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Siamo veramente iperconnessi?

Il momento storico che stiamo vivendo mi ha portato in qualche modo a capire quanto siano veramente importanti le relazioni tra le persone. Non era cosa nuova, in realtà. Ho sempre creduto al valore delle relazioni tra persone, dal “semplice” rapporto di amicizia a quello più sottovalutato tra i colleghi di lavoro.

Questa “malattia”, questo COVID ha condizionato molto di più le nostre menti che il nostro corpo.

I mezzi di trasporto che nei secoli hanno praticamente azzerato le distanze sono diventati quasi inutili. Anzi, per certi versi, si sono rivelati veri veicoli di contagio. La chiacchiera, lo scambio di un sorriso e, perché no, anche un litigio in taxi, in treno o in autobus sono divenuti pericolosi.

Con il famigerato Lockdown ci siamo ritrovati di nuovo isolati. Qualcuno certamente ne ha gioito. Il sentimento è pur sempre soggettivo e come tale va rispettato.

La tecnologia ci ha veramente dato una mano per una volta e lo abbiamo riconosciuto. Le persone che non accettavano il cambiamento della modalità di comunicazione introdotta dalla Generazione Z hanno potuto salutare il loro caro in ospedale isolato dal mondo e costretto ad affrontare da solo la malattia. Senza contare che, anche qualche chilometro di distanza per andare a far visita ai nonni, pesava come un volo oltre oceano.

Una riflessione mi sale però: riusciremo a trovare di nuovo il vero valore delle relazioni a quattr’occhi?

Basta veramente poco per accorgersi che ci stiamo abituando a vivere in un mondo parallelo a quello del nostro corpo fisico. Con la mente siamo in grado di fare tutto: lavoriamo da casa, rispondiamo al telefono mentre laviamo i piatti o siamo al volante in mezzo al traffico, ascoltiamo musica durante una passeggiata o una corsa, guardiamo un film dalla vasca da bagno, mandiamo un messaggio alla moglie nella stanza a fianco.

Ora siamo connessi fin troppo con le menti, con un lato virtuale della vita, ma totalmente disconnessi da quello che è il nostro corpo quasi come non ci appartenesse.

Così quando sei davanti allo specchio non ti riconosci più. I nostri alter ego hanno preso il sopravvento e ci stanno soffocando come un qualsiasi parassita in un ambiente debole e quindi fertile al virus dell’insicurezza.

Vi è capitato mai in questi mesi di dire a una persona: “Non ti avrei mai riconosciuto senza mascherina”.

Ci siamo dimenticati come siamo “fatti”, non ricordiamo più il timbro di una voce conosciuta, la stretta di una mano o l’orizzonte di uno sguardo.

Io credo che abbiamo bisogno di ritrovare il contatto con il mostro mondo. Quello reale. Quello che possiamo toccare, ascoltare, assaporare con tutti i nostri sensi.

Io adoro correre senza le cuffie. Senza musica. Senza interferenze. Mi piace stare in ascolto dei suoni della natura. Quando corro, mi sento vivo e mi accorgo del mondo e della vita che c’è intorno a me. Anche l’acqua del fiume che scorre è musica. Anche il lamento dell’uccellino che richiama la mamma al nido è poesia. Anche il gatto in agguato che mi vede passare e con lo sguardo mi fa intendere “ma chi te lo fa fare”, porta al sorriso. Osservare un’ape su un fiore è meditazione.

Stiamo condensando le nostre vite dentro dispositivi sempre più piccoli. Forse perchè rispetto al nostro smartphone ci sentiamo dei giganti. Io invece adoro sentirmi piccolo di fronte alla meraviglia della natura e della vita. Me l’ha insegnato più di tutto la paternità: la paura e l’imbarazzo di fronte ad un cucciolo d’uomo fa sorridere gli osservatori che ti stanno intorno, ma distrugge tutte le tue sicurezze, credetemi.

Io adoro sentirmi un piccolo osservatore in transito su questa terra e spero di interagire ed entrare nelle vite di più persone e non solo. Ecco cos’è per me l’ESSERE connesso.

Buona vita.

Simone