È domenica, ma la sveglia suona presto anche se non c’è scuola oggi: la vendemmia ci aspetta.
Fai colazione, infila i jeans, le scarpe da ginnastica, magliettina e via, si parte.
In auto ancora sonnecchiante mi godo il viaggio, ogni tanto mi appisolo, ma come cambia il paesaggio, lo sento e mi sveglio subito. Sarà l’aria diversa, saranno i pochi rumori cittadini, fatto sta che ad un certo punto del viaggio non si può più dormire. Le colline trevigiane son così belle che si devono tener gli occhi aperti e gustarle, così verdi, piene ancora di colore prima che inizino a colorarsi d’autunno, così silenziose che il suono del traffico è rimasto lontano tenendo incontaminato il paesaggio. Solo qualche motoretta a scoppio e il suono di un trattore riecheggia tra un versante ed un altro.
Strada sterrata, ripida salitina, un bosco a destra, uno spiazzo a sinistra ed ecco casa di parenti.
La vendemmia è un modo come un altro di dare una mano, di ritrovarsi, di stare assieme e condividere attimi di vita rari per noi di città. Noi ragazzi iniziamo a giocare, corriam coi cani, su e giù per le collinette finché non arriva un fischio.
“Eeeeehi, ‘ndem zo!”
Andiamo giù! Giù, lì, oltre la collinetta c’è un piccolo vigneto, quella sarà la nostra esperienza condivisa di oggi. Io metto la bandana, in quel modo che tanto odiavo e che mi tirava sempre i capelli nel coppino, ma “il sole in testa fa male”, e quindi sopporti quei capelli tirati, smollando un po’ il nodo a poco a poco.
Andiamo giù in quel campo di filari, piante di vite messe tutte in fila, allineate con una perfezione geometrica tanto che l’occhio le vedeva unirsi all’orizzonte. Sembravano infinite, noi dovevamo arrivare lì, dove i due filari ai miei occhi si univano, e sembrava una distanza enorme.
Mi danno guanti e forbici… più che forbici eran cesoie, per tagliare i graspi de uva.
Quanto mi sentivo grande con quello strumento in mano, tenuta sempre d’occhio da mamma, ma era uno strumento da grandi, e quella era l’occasione per esserlo, anche se per un paio di ore.
Taglia il grappolo, tienilo in mano e appoggialo sulla cesta. Con l’attenzione di un chirurgo nel tagliare e la delicatezza di una mamma nel tenere in mano il proprio bimbo. Che poi, per la mano di una bambina mica era facile tenere sempre quei grappoloni così grandi e pieni in mano! Ma ero grande in quel momento, con le cesoie in mano, dovevo far la grande.
Tutt’al più cadeva a terra, e lo raccoglievo da lì.
Taglia, tieni e appoggia. Taglia, tieni e appoggia.
Così per un paio di ore. Tra una chiacchiera, una risata e un’altra.
Finché, quasi all’ora di pranzo, ci si divideva in due gruppi: noi donzelle salivamo a preparar il pranzo, mentre gli ometti passavano col trattore a raccogliere e svuotar nel cassone tutto il raccolto fatto e a lasciar le ceste vuote pronte per esser riempite nuovamente.
Un pasto semplice, una pasta al pomodoro e due fette di salame, arricchito da una tavolata piena di allegria, come se nessuno fosse stanco. Quando si lavora la terra è così, quello che dai ti torna indietro, e quelle tavolate erano pregne di una vitalità che solo la natura riesce a elargire.
La pausa ci dava giusto il tempo di rilassarci, lasciar che il sole non picchiasse forte come ancora fa nelle ore subito dopo pranzo, per poi ricominciare.
Taglia, tieni e appoggia. Taglia, tieni e appoggia…
Tra un leggero venticello, l’abbaiare del cane che si divertiva a correrci tra le gambe, tra il suono del trattore che andava e veniva, il profumo dell’erba, dei grappoli appena tagliati e qualche acino rubato per ristorarsi un po’, passava anche il pomeriggio, in totale armonia con la natura, e tutto ciò che ci circondava.
La vendemmia è anche questo. Raccogliere i frutti del proprio lavoro, condividerlo e gioirne assieme tra noi e la Natura.
Buona vendemmia a tutti!
Alessandra Collodel