Cosa c’è di più sublime della patatine al formaggio?
“Molte cose!”, direbbero per l’appunto i molti. Ma si sbagliano.
Sono insolente? Può essere; ma non sono un bugiardo.
Quando si parla delle patatine al formaggio, pur essendo cibo, non si fa riferimento solamente al gusto. Certamente no, signore; il gusto è probabilmente l’ultima cosa che si deve andare a pensare quando si parla delle patatine al formaggio. Prendiamo come paragone la cioccolata: essa viene addirittura additata come il cibo afrodisiaco per eccellenza. La cioccolata viene portata a letto… ma non solo. La maggior parte delle volte la cioccolata viene mangiata di nascosto – con nascosto intendiamo quelle occasioni in cui nessuno ci vede. Diventa quasi rozza per la sua accessibilità quotidiana, per il suo essere un sapore perfetto per ogni ora della giornata. Nessuno si sognerebbe di mangiare le patatine al formaggio prima di andare a dormire! Oppure dopo il pranzo per concludere il pasto. Ma pensateci! Quando, durante l’arco della giornata, magari quando finite una lunga sessione di studio, o una estenuante giornata di lavoro, e vi dite: “Ora si che è arrivato il momento delle mie patatine al formaggio!” Ve lo dico io quando: MAI!
Le patatine al formaggio non sono delle puttane! Le patatine al formaggio si mangiano solamente in determinate occasioni, non sono un cibo spazzatura, da una botta e via. Da: “ho fame, non so cosa mangiare, prendo questa banana della quale non mi interessa nulla”. Davanti alle patatine al formaggio c’è una scelta. Consapevole.
Quando si mangiano le patatine al formaggio, il soggetto diventa parte integrante con l’oggetto. L’atto del mangiare diventa un rito. Non si possono mangiare le patatine al formaggio senza sporcarsi le dita. Ma che dico sporcarsi! imbrattarsi di quella dorata polverina. Il mangiare le patatine al formaggio è composto da diversi step, ognuno fondamentale a modo suo. Come vedremo, il momento della degustazione patatosa è un attimo che dura per sempre.
Mi potreste obbiettare che nella foga, ma allo stesso tempo, nell’intuizione, qualcuno, trasportato dallo spirito della festa, potrebbe pensare a mettere le patatine al formaggio dentro un bicchiere, e ad ogni languorino fare come per bere, ingerendo invece dell’acqua, le patatine, come se volesse inghiottire il getto di una cascata intera. È vero, potrebbe succedere. Forse l’avete fatto anche voi, forse è l’unico modo in cui mangiate le patatine al formaggio; per questo mi obbiettereste questo: “ho mangiato le patatine al formaggio ma non ci ho trovato niente di che.” Voi cosa direste a qualcuno che decide di vedere un film in rewind? Direste che sta sbagliando qualcosa. Cosa direste a qualcuno che davanti alla migliore tela di Pollock, la ammirasse, ma volgendole la schiena? Gli direste che non è così che si fa l’amore con l’arte. Chi mangia le patatine al formaggio dal bicchiere non sta facendo l’amore con le patatine al formaggio. Per godere con esse, bisogna recitare la parte dello scopritore di tesori. Bisogna avvicinarsi piano piano a quella montagna d’oro di patatine e fare come Indiana Jones nel suo primo film: guardare con lo sguardo brillante l’idolo d’oro che si vuole conquistare ed acchiapparlo. Ma al contrario di Indiana, non bisogna affatto essere veloci a prenderlo, la calma fa parte dell’atto; inoltre non bisogna scambiarlo con delle pietre, ma barattarlo con un po’ del proprio tempo.
Prendi la patatina al formaggio, una sola, con due dita, mi raccomando, quattro diventa troppo volgare, e lentamente porgila verso la bocca. Nel metterla sulla lingua, arriverà l’olezzo formaggioso alle narici, che ai più – quelli di prima – fa arrendere all’assaggio. Ma è l’impulso che hanno tutti. Solo i veri cercatori dell’essere-nella-sua-completezza riescono a spingersi oltre.
Mangiala.
Nessuno può vedere quello che sta succedendo dentro di te, se non te stesso. Ma essendo una sensazione talmente profonda, interna, personale, è incomunicabile agli altri. Il misto di varie emozioni sfugge alla tua percezione e al tuo fascio di sensazioni. Il primo uomo che si ritrovò fuori dalla caverna provò un immenso dolore, perché accecato dalla luce del sole. Così la solare gialla patatina al formaggio, appena messa sulla lingua, ti rende senza armi, indifeso. Vittima di qualcosa che senti come più grande di te e dei tuoi pensieri. Ma il bello, e qui arriva il sublime, è che questa sensazione senza tempo e senza luogo, non trova effettivamente luogo, perché la patatina al formaggio scivola giù, in un attimo è andata. La sensazione-che-non-ha-luogo da qualche parte il luogo lo ha, se ne sto scrivendo. Questo spinge ad una ricerca infinita. Tradotto nei nostri termini: a mangiare patatine dopo patatine per (ri)trovare quella sensazione. Che arriva e scappa via.
Ma non finisce qui. Oh, no.
Le dita.
Finora viste come schiave del mangiare, come quell’oggetto che serve solo da movimento meccanico alla degustazione, diventano ora parte integrante dell’esperienza stessa. La patatina non c’è più, ma come quel film sublime che hai visto anni fa, rimane qualcosa dentro te, o in questo caso, in maniera molto più tangibile, su di te. Gli psicoanalisti parlerebbe di un’esperienza traumatica (sublimemente traumatica) che rimane intrappolata nell’inconscio. Per i cristiani sarebbe Dio.
Ti guardi i polpastrelli dorati. Anche se non è oro vero, in questo momento valgono più di tutti i soldi che hai visto in vita tua. Tiri fuori la lingua e ti lecchi le dita. Sei diventato un tutt’unico con la patatina. Tu stesso sei diventato la patatina, e per ritrovare il sapore perduto, ti concedi anche ad una vaga forma di auto-cannibalismo.
L’essere umano, portato fuori di sé dall’incontro con la patatina, torna su se stesso, addirittura ingoiandosi.
Sei arrivato alla chiusura del cerchio, come il serpente quando inizia a mangiare la sua coda.
Matteo Abozzi