L’altro giorno, come mi è solito fare, feci uno di quei cosiddetti “giretti”, e capitai, come mia tappa abitudinaria – e direi al giorno d’oggi quasi essenziale per il morale settimanale – al mercatino dell’usato.
Dopo aver raccolto qualche libro dal costo di una manciata di euro, tra pagine ingiallite ed oggetti dimenticati da Dio, trovai un libretto che raccoglieva i vari modi di dire italiani: Il Libro dei Modi di Dire.
Pur essendo al verde, presi la palla al balzo e c’erano veramente tutti, dalla a alla zeta; sulle prime pensai di aver preso un granchio, ma dovetti ricredermi. Lo stesso giorno, visto che chi dorme non piglia pesci, invece di stare con le mani in mano, invece di battere la fiacca, decisi di leggerlo in un batter d’occhio (anche perché non era molto lungo, 120 pagine a occhio e croce). L’impaginazione era perfetta, e su questo non ci piove. C’era qualche refuso qua e la, ma veramente pochi, uno ad ogni morte di papa. Allo stesso tempo la qualità del libro in sé non era niente di che, senza infamia e senza lode, non era di certo fatto coi piedi. Le parole erano nero su bianco e tutti i puntini stavano sulle i.
Molti dei modi di dire contenuti nel fascicolo sono oggi caduti in disuso, ma non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, e, ve lo dico a cuore aperto, imparai molto dal quel simpatico libercolo, la mia lettura andò a gonfie vele. Su alcune pagine, soprattutto quelle dove si esponevano i modi di dire in dialetto a me altamente sconosciuti, di cui non sottovaluto l’importanza culturale, anzi, alzo le mani a riguardo, mi annoiai leggermente, però acqua in bocca, mi raccomando!
Volevo studiarlo per interessi personali, ma visto che 120 pagine di frasi da imparare erano troppa carne al fuoco, feci una seconda, ed anche una terza lettura. Ora ho a disposizione molte frecce per il mio arco ed avrò un asso nella manica in quelle situazioni imbarazzanti dove c’è sempre bisogno di quel saggio che ti da la soluzione quando si tratta di qualche gatta da pelare. Possiamo quasi dire che Il Libro dei Modi di Dire mi cadde dal cielo, e non solo, mi cadde a fagiolo tra le mie mani; chi mai avrebbe potuto trovare questo piccolo gioiello in mezzo a tanta fanghiglia inutile, è stato come trovare un ago in un pagliaio, ma, e me lo dicono tutti, mamma mi ha fatto gli occhi belli.
Dolce saggezza popolare! Ero al settimo cielo, ero a cavallo, ero un libro aperto come il libro che stavo leggendo, quasi fossimo la stessa cosa. I modi di dire erano diventati il mio cavallo di battaglia, erano diventati il mio chiodo fisso. Ma al contempo, quei detti erano diventati la mia gallina dalle uova d’oro. Ora riuscivo a sopravvivere ai contesti sociali: se prima, parliamoci chiaro e tondo, non valevo un fico secco, ora tutto andava sempre liscio come l’olio, ne sapevo sempre una in più del diavolo! So che per molti potrebbe essere niente di che, che io avessi scoperto l’acqua calda, ma non sono mai stato qualcuno che spreca il proprio fiato: stare con la gente è il mio tallone d’Achille, l’imbarazzo è la mia spada di Damocle, mi sento sempre come nella fossa dei leoni, come un elefante in una cristalleria, una frana; era come camminare sulle uova, ora invece riesco a darla a bere, vado a genio a tutti.
Un mio amico, al quale avevo parlato di questo libretto rivoluzionario, mi chiese se potessi prestarglielo. Sulle prime ero un po’ riluttante perché conosco il mio pollo, ma alla fine, dopo aver menato il can per l’aia per un paio di minuti, glielo concessi, dicendogli nell’esatto momento del passaggio di mano: “Pietro torna indietro!”
Come volevasi dimostrare, non me lo riportò mai più indietro, se la diede a gambe e feci la figura del fesso; un libretto trovato al mercatino dell’usato divenne il pomo della discordia di un’amicizia che andava avanti dai nostri migliori anni.
Mi disse poi che l’aveva pure rivenduto ad un suo altro amico e che non gli era molto piaciuto… oltre al danno, anche la beffa! Per carità, io non sono uno stinco di santo, ma questo era proprio un altro paio di maniche! Me lo sarei mangiato vivo! Rimanendo con un pugno di mosche in mano, piansi per la perdita di quell’oggetto così prezioso e me la presi col mio amico, gliene cantai quattro, ma solo ora mi accorgo che le mie non furono altro che lacrime di coccodrillo versate sul latte sul quale piove dove il gatto ci ha lasciato lo zampino… mi sto confondendo, sto prendendo lucciole per lanterne, fischi per fiaschi insomma. Comunque me ne feci di una ragione… ma bisogna fare di necessità virtù e me ne comprai un altro, di libretto, per sopperire alla mia tristezza, che si sa, chiodo schiaccia chiodo.
Matteo Abozzi