Un bicchiere mezzo pieno rassicura l’ottimista, un bicchiere mezzo vuoto tormenta il pessimista, ma il bicchiere è sempre lo stesso, innocente o colpevole suo malgrado, testimone involontario di un illusorio contrasto di opinioni.

Il giornalista di cronaca bianca, nello sforzo di essere obiettivo, descriverebbe il bicchiere “occupato al 50%”, ma il suo collega di cronaca nera, con pari impegno, lo descriverebbe verosimilmente come “bicchiere disoccupato al 50%”.

Come direbbe il mio vecchio insegnante di fotografia: “Perfino l’obiettivo della macchina fotografica non è obiettivo perché dipende da chi inquadra”. L’obiettività vuol essere il punto di partenza di qualunque credo, filosofia, religione. Per la maggior parte delle religioni si risolve nel delegare a un’entità astratta il giudizio totale del nostro operato, nonché la guida spirituale del nostro futuro.

I profeti di turno si sono prodigati, sacrificati e immolati, armati di tutte le buone intenzioni, per proferire, mediare e trasmettere una sola parola: la verità. Semplificando, l’uomo, questa entità biologica intelligente, dopo aver superato i passi dell’evoluzione essenziali, dall’Australopiteco all’uomo di Neanderthal e da qui all’odierno uomo di Cro-Magnon, oppresso dalla sua stessa capacità intellettiva, non può vivere senza un riferimento astratto che lo guidi a muovere i suoi primi passi verso la vita in comune con i suoi simili per operare le scelte giuste.

Come un computer che ha bisogno di dati per compiere la sua elaborazione, l’uomo ha bisogno di tesi, ipotesi e assiomi per condurre la sua esistenza insieme agli altri e, laddove la sua ragione inciampa nei postulati, ovvero non trova riscontro oggettivo nei fatti, inventa spiriti, buoni, cattivi, saggi, ostili, vendicativi, salvatori, bianchi, rossi, neri, etc. entità immateriali che aiutano a combattere il panico del mistero. Gli spiriti si evolvono in svariate divinità, poi si consolidano in déi, più o meno numerosi, alimentando varie e solide mitologie, fino a confluire faticosamente in un solo dio, compatibilmente con la cultura e le consuetudini del luogo in cui esercitano la loro funzione.

L’uomo, sempre con salti di millenni, istituisce, in diverse formule nel pianeta, quella pratica doverosa da osservare per la propria salvezza, che chiama “religione”. E dove c’è religione c’è un dio (o più dei) buono ma punitore, severo ma giusto,  spesso clemente ma non sempre indulgente, instancabile, onnipresente e sempre attento: un dio a immagine e somiglianza dell’uomo che l’ha creato e sul quale ha fondato una religione, il cui presupposto è la creazione dell’universo e di se stesso al centro dell’universo.

Una divinità, tre divinità, più divinità distinguono una religione monoteista da una politeista. Naturalmente questi modelli di religione possono esprimersi soltanto dopo l’invenzione dei numeri interi, da quando cioè un unico simbolo rappresenta un’entità singola o multipla e ne quantifica la consistenza. Verosimilmente la religione, nella sua essenza, epurata dalle sfaccettature interpretative e oscurantiste, protegge,  in accordo preterintenzionale con la natura, la continuità della specie umana, cerca di mettere d’accordo gli uomini nell’osservare regole di sopravvivenza: diversamente l’uomo si sarebbe già estinto.

La religione, nella sfera dell’umanità, protegge la vita a tutti i costi, privilegia la vita del bambino a svantaggio dell’adulto, ammette la poligamia nei tempi di scarsa popolazione, sancisce la monogamia per arginare il sovraffollamento. Ancora istituisce regole di vita e di salute per favorire la felicità propria e compatibile con la comunità, istruisce sulla differenza fra il bene e il male e promuove il premio o la punizione post-mortem: il paradiso o l’inferno. Ma chi decide il destino di quest’uomo per le sue azioni buone e cattive perpetrate nel corso della sua vita? dio, oppure, se più di uno, gli dei. Quale degli dei? certamente quello più autorevole, oppure il consulto della triade, o l’assemblea plenaria sulla nuvola divina.

