Viaggiando s’impara

“Tutto il popolo”. Questo il significato della parola di origine greca “Pandemia”. Non mi sarei mai aspettato di vivere in prima persona un’emergenza sanitaria degna di essere ricordata nei libri di scuola. Viaggiando, ho sempre osservato quelle persone che nelle metropoli, negli aeroporti o anche per strada usavano le mascherine. Mi sono sempre chiesto quale fosse l’utilità di portarle all’aperto, soprattutto nelle città dove il cielo si vede ancora e come sarebbe stato difficile per me usarle, dato che parlo e sorrido ogni due passi.

Adesso credo di avere una larga cultura sull’argomento. Si potrebbero creare dei gruppi di sostegno sul fastidio che danno: irritazioni, eruzioni cutanee, le orecchie sulle guance e non parliamo quando, perché succede, ti scappa un ruttino all’interno e chiaramente hai mangiato la peperonata. Sei morto. Ne ho acquistata una più leggera, in cotone, ho fatto le scale con le borse della spesa (un genio) dicendo:” vabbeh, la tolgo dopo, ho le mani sporche”. Quando sono arrivato sul pianerottolo, il respiro più affannoso ha fatto si che il cotone si risucchiasse verso l’interno della bocca e mi facesse provare il brivido del soffocamento, con susseguente momento di panico e lancio della mascherina sulle piante della signora di fronte.

Ho comprato gel igienizzante per le mani al cocomero, all’anguria e anche al mango, tanto per averlo e ogni tanto ricordarmi di usarlo, senza sapere che un giorno, anche al profumo di “pozzi neri” mi sarebbe andato bene. L’aspetto positivo in tutto questo? Si è risparmiato su rossetti e lucida labbra, trucco in generale, perché chi ha voglia di truccarsi, durante una pandemia, per andare al supermercato con mascherina fino a sotto gli occhi, ricrescita e guanti da colon scopia. Creme da barba, pomate, gel, lacca e anche detersivi, tanto, perché mi devo cambiare. Ci ha guadagnato come sappiamo tutti la farina e le migliaia di foto scattate per la gioia di condividere il risultato ottenuto. Mai una faccia però, solo il pane, la torta, il mattarello con la pasta…chissà come mai.

Quando si comincia a viaggiare in giovane età, si impara da subito a capire che il detto: “Paese che vai usanza che trovi” non potrebbe essere più vero e più viaggi, più esperienze bizzarre verranno a te. I viaggiatori sono “diversi”. Ci sono quelli a cui non succede mai niente, pacati, a cui va tutto bene, senza alti né bassi e quelli a cui ne succedono di tutti i colori e che se c’è un matto per strada è chiaro che va da loro.

Mi sono piacevolmente ritrovato (cosa impossibile da fare a casa), a mangiare con le mani pietanze da piatti di terracotta, usando il pane come utensile, senza lavarmele e andando contro la mia inseparabile ipocondria. Durante una preghiera a cui ero stato invitato, mi è capitato di essere l’ultimo del gruppo a bere da un calice dorato e, prima di me, questa dolce nonnina che tolto l’ossigeno, tossiva dentro, lasciava la sua scia di bava e me lo passava con la gioia nel cuore. Mi sono sciacquato i capelli con una pompetta, che avevo trovato a lato del water, congratulandomi anche per l’idea di mettere un tubo con dell’acqua tra il water e il lavandino. La mia inesperienza, ai tempi, non mi aveva fatto capire che era per farsi il bidet direttamente sul wc. Io, mi sono lavato i capelli.

Ho scoperto che il Lama sputa veramente, che il mercato di Cammelli ha un odore molto particolare ma loro sono troppo fighi, ti guardano sempre con aria di sufficienza, come se sapessero qualcosa che tu non sai. Magari è anche così. Le iguane si mimetizzano molto bene ed esiste il topo ragno. Si, il topo ragno ed era in camera. In quell’occasione ho scoperto che so volare.

Ho dormito in uno degli ostelli più zozzi che abbia mai visto e purtroppo, nell’unico bagno in corridoio, il water, aveva una piramide di “profiteroles” che si innalzava come una scultura. Chiaramente quando c’è un’urgenza non si può aspettare, quindi, una volta salito sul water, in piedi, ho lasciato andare quello che doveva andarsene, che ha colpito la punta della piramide e fatto scivolare alcuni “mattoni” (non si sa di chi) direttamente sulle mie gambe, fermandosi, grazie all’attrito dei peli, sulle caviglie. Oltre a tutto questo ed altre avventure, c’è salutare la gente che parte con il traghetto senza accorgersi che è l’ultimo ed è anche il tuo. Restare chiusi dentro un campo di concentramento dopo una visita, perché non si erano accorti di te e, saltando il fossato, cercare di scavalcare il muro di cinta per uscire. Urlare perché sei rimasto chiuso in ascensore al trentesimo piano e poi sentire uno dietro di te che ride e ti accorgi che sei salito in uno di quei bastardi che hanno due entrate. La porta si era silenziosamente aperta dietro di te. Si, non serviva aprissi quella di fronte e battessi i pugni sul muro.

Fare surf all’alba e sentirsi tutt’uno con l’universo, vedere un fiore che sboccia di notte, sentire per la prima volta in lontananza il ruggito del leone e capire perché è lui, il re della Savana.

Quando si viaggia, si deve rischiare almeno un po’. E cos’è un viaggio senza quel contrattempo, quella piccola disavventura, che vi farà raccontare di una giornata iniziata come tante e diventata un ricordo indelebile della vostra vita. Buon Viaggio.