“Diciam’ che la cacca fa schifo, ma ciò non è un dato oggettivo”
(“Silos” da Elio “Samaga Hukapan Kariyana Turu”)
Gli Elio e le Storie Tese sono stati probabilmente una delle band più odiate di sempre dalla massa nel panorama italiano, bollati come dei beoti che suonano delle musichine poco serie e “simpatichine”. Mentre tutta la scena underground degli anni ’90 vedeva nel gruppo una assoluta novità d’avanguardia. Quale delle due schiere ha ragione? Forse la verità sta proprio nel mezzo.
“Nel boschetto della mia fantasia c’è un fottio di animaletti un po’ matti inventati da me, che mi fanno ridere quando sono felice, mi fanno ridere quando sono triste, mi fanno ridere quando sono medio. In pratica mi fanno ridere sempre”
(“Il Vitello dai Piedi di Balsa”, da Italyan, Rum Casusu Cicti”)
Grotteschi, complicati ma allo stesso tempo troppo semplici, fastidiosi, maleducati, troppo poco seri. Questi sono solo alcuni degli aggettivi che gli venivano scagliati contro, ma non si capisce mai se sono insulti o lodi. Per poter capire appieno il complesso milanese bisogna cercare di dipingere una specie di fenomenologia della loro nascita, o più semplicemente: perché sono esistiti.
Lo stile degli Elii nasce per contrapposizione al mercato musicale della loro epoca. Senza la “musica seria” non avremmo mai sentito canzoni come “La Terra dei Cachi” o “La Canzone Mononota”, perché la loro musica nasce per esigenza, e non per richiesta di mercato. Mercato che viene preso in giro dallo stesso gruppo, facendolo nel modo più artistico possibile.
In sostanza: tutta la discografia degli Eelst è una grande denuncia al prodotto confezionato che deve rispettare determinati canoni per essere venduto.
“Mi ha detto mio cuggino che da bambino una volta è morto!“
(“Mio Cuggino” da “Eat the Phikis”)
Testi troppo demenziali per essere scambiati per musica impegnata, che si contrappongono agli arrangiamenti complessi e complicati da replicare anche per un musicista navigato. Ma ovviamente la parte che più salta alle orecchie degli ascoltatori sono proprio le liriche delle canzoni, e ci si chiede il perché qualcuno dovrebbe ascoltare canzoni dove si parla di cacca, sesso e altre “cosacce”.
I testi degli Elii non sono da “apprezzare” (ci sono poi i fan, le cosiddette “fave” che li sanno a memoria) ma questi devono essere vissuti come uno shock. Perché di fatto questo vogliono fare, vogliono scandalizzare. Ma perché era nata l’esigenza di scandalizzare, e soprattutto, perché ci sono riusciti?
Ancora una volta l’obiettivo era quello di denunciare il vuoto delle altre canzoni italiane che conquistavano l’opinione pubblica. Era troppo dilagante la produzione di canzoni veramente “senza senso”, quelle parlano di amore, poi di amore, e ancora di amore, reiterando sempre lo stesso concetto in maniere poco originali. La scena musicale e artistica era satura, negli anni ’90, come tutt’oggi, le canzoni che vogliono ottenere un profitto sicuro puntano a parlare di amore.
L’operazione Elio e le Storie Tese era destare gli ascoltatori, così hanno cercato di scrivere canzoni ancora più “vuote” di quelle già esistenti, parodiando i loro colleghi musicisti. In questo modo gli Elii hanno mostrato fino a che punto fosse arrivata l’esasperazione della musica, oramai portata al limite da prodotti musicali fatti con lo stampino.
“Discomusic discomusic, tu mi piaci così tanto perché fai ballare tutti quanti ed alle volte fai ballare anche me”
(“Discomusic” da “Craccracriccrecr”)
Amati alla follia da tutti i musicisti, per la loro musica tendente allo psichedelico: evidente la difficoltà degli arrangiamenti e la disomogeneità della struttura musicale/narrativa. Non sono molti i casi nei quali la struttura classica “strofa-ritornello” ha la meglio, quella stessa struttura che rende “orecchiabile” una canzone (dove con orecchiabile si intende “vendibile”). Le più belle canzoni degli Elii sono quelle che seguono la struttura della storia che raccontano. Si ricordano ad esempio “La Vendetta del Fantasma Formaggino”, un viaggio nel mondo delle barzellette e attraverso vari stili musicali, l’impossibile senza-tempo “Pagàno” o “Abate Cruento” che dipinge un quadro dentro un quadro dentro un quadro. Inoltre la musica degli Elio e le Storie Tese è caratterizzata dal fatto che l’artista non è asservito alla musica, ma esattamente il contrario. Non contenti di essere limitati da un genere, a seconda della storia che viene raccontata viene cambiato lo stesso genere musicale.
“E la morale di questa storia è che la mer*a non è così brutta come la si dipinge”
(“Cateto” da “Samaga Hukapan Kariyana Turu”)
Questo breve excursus sui motivi che rendono tuttora gli Elio e le Storie Tese dei grandi artisti era per dire che gli stessi che hanno odiato, ed odiano, il gruppo milanese devono odiare solo se stessi, poiché è colpa loro se queste “canzonette” hanno visto la luce. È stata colpa della troppa omogeneità del mercato, e la nulla pretesa di originalità da parte degli ascoltatori, che ha fatto sì che potesse nascere l’anti-musica “Eliana”.
Perciò gli Elii sono da superare? Per come l’abbiamo posta, essi sono come una pietra d’inciampo che ha la funzione di far riflettere cosa la musica sia diventata, e di conseguenza cambiarla. Di passare oltre.
Beh, gli stessi componenti del simpatico complessino hanno deciso che dovevano essere superati, essendosi sciolti… anche se molte volte (anche mascherandosi per non sembrare loro) già hanno avuto occasione di risuonare insieme dal vivo…
Abbiamo ancora bisogno di Elio e le Storie Tese? I fatti sembrano dire di sì.
Matteo Abozzi