazione, ovviamente dopo aver parlato ed offerto perdono. Secondo lui, però, io dovevo accettare il tutto. E sopportare, tacendo. E lasciandomi pestare. Un giorno gli intimai di non avvicinarsi. Lui mi strattonò, mi trascinò per i capelli fuori della porta di casa. Poi la riaprì, perché urlavo spaventata, mi trascinò in bagno e si mise con le sue ginocchia, di peso, sopra il mio costato. Chi rientrò mi trovò ancora viva, a terra, con un filo di voce. Un’altra volta mi diede una sberla che udii un tonfo, stampandomi di faccia sul muro. E mia suocera, quella volta, salì e mi intimò di non urlare, altrimenti “gli altri” sentivano.”
Un bel disastro, direi…
“Guarda, il vero disastro e il vero dolore non erano le violenze di mio marito, ma l’indifferenza dei più. Temevano di intromettersi, e anche successivamente, non mi credevano. Neppure il referto del Pronto Soccorso ha convinto alcuni. Per fortuna pochi amici veri mi sono stati vicini. Neppure le urla che sentivano provenire da casa erano abbastanza convincenti. Non pretendevo che qualcuno venisse a salvarmi, ma almeno un po’ di comprensione. Negli ultimi anni, alcune “belle” persone hanno isolato me e frequentato lui. Per non parlare di mia suocera, che lo ha sempre giustificato anche negli atti più violenti. Vedi, non mi ha fatto così male il tradimento, magari a quello c’era rimedio, anzi, poi c’è stato rimedio, ma il fatto che nella sua violenza non è mai stato redarguito da nessuno al di fuori di me e mio figlio.
E penso a tutte le Donne che vivono questa situazione ancora oggi, che non sono tutelate dalle leggi, che non riescono a staccarsi da un uomo più simile alla più cattiva bestia, in alcuni momenti. Si vive terrorizzate, per noi e per i nostri figli. Si vive ai margini di una società che, davvero, non vuole complicazioni nelle amicizie. Al costo di vedere massacrata un’amica, al costo di non volerci credere per repulsione alla questione.
Pensa che un giorno mi mise le mani al collo, intervenne mio figlio, mio marito gli sferrò una gomitata e gli ruppe una costola. Un altro giorno, mio figlio si mise tra noi per separarci, nuovamente: mio marito fece per andarsene ma gli scagliò un colpo alle spalle, in pieno viso, da dietro.
Io credo non basti la Giornata Mondiale, credo ci voglia sensibilità, capacità di dialogo e comprensione ogni singola ora, con ogni singola persona. Da sole possiamo fare ben poco e da soli questi uomini diventano potenziali assassini.”
Non è proprio vero che, come scrisse De André, “quando si muore, si muore soli…”
Dopo un anno e più che il figlio allontanò il padre, proprio per l’ultimo episodio di violenza sulla propria madre, girata poi sul figlio stesso (per fortuna, altrimenti finiva molto male) diede in qualche modo la notizia di avere un tumore. Un carcinoma all’esofago.
Decisero di stargli vicino, dopo qualche mese era già alla fase terminale.
Poteva esser tutto molto migliore, per il passato. Decenni di tensioni e violenze, per poi morire in un letto d’ospedale così, accudito da quella Donna che tanto ha disprezzato durante il matrimonio e la separazione. E da quel figlio che comunque doveva capire.
Un giorno disse che anche le brutte esperienze insegnano. La loro risposta fu che non era necessario gliele facesse provare lui.
E davvero sua moglie non si è mai lamentata, è sempre andata avanti con la schiena diritta, con dignità. Colpe davvero non ne ha e non ne aveva.
Sperava nell’amore, quello sì. O almeno nel rispetto.
Così come moltissime altre Donne, ritrovatesi vittime, alcune di loro non più tra noi.
Gianluca Longo