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Il falò di Ferragosto

Era il tempo in cui i ragazzi, al mare, ogni anno si ritrovavano con la compagnia.

Trenta, quaranta adolescenti da ogni parte d’Italia. I figli di papà e i ragazzi che lavoravano nei negozi e nelle sale giochi, la sera, si riunivano tutti insieme.

Ogni sacrosanto giorno.

Su tutti troneggiava Valentino, il gigante buono. Impegnato dalle 9 del mattino a mezzanotte nel negozio di pellami di famiglia, la sera era il guardaspalle di noi ragazzine.

I più grandi avevano la macchina e allora via a far casino in pineta, a rompere le scatole alle coppiette appartate.

Avete presente cosa significhi essere lì tranquilli a pomiciare, e trovarsi di botto gli abbaglianti di due o tre macchine che, a fari spenti, ti hanno accerchiato?

Poi si scappava via, ridendo come matti.

Oppure ci si assiepava sul retro del Typ1 Split Volkswagen, contorsionisti del sabato sera, per uscire tipo fiume umano in centro a Lignano Sabbiadoro, tutti rigorosamente in tiro, al solo fine di partecipare alle aste di quadri e portare un po’ di scompiglio tra i “matusa” con rilanci fasulli.

E poi arrivava Ferragosto.

Durante il giorno i vacanzieri si aggiravano per la pineta a raccogliere i rami secchi. Poi si andava a far la spesa, a cercare il posto, avvertire tutti suonando i campanelli o cercandoli nei posti abituali. Poco importava di perdere un giorno di mare: alle undici e mezza della sera, cascasse il mondo, c’era il falò.

Chitarre e canzoni intorno al fuoco, pizza, patatine fritte, schifezze varie. E risate. Un oceano di risate.

I baci, gli abbracci e i grandi amori estivi avevano come colonna sonora Gino Paoli, Claudio Baglioni, Lucio Battisti, Francesco De Gregori. Ogni tanto spuntavano i Beatles. Su tutti, però, troneggiavano Donna Summer e i Bee Gees.

Alle 23.50 si cominciavano a guardare gli orologi, mandando qualche affa ai clienti ritardatari che impedivano agli amici dei negozi di chiudere quei dieci minuti prima necessari a raggiungerci in spiaggia.

E poi li vedevi arrivare di corsa, togliersi i vestiti lungo il tragitto, urlando a squarciagola “Beh?! Ci avete lasciato qualcosa da mangiare?! E comunque manca un minuto a mezzanotte! Tutti in acqua!”.

Il bagno in mare la mezzanotte di Ferragosto, guardando i fuochi d’artificio immersi in un brodo salato, insieme agli amici di sempre, è uno dei ricordi più belli della mia adolescenza.

E quando vedo le teste chinate sugli smartphone, i libri letti nel kindle, che ormai uso anch’io anche se le pagine di carta hanno un profumo che niente e nessuno potrà mai cancellare, mi ritrovo a sorridere con tenerezza.

Il “progresso” per certi versi ha migliorato la vita, ma ha via via depauperato la bellezza dei rapporti umani.

E in quest’estate anomala di distanziamento di sicurezza – che mai chiamerò sociale, è svilire quello che siamo noi esseri umani – comprendo la voglia di libertà dei ragazzi che cercano il divertimento quasi a esorcizzare la paura per l’incertezza del futuro, lo stesso che hanno provato i nostri genitori nel dopoguerra.

I ghiacciai allora erano ancora tutti al proprio posto, ma nel 1979 arrivava la prima conferenza mondiale sul clima.

Il 2000 sembrava fantascienza. Figurarsi il 2020.

Noi ci guardavamo negli occhi, sognando di cambiare il mondo.

Con l’augurio che si torni presto a vivere senza paura, ma ricordandoci che nessuna emoticon vale quanto un sorriso che parte dagli occhi e arriva alla bocca, da tutti noi, Buon Ferragosto!

cricol