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Il Bug di Foucault

Questa bellissima macchina della modernità sembra non operare per vie misteriose. Una macchina che va dritta verso un punto e che spoglia il corpo dogmatico, lasciandolo libero di respirare l’aria pura.

Siamo questo, ci dice; noi ci sentiamo di essere proprio questo. Le intricate stringhe di equazioni e logaritmi arrivano al nocciolo composto da pochi semplici numeri finalmente scoperti, puliti e messi in bella mostra. La modernità pare aver messo, ancora una volta, a nudo il membro sessuale dell’essere umano, non più risultato di un discorso, ma come ciò che anticipa il discorso, ciò che crea ma in quanto creatore è stabile nella sua identità ed è fiero – ma molto spesso non entusiasta – di essere lui, tale e quale a sé stesso.

Questa stupefacente macchina del pensiero, questo Pensiero Profondo che è riuscito a trovare la risposta alla domanda, sarebbe buona cosa se non fosse per un piccolo bug che inceppa i suoi meccanismi. Un insidioso tafano che blocca questa fierezza originaria, che per un occhio incantato del suo disincanto può essere solo una crisi decostruzionista, ma per uno più in agio nel suo disagio, uno spunto rivoluzionario. Questo piccolo insetto insidioso che non lascia tranquilli i ragionamenti; che in segreto arriva di soppiatto e prende quella bellissima linea dritta pensante e nell’ombra la distorce rendendola ingarbugliata, un po’ come quando si tengono le cuffie nella tasca, prima ben piegate, poi, magicamente, da seguire come il filo di Arianna per sbrogliarle.

Quel dannato Foucault che rovina il party. Come quel pazzo con la lanterna in pieno giorno, arriva troppo presto e non trova posto in questo negativo positivismo.

Per ogni slancio vitale c’è lui, Foucault, che bastona.

Ed ecco che il nostro disagio, la nostra disagiante verità sui di noi e il nostro corpo finisce per essere solamente figlia di un discorso. È un gioco che nasce solamente quando nasce il gioco stesso, quando il grande e potente bambino del cosmo culturale si annoia e decide di cambiare giocattolo, e allora inventa storie nuove.

Eppure questo disagio sembra vero, esistenziale.

Infatti non è che non lo sia, ma necessario è sempre quel rimescolamento che non fa capo a categorizzazioni pur essendo questo nato in virtù delle categorie, nato dalle sue condizioni stesse di possibilità. Se c’è il bianco è perché c’è il nero, e così il contrario, se c’è il nero è proprio perché c’è il bianco.

Come uscirne? Come uscirne?

Uscire? Nah, impossibile. Non c’è nessuna porta con la segnaletica al neon; puoi uscire dalla tua vita? Dalla tua forma di vita?

Si è costretti ad accontentarci a queste eterne e caduche verità con l’impossibilità di muoversi? Di non respirare? Eppure è proprio perché non possiamo respirare che possiamo riempire i polmoni.

Si deve combattere. Foucault non riuscirà a far posare lo scudo, anzi, rende la presa ancora più potente, più consapevole. È l’anti bian-coniglio, è il ner-coniglio, che ci conduce fuori dal mondo della fantasia, mostrandoci un’umanità impossibile da cogliere, ma proprio per questo, da definire.

Matteo Abozzi