Va bene, buttiamola sul fatto personale. Breve storia personale e triste come incipit: 1980, 1° dicembre, tarda serata a Roma. Un uomo, medico nonché dirigente sanitario del carcere di Regina Coeli, rientra a casa dal lavoro. Non fa in tempo a raggiungere il citofono che due colpi di pistola cancellano il presente, il futuro e la serenità di una moglie/madre e di noi figli.
Era una gran persona, il secondo marito di mia mamma, nonché ottimo “papà”. Si chiamava Giuseppe Furci, il suo omicidio venne rivendicato dalle più svariate sigle eversive di allora.
Chiuso l’incipit, arriviamo al 2023 e ai mondiali di scherma. L’atleta ucraina straccia la spadaccina russa e si rifiuta di stringerle la mano al termine della gara. Apriti cielo! Un coro di indignazione si è sollevato contro questa mancanza di etica sportiva, di savoir-faire che è chiaramente piuttosto “peloso” anche se si vince contro un fratello (che, mentre gli stringi la mano, pensi: beccati questa!)
Figuriamoci se il tuo avversario, pur se non direttamente coinvolto, è però il portacolori della Nazione che sta distruggendo il tuo Paese, la tua casa, sta uccidendo i tuoi amici, sta piallando i tuoi affetti.
Ora mettiamo il caso che si sapesse chi sia stato a sparare quel buio dicembre del 1980 e io dovessi incontrare gli assassini messi in libertà per i tanti e tanti motivi che in Italia lo consentono, mettiamo anche il caso che siano appassionati di tiro con l’arco e partecipino a una gara nella quale gareggio anche io.
Vado in finale con uno di loro e vinco. Gli stringo la mano?? Vorrei soltanto dargli un calcio nei maroni e lasciarlo a terra senza respiro, forse mi piacerebbe anche spezzargli l’arco sulla schiena. Ma non sono così vendicativo.
Chiudiamo questa tragica storia, l’atleta ucraina ha tutta la mia comprensione e appoggio pienamente il suo rifiuto in quanto, e qui ne sono sicuro, non era rivolto all’avversaria ma a colui che ha scatenato una guerra feroce contro il suo Paese.
Lo sport quello vero, quello fatto di dilettantismo e agonismo e passione, fatto di fatica e tanto sudore, di vittorie e tante sconfitte che ti spingono a cercare la tua medaglia o semplicemente, meravigliosamente la tua soddisfazione personale, un massaggino dell’Ego che vale più di un oro da portare al collo, è qualcosa che unisce e rende complici, forse non si diventa amici ma sicuramente nasce quel rispetto reciproco che si nutre di qualcosa di intangibile eppure così reale, come la consapevolezza di essere tutti, indiscriminatamente, legati da un filo che è resistente oltre l’acciaio.
A volte purtroppo l’essere “Atleta” scompare e smette di esistere, non esiste più un avversario, esiste un nemico.
E questo è brutta roba. Brutta.
Ettore Collini
La sciabolatrice ucraina Olha Charlan – Olga Kharlan – “sospesa” ai Mondiali di Milano perché non ha dato la mano all’avversaria a fine gara, gesto ritenuto antisportivo dai giudici – potrà tornare in pedana. Dopo aver battuto l’avversaria russa Anna Smirnova, infatti, Kharlan si era rifiutata di stringerle la mano, porgendole solo la spada. Ora l’atleta ucraina potrà gareggiare nella prova a squadre ai Mondiali di Milano, grazie alla decisione dell’Esecutivo della Fie, l’unico organo in grado di intervenire sulle decisioni dei giudici durante il Mondiale. Per la Federscherma mondiale, il gesto dell’atleta ucraina è stato in buona fede: ha porto la spada all’avversaria così come previsto dal protocollo Covid ancora in vigore all’inizio dei Mondiali. Sulla questione è intervenuto anche il Cio, che ha chiesto comprensione per gli atleti ucraini.
In copertina, immagine di repertorio.