Una voce fuori dal coro? No, una voce all’interno del coro!
Chi meglio di un parroco può dirci come funziona una comunità? Sappiamo benissimo che, nelle mie amate Waste Lands, la figura del sacerdote è un forte aggregatore sociale, quindi, scavalcando il mio pernicioso ateismo, ho voluto intervistare Don Alberto Peron, parroco di Camponogara e punta di diamante di quelli che io chiamo “sacerdoti 2.0” grazie alle sue comunicazioni sui social, volte a far giungere il Messaggio alle vecchie e alle nuove generazioni.
Qual è il valore di “comunità” in un comune come Camponogara?
Il Comune di Camponogara ha attualmente cinque Comunità parrocchiali (Camponogara, Campoverardo, Prozzolo, Premaore e Calcroci) e tre parroci al loro servizio (io, che seguo Camponogara e Campoverardo, Don Simone B. per Prozzolo e Premaore e Don Andrea Z. per Calcroci).
Proprio domenica 4 giugno ci siamo trovati come Consigli Pastorali delle cinque Comunità per riflettere sul senso di “essere Comunità” e porre le prime basi di una collaborazione più efficace tra noi, a servizio delle persone che, a tanti livelli di partecipazione, si sentono parte dell’unica realtà sociale e civile dello stesso Comune.
Ci immettiamo nel progetto diocesano dei “Gruppi di parrocchie”: comunità vicine per omogeneità territoriale, per amministrazione comunale definita e per collaborazioni pastorali già in atto.
Abbiamo individuato tre ambiti nei quali continuare a lavorare insieme: la formazione degli operatori pastorali, la realtà giovanile e l’attenzione alle vecchie e nuove forme di povertà (Caritas e sostegno sociale parrocchiale).
Cosa rappresenta il sacerdote per la comunità al giorno d’oggi?
Prendiamo atto che la comunità non si forma più, forse come un tempo, attorno alla figura del parroco, ma nella corresponsabilità di laici che, alla luce della Parola di Dio e dell’esperienza della fraternità, garantiscono la testimonianza evangelica nel territorio in cui sono inseriti.
La riduzione sempre più evidente del numero di sacerdoti a servizio delle comunità spinge a ripensare la nostra vocazione come maggiore ricerca di essenzialità; l’ascolto di persone e situazioni problematiche, l’accompagnamento nei momenti cruciali della vita come il lutto, la povertà morale e economica, la richiesta di sacramenti come il battesimo e il matrimonio, l’accoglienza di nuovi arrivi nella comunità, la collaborazione con altre realtà educative nel territorio.
Come si vive il rapporto tra le diverse comunità religiose in un piccolo comune come il nostro?
Rimando alla risposta alla prima domanda aggiungendo che, prima di cercare e promuovere competenze e disponibilità (che nel Sinodo Diocesano in atto sono definite come “Ministeri battesimali”), è necessario crescere come comunità fraterne, dove la comunione sia alla base di ogni scelta e progetto, ricordando sempre quanto Gesù lasciò come suo testamento: “Amatevi tra voi come io vi ho amato; vi riconosceranno che siete miei discepoli da come vi amerete”
(Gv 13,34-35).
È uno stile da condividere, è un nuovo sguardo su persone e cose, è una consonanza