Con il progresso dell’uomo queste divinità si svalutano, man mano che le inevitabili conclusioni umane abbattono i muri della naturale ignoranza e aprono nuovi orizzonti: il dio dei fulmini e il dio del sole vengono esautorati del loro potere divino fino a divenire un pianeta e una stella. Mentre il progresso scientifico mangia terreno alla divinità di turno fino a soppiantarla, con ipotesi che presto diventano leggi umane, la divinità migra sempre più in alto soffermandosi sul fronte dell’inspiegabile alla tappa del tempo che la caratterizza, fino a diventare una totale astrazione. Quando finalmente la mente umana è costretta a fermare la sua arrogante posizione scientifica di fronte allo spazio infinito, ai buchi neri e alla gravità che regna da collante dell’universo, la divinità è lì, che aspetta al varco dietro il confine dell’immenso, pronta a ricandidarsi come soluzione del mistero inespugnato della creazione. Alla domanda “Adesso che avete scoperto la gravità, quali secondo voi sono le cause, ovvero, cosa c’è dietro tale fenomeno?”, Isaac Newton rispose lapidario: “Dio!”.

Il mito chiave: “chi ha creato l’universo?” certamente “qualcuno”. Ma chi ha creato “qualcuno” che ha creato l’universo? semplice: questo impalpabile qualcuno ha creato anche il tempo, quindi ne è al di fuori, perciò “nessuno” può aver  creato “qualcuno”, perché qualcuno è sempre stato e sempre sarà. Ma è solo uno? o sono tre? uno in tre o tre in uno? possono essere stati anche più di tre. Perciò questo “qualcuno” è già una grandezza numerica che parte da 1 e può arrivare a dieci, forse venti? mah, dipende dalla “convenzione” ancorché convinzione religiosa.

Abbandoniamo questo mistero che sopravvive da millenni che contraddistingue il “monoteismo” dal “politeismo”, sui quali ritorneremo, e vediamo un attimo questa divinità, singola o multipla che sia, come governa l’universo, o meglio quella infinitesima parte che ci riguarda, che è il nostro mondo. “Dio è buono, ci ama e ci protegge”, recita una religione a caso, “ma regala il paradiso a chi se lo merita”.

Come sarebbe “se lo merita” ? non ha creato “Lui” (per il monoteismo, “Loro” per il politeismo)  tutti noi e tutto ciò che è intorno a noi, mente e capacità decisionale compresi? A quanto pare ha creato anche il bene e il male, cosicché l’uomo con la sua intelligenza può operare la scelta giusta nel “libero arbitrio” che gli è stato concesso. E l’animale? A quanto pare “Lui” ha creato animali, insetti e vegetali in stragrande preponderanza numerica rispetto all’uomo. “Sì, Dio ha creato la Natura e poi l’uomo”. Ecco, adesso ci siamo. La Natura terrestre esiste da circa 4 miliardi e mezzo d’anni, decorre otto miliardi e mezzo di anni dopo il “Big Bang”, mentre l’uomo capace di un’evoluzione intelligente, il su menzionato “uomo di Cro-magnon” esiste da poco meno di quarantamila anni. La Natura difende se stessa, la vita, la sopravvivenza delle specie. La mamma di qualsiasi animale protegge i suoi piccoli, perché l’istinto (una delle tante creazioni divine) le dice che solo così la sua specie continuerà inverosimilmente all’infinito, verosimilmente finché le condizioni ambientali lo consentono. In teoria, dunque la natura preserva l’ambiente affinché la procreazione di animali, piante, batteri e virus abbia luogo.

Per preservare l’ambiente terrestre il sole deve “funzionare” incessantemente. Ma il sole come è nato? una concentrazione di gas “raccolti” dallo spazio e confluenti in un centro di gravità che li comprime favorendo reazioni chimiche che provocano quell’irradiazione che produce quella luce che dà la vita. Ma come il sole e più del sole esistono migliaia di miliardi di stelle, quindi pianeti, quindi satelliti, poi comete, poi buchi neri in uno o più universi… e poi? non finiremmo più perché il creato non ha limiti, come non ne ha il creatore. E torniamo al punto di partenza. Perché “un” creatore? o più di uno? se attribuiamo un numero a qualcosa le diamo già carattere di concretezza o astrazione, quindi di esistenza. Ma non c’è esistenza senza creazione e non esiste creazione senza creatore. Il numero l’abbiamo inventato noi e nemmeno tanto tempo fa, quindi attribuire un numero (un dio) all’essenza stessa dell’universo e all’immensità  della materia oserei dire sia troppo limitativo.

Quantificare la divinità suona “blasfemo”. Come disse Dio nelle vesti di un bambino al grande Sant’Agostino: “Se ti sembro stolto quando porto il mare dentro la buca scavata nella sabbia con il guscio della mia noce, cosa puoi sembrare tu quando vuoi far entrare nel tuo piccolo cervello il mistero dell’infinità del creato?”. Così l’uomo, nella sua infinita presunzione attribuisce un misero numero all’inizio di tutte le cose. Quale può essere dunque la formula rappresentativa della “creatività”, alternativa al monoteismo e al politeismo? per non dire che non ce n’è, per non paventare l’idea di dover venerare il nulla, potremmo istituire lo “Zeroteismo“. Quanti sono gli dei? uno, nessuno, o centomila? Zero. Attenzione: zero non è il nulla, ma è il numero dell’equilibrio, l’entità numerica che segna il confine fra l’esistenza e la non esistenza, fra il positivo e il negativo, fra il caldo e il freddo.

Misteriosamente, in termodinamica, zero gradi centigradi determina il cosiddetto “punto triplo” dell’acqua: a zero gradi l’acqua si congela, si scioglie ed evapora, una “trinità” di eventi allo stesso tempo. Zero è la forma del cerchio, che non può essere mai “quadrato”. Con tutti i numeri a disposizione non potrà mai essere diviso per quattro. Zero quale divisore produce l’infinito. Zero è una misura impossibile, impraticabile (nessun recipiente contiene zero litri, non sarebbe un recipiente, niente misura zero centimetri, c’è sempre una virgola e un numero anche dopo un’infinità di zeri dopo la virgola). Zero è il numero (o, se vogliamo il “non numero”) perfetto che sembra non rappresentare niente, ma senza lo zero non esistono gli altri numeri, non esisterebbe la matematica. Intorno allo zero orbita l’infinito. Lo Zeroteismo è il vero incontro fra il bene e il male, fra il monoteismo e il politeismo, l’alveolo vuoto che racchiude l’universo (o il multiverso) nella sua infinità, quindi l’essenza stessa della creazione senza spazio e senza tempo. Il tempo e lo spazio, come il bene e il male sono la nostra dimensione, quantificate numericamente. Dio, lo zero che regna nel tempo e nello spazio non è né buono né cattivo (dato che avrebbe creato anche il bene e il male), come non è cattiva l’Ape Regina quando uccide il fuco che l’ha messa incinta, come non è cattiva mamma Pesce quando dopo aver partorito 50 pesciolini corre a mangiarne il più possibile.

Ma perché così cattiva? uccide i suoi figli mangiandoli? no: mangia i più deboli, quelli che non riescono a scappare, non sopravvivrebbero, anzi concorrerebbero al sovraffollamento della specie ittica, quindi all’estinzione della propria specie, nonché all’estinzione del plancton quindi alla morte di altre specie: la natura, lungimirante, difende se stessa per garantire la sopravvivenza di ogni specie vivente nel tempo. Quindi, mamma Pesce, come l’Ape Regina meritano il paradiso, in quanto interpretano perfettamente il ruolo per cui sono state “create”. E l’uomo? Con minor lungimiranza si ostina a incoraggiare difendere la vita a tutti i costi per puro principio umano radicato. In effetti nel Medioevo la vita media dell’uomo era trent’anni, mentre oggi supera i 75, ma con quali “effetti collaterali”? proiettando la crescita della popolazione nei prossimi cinquant’anni, ci troveremo ad essere più di nove miliardi, limite della capacità del pianeta di ospitare e nutrire l’uomo. Se non ci fossero state le guerre mondiali e locali quel limite sarebbe stato già valicato da molto tempo e forse ci saremmo estinti ammazzandoci a vicenda per accaparrarci le risorse del pianeta, come tanti film fantascientifici (ma non più di tanto) ci hanno paventato.

Ma cosa dire in conclusione di ciò? chi salva la vita concorre all’estinzione umana, quindi va all’inferno mentre chi la limita va in paradiso? quindi avrebbe ragione qualcuno nel sostenere che Hitler è andato in paradiso? “Orrore e sacrilegio” urlerebbe giustamente la platea religiosa e non, ma la storia c’insegna che gli eretici di ieri sono i santi di oggi, per un semplice motivo: Hanno posto le nuove regole ed espresso la variante necessaria per salvare la sopravvivenza delle generazioni successive. Cristo negò la legge di Mosè e istituì la monogamia, perché la Terra si era già sufficientemente popolata e la razza umana non era più a rischio d’estinzione. E Hitler? come scrisse il grande Manzoni rinviando a giudizio Napoleone: “Ai posteri l’ardua sentenza”. E Come formulare la nuova teoria “Zeroteista”? Un grande filosofo, poi santificato pronunciò questa equazione verbale: “Non esiste il pensato senza il pensiero, non esiste il creato senza il creatore”.

Potremmo modificarla sostituendo l’ultima parte: “Non esiste creato senza creazione”.

Vincenzo Pisano

Scrittore, Musicista, Informatico