La lezione del Covid-19

È importante riflettere e imparare da quanto accaduto.

Questa esperienza ci lascia del dolore per le morti e dell’amarezza per la crisi economica che si è determinata,  ma anche degli insegnamenti e dei motivi di orgoglio.

Cominciando dagli ultimi, sono orgoglioso di essere medico e grato ai miei colleghi che si sono adoperati là dove erano, in prima linea, a rischio e costo della propria stessa vita, per trovare una cura. Ed è grazie a loro, alla loro arte medica, al loro intuito scientifico, al rigore e all’impegno profuso, che si è capito come il virus uccideva, che non era una polmonite interstiziale, ma una Coagulazione Intravascolare Disseminata e si sono potute salvare vite ricorrendo a un farmaco noto e largamente utilizzato in medicina: l’eparina. E senza l’aiuto di nessuna istituzione.

Ancora, a Mantova, Pavia, Pisa medici della terapia intensiva hanno iniziato a usare il plasma iperimmune dei pazienti guariti. Anche questa è una pratica usata in tante patologie, a basso costo e di validata efficacia conosciuta da decenni. Con un valore aggiunto, quello della solidarietà di chi dona. Perché mai come in queste situazioni vale l’assunto che nessuno si salva da solo.  E non deve essere stato facile, senza avere nemmeno l’appoggio delle figure ufficiali, che invece criticavano perché non peer reviewed, ovvero non convalidati scientificamente, e frenavano l’entusiasmo nel veder guarire i pazienti. 

Dunque onore alla figura del medico, alla passione di chi esercita questa professione in scienza e coscienza, con fedeltà al giuramento di Ippocrate. Non sono eroi, sono medici. E se avevamo perso il senso di questa parola, l’epidemia da Coronavirus ce lo ha riproposto con forza. Medici che ci riportano a considerare la nostra professione come una missione, in cui l’obiettivo, come cita il giuramento di Ippocrate è quello “di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze”.

Altrettanto da italiano mi sento fiero e orgoglioso della solidarietà che ho visto in questi mesi difficili: volontari di tutte le età e provenienze hanno lavorato fianco a fianco per portare aiuto, sostegno, cibo alle persone sole e bisognose. Le spese sospese, i cestini dove lasciare qualcosa o prendere se si aveva bisogno, sono manifestazioni di un valore collettivo che non solo non si è perso, ma si è fortemente radicato, malgrado l’individualismo dei nostri tempi. E lo trovo straordinario. Per il valore del gesto in sé e perché ritengo che sia un elemento di salute del nostro vivere sociale, perché ha in sé gli anticorpi contro il degrado a cui l’individualismo porta inevitabilmente.

Ma come dicevo, il Covid ci deve anche insegnare.

A restituire valore alla prevenzione, una parola abusata, ma privata della sua virtù su scala collettiva.

La prevenzione è una disciplina medica che richiede investimenti: in risorse umane, in formazione, nell’acquisto di dispositivi di protezione individuale, nella definizione di procedure, nell’applicazione di misure atte a proteggere. Implica anche uno sforzo di pensiero, sia del medico sia della collettività, nel considerare fondamentali per la salute anche lo stile di vita, l’alimentazione, l’attività sportiva, l’avere tempo libero da dedicare alla soddisfazione dei propri bisogni. Tutti aspetti che per loro natura generano salute, anche meglio delle medicine. Implica costi e volontà e forse non paga sul momento, ma nel lungo periodo è un determinante di salute fondamentale per la collettività.

Il Covid ci ha insegnato che dobbiamo ridare la giusta importanza alla medicina di territorio, perché è la prima frontiera e il primo baluardo di un sistema sanitario. La presa in cura del malato già dai primi sintomi è determinante, perché permette di arginare l’evolversi della malattia, di rassicurare il paziente e diminuisce la pressione sugli ospedali. Osservando l’evolversi dell’epidemia in Italia abbiamo visto bene dove questa ha funzionato e dove invece è stata inesistente.

anche dove ha funzionato, sappiamo che poteva funzionare meglio. E soprattutto una cosa abbiamo imparato: che la medicina deve essere lasciata in mano ai medici e non ai burocrati.

Il medico di base, colui che più e meglio conosce la storia clinica del paziente, doveva essere messo in condizione di agire prontamente e in sicurezza.

Il medico ospedaliero che agisce in emergenza deve poter decidere prontamente quale terapia applicare per salvare un paziente, senza avere l’obbligo di rispondere a una burocrazia infinita.

Il nostro lavoro esiste per l’interesse della salute del malato e tutta la struttura sanitaria deve perseguire solo questo obiettivo. Va da sé che tutto quello che potrebbe impedirlo non è medicina e a noi medici non interessa.

La sanità deve produrre salute, non profitti. È un costo, come lo sono i letti di terapia intensiva, i respiratori, i farmaci, le mascherine, le visiere. La sanità pubblica, non accecata dall’interesse economico di alcuni, deve porsi come priorità la salute e il benessere del cittadino, altrimenti è destinata a fallire e a perdere il motivo per il quale esiste.

La sanità di cui abbiamo bisogno e che conta veramente è quella fatta dal medico che ha giurato “di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione”.

Quando riusciremo a capire che la struttura della sanità pubblica non è un fine, ma solo il mezzo che serve ai medici per curare i pazienti, avremo imparato la lezione del Covid-19.

Dott. Massimo Orlandini*

Un particolare ringraziamento a Barbara BALDI

*Medico Omeopata, laureato in Medicina e Chirurgia nel 1996 presso la Facoltà di Firenze, ha seguito un Corso di Specializzazione in Manipolazioni Vertebrali presso l’Università Pierre et Marie Curia a Parigi. Dal 1998 al 1999 ha seguito Corsi di perfezionamento in Medicina Manuale Ortopedica all’Università di Siena. Nel 2000 ha Conseguito il Diploma in Medicina Funzionale Omeopatica A.I.O.R. E dal 2002 al 2007 è stato docente di Medicina Funzionale Omeopatica in Associazione Italiana Omeopatia di Risonanza.