La rete è con noi, tra di noi e, tra non molto, sarà pure dentro di noi: non è una minaccia, è già una realtà in alcuni paesi come la Svezia ove è possibile introdurre legalmente microchip nel corpo umano e presto si potrà farlo anche in Italia.
Personalmente non valuto positivamente tali tecnologie, esattamente come non amo tutte le tecnologie che implicano il controllo, anche se pensate per aiutare e/o semplificare la nostra esistenza, come ad esempio la telemedicina.
Ovviamente un impianto biomedicale controllato da remoto aumenta automaticamente la sicurezza del paziente che così si sente maggiormente seguito.
Personalmente non amo l’idea di essere controllato, né tanto meno l’idea di autorizzare l’impianto di qualsiasi dispositivo medicale nel mio corpo, specie se telecontrollato.
Sono un ribelle
Come informatico ho vissuto tutte le fasi dell’avvento degli elaboratori elettronici, dai primissimi personal computer, onore e gloria al mio primo Sinclair ZX 80 auto-costruito ma che mai funzionò, fino agli smartphone moderni.
Sì, lo ammetto, sono un vecchio entusiasta pentito, appassionato non tanto della tecnologia in sé ma piuttosto degli aspetti filosofici che sono insiti nell’informatica sia teorica che applicata, come ad esempio l’intelligenza artificiale e le tecnologie di interfaccia uomo-macchina.
Ultimamente mi appassionano anche gli aspetti antropologici cognitivi, come viviamo il nostro rapporto con la rete, questa strana appendice che di fatto è divenuta un’estensione del nostro cervello, sempre disponibile, una sorta di oracolo personale a cui chiediamo continuamente di tutto…
E io mi domando: “a che prezzo?”
Che prezzo ha questa pervasività della rete nel nostro vissuto?
Conosciamo la nostra prigione
Da informatico sistemista esperto di privacy so cosa c’è dietro questi servizi e comincio a non essere affatto felice di essere tracciato, profilato, classificato, seppur in modo “legale”, da questa “trappola infernale”.
Talvolta penso che se decidessi di distruggere il mio smartphone cinese avrei enormi problemi al lavoro, sia per gli accessi ai conti bancari, sia per gli accessi agli applicativi che gestisco ed utilizzo.
Sono costretto a girare con questo pendaglio di telefono rettangolare che odio, grazie al quale chiunque può sempre rintracciarmi, anche quando sono in vacanza.
Effettivamente senza smartphone in vacanza è impensabile… ma che vacanza è?
Le carte di credito ormai funzionano solo se hai lo smartphone dietro… anzi, le nuove carte di credito sono persino virtuali, sono di fatto delle app da installare nel dispositivo.
A volte questa pervasività mi fa proprio irritare, temo che prima o poi lo spaccherò per davvero.
Ma c’è qualcosa di ancora peggiore di questa perdita di libertà causata dall’onnipresenza della rete.
Come su Matrix
La trappola infernale si nutre delle nostre abitudini, dei nostri costumi e li trasforma progressivamente portandoli all’omologazione.
Così come i “non luoghi” caratterizzano i panorami desolati delle nostre periferie, con centri commerciali, ristoranti, cinema e bar tutti estremamente simili in qualunque parte del globo, allo stesso modo la spersonalizzazione cavalcata dai main-stream porta l’individuo ad avere gusti e aspettative simili ovunque, al di là delle sue origini culturali, della sua lingua, delle specificità che lo contraddistinguono.
I social in particolare hanno un ruolo formidabile nel favorire questa omologazione, per chi fa marketing è normale pensare ai gruppi social in termini di propaganda, ove l’informazione viene continuamente rimasticata e preparata al fine di indirizzare i gusti e gli interessi dei singoli.
Non più persone ma utenti, utenti da conoscere, classificare, educare.
Serve la pillola rossa…
Ma questo in molti già lo sanno, solo che viene accettato passivamente, come prezzo ineluttabile della modernità. Così la cultura, l’estetica, il senso del bello, l’arte… tutto cade in un calderone micidiale di informazioni, un groviglio inestricabile archiviato e classificato nello spazio apparentemente infinito della rete.
Tanto, che importa? Ci sono i motori di ricerca che potenziano la mia mente.
Perché dovrei imparare a memoria una poesia di Pascoli o Leopardi se in un milionesimo di secondo la recupero con Google?
Fare una tesina, che ci vuole? Ma basta copiare ed incollare da Wikipedia e in tre minuti è fatta… non serve neppure stamparla, la metto nel Cloud così te la fai pure leggere da Alexa… rilassati!
Questo accade a scuola, ma pure nel lavoro la situazione non cambia molto.
La mia azienda supporta i propri clienti per tutte le problematiche di sicurezza e di funzionalità degli apparati informatici. Dopo più di trent’anni di servizio sono giunto a cogliere il progressivo, desolante impoverimento cognitivo dei miei clienti causato dalla passività con cui utilizzano gli strumenti tecnologici.
Allora mi sovvengono tutti i testi di informatica che posseggo, tutti hanno almeno dieci anni e non li legge più nessuno: ormai qualunque processo di consultazione passa per i motori di ricerca, tutte le soluzioni ai principali problemi si trovano lì, nel caos dell’erudizione automatizzata.
Dov’è il pericolo?
Il fatto stesso che il processo istantaneo di reperimento della soluzione sia così breve ed efficace, ci porta a rinunciare a qualsiasi approfondimento e sedimentazione della conoscenza.
Riappropriamoci del nostro mondo
Tutto rimane in superficie e presto viene dimenticato, anche come esperienza.
Ci si ritrova dopo mesi, anni, a vivere una quotidianità superficiale, che non lascia praticamente traccia nel vissuto… L’inconscio non ne è coinvolto, la creatività rimane nella dimensione del videogioco.
E la sensazione di non aver vissuto è fortissima.
Che fare?
Svegliamoci.
Per favore, prendiamo coscienza del nostro tempo, del nostro vissuto, della nostra creatività. Le nostre menti esistono per creare, individuare nuovi schemi, possibilmente usando il nostro corpo… quanto tempo è passato da quando abbiamo scritto CON LA PENNA una lettera, un pensiero, un’idea?
Quanto tempo è che non abbiamo scarabocchiato, sottolineato, vissuto fino in fondo la lettura di un libro?
La conoscenza è anche fisicità, espressione creativa anche materiale, quindi tiriamo fuori penne, pennelli, carta e riconquistiamo lo spazio ed il tempo che abbiamo perso in tutti questi anni di virtualità.
HGD