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Io e le Olimpiadi

Calcio da parchetto vicino a casa, tennis da circolo degli “scappati da casa”, sci alla “lo so fare, ma spero di non piallarmi contro le transenne” e poi finalmente trent’anni di Judo splendido, poco agonismo da parte mia, filosofico e maestro di vita e, per concludere, un terribilmente Zen tiro con l’arco. In tutto ciò chiunque abbia un curriculum sportivo di questo genere dovrebbe saperne parecchio di regole e contro-regole, di atleti passati e presenti e aspettare quasi con ansia parossistica l’inizio delle Olimpiadi.

Chiunque, tranne me.

Non sono mai riuscito a interessarmi allo Sport da TV quello comodo, da divano intriso di tifo, con l’urlo liberatorio in caso di vittoria o di mitica performance o da tragedia greca in caso contrario. Quello fatto di insulti all’arbitro, all’allenatore, all’intero Team e non importa se si tratta del solito calcio o di un torneo di curling passando attraverso la miriade di sport possibili e immaginabili. Quelli come me non sanno neppure quando cominceranno le Olimpiadi anche se, mi pare, tra pochi giorni. Anche quelli come me amano lo Sport però amano farlo, vogliono esserne protagonisti diretti.

Prendiamo in considerazione il calcio, l’ho praticato come probabilmente il cento percento dei bambini del ’56, sul primo prato vicino a casa con palloni improbabili. Solo per dare un’informazione ai giovanissimi: mai acquistare un “Super Tele”, un “Mondo” o un “Super Santos” perché sai quando gli tiri un calcio ma non saprai mai e poi mai dove andrà quel pallone. Erano talmente leggeri che eravamo tutti esperti di trigonometria, così riuscivamo, anche se con una certa approssimazione, a capire dove mirare per avere almeno una possibilità di indovinare il passaggio o addirittura puntare al gol. Ma questa è storia di meravigliosa vita vissuta. Dimenticavo: qualcuno giocava con le scarpe normali da città, i più fighetti avevano le Superga di tela e poi c’erano quelli al top, con gli scarpini tacchettati che erano una sorta di produttori di vesciche ma che per fare gli sburoni erano perfetti.

E poi il tennis, un pochino meno spartani con bellissime racchette Maxima Torneo, Spalding. Slazenger, Snauwaert tutte rigorosamente di legno e corde di budello. Palle Dunlop in confezione di cartone da tre pezzi o, se eri in soldi, tubo di metallo che così “si mantiene il sottovuoto e le palle non si sgonfiano”. La terra rossa era Dio, a volte però poteva capitare il campo in cemento ed era allora che ti sentivi svilito nel corpo e nell’anima e l’autostima come giocatore andava a farsi benedire.

E poi arrivò lo sci e qui c’è da raccontare qualcosa che a ripensarci mi fa ancora vergognare e allo stesso tempo ridere di gran gusto, in effetti sono stato un precursore di Fantozzi “azzurro di sci”. Antefatto: ai tempi del liceo tutti, dico tutti i miei amici, anche i più sfigati, sapevano sciare. Io pur essendo per metà Trentino sapevo scendere in apnea fino ai diciotto/venti metri – ho fatto sfiorare l’infarto a mia madre diverse volte – ma un paio di sci non li avevo mai agganciati né avevo idea di come si usassero.

Ma… ma l’animo dello “sburone” ha spesso il sopravvento e allora ecco la storia: avevo millantato una rovinosa caduta dagli sci intorno ai dodici anni e da quel giorno non li avevo più presi in considerazione per paura. Tutto funzionò per parecchio tempo ma il destino è bastardo e l’amore colpì: fidanzato con una sciatrice quasi provetta e alla fine della fiera costretto ad andare a sciare. Campo Felice, in Abruzzo abbastanza vicino a Roma, un posto dove possono scendere in due giorni metri e metri di neve e alla stessa velocità scomparire. Terribile, ma tant’è.  

E arriviamo al fatidico “metti gli sci e vedrai che te lo ricordi come si fa”. Vuoi deludere colei che ti accoglie tra le sue braccia e non solo? Mai! E allora ti fidi dell’unico sport che ogni tanto segui in TV che è proprio lo sci. Come si muovono quegli sciatori, che posizione prendono, che ci fanno con quegli accidenti di bastoni? E ti butti mentre dentro di te ti dai del coglione nucleare, eppure scendi e non cadi, continui a scendere e a non cadere fino ad arrivare a fine pista dove devi frenare. E una botta di culo, perché è l’unica possibilità, ti fa fare una grande, perfetta frenata. Bacio sexy da parte di lei che, però, ti ricorda che i bastoni si usano al contrario: per andare a destra si punta il destro per andare a sinistra il sinistro, non il contrario. Imparata la lezione ho continuato a sciare per anni copiando chi sapeva farlo. Poi qualche lezione tra Veneto e Trentino e anche le nere, quelle vere e verticali, ormai si fanno.

Infine è arrivato lui ed è scoppiato l’amore sportivo: il Judo. Le mie giornate di studio prima e di lavoro poi, avevano l’unico fine di arrivare al momento di salire sul Tatami, indossando un candido Jūdōgi, la nera Obi (la cintura) e piedi nudi. Trent’anni di amore sviscerato che mi hanno portato a conseguire il terzo Dan ma, soprattutto, mi hanno dato la meravigliosa possibilità di insegnare questa disciplina dai bambini di cinque anni fino ai ragazzi di diciotto, motli di loro hanno poi intrapreso la carriera agonistica cosa che non fa per me. Sono stato un ottimo insegnante e un buon sparring partner e come spesso accade chi sa insegnare non è altrettanto bravo in campo agonistico.

Si parlava di Olimpiadi se non sbaglio e sono sicuro fin d’ora che ne vedrò ben poche di gare escluso, forse e sempre che me lo ricordi, qualche incontro di Judo. La speranza è che non vada in finale qualcuno degli italiani perché in quel caso l’infarto arriva, o se arriva!

Per concludere, che tanto già vi siete abbastanza rotti le scatole di leggere, lo Sport è fondamentale anche per quelli come me, però ribadisco che ci piace farlo e poco ci attira lo schermo. Insomma è lo stesso motivo per cui non siamo attirati dai film porno perché è la pratica che conta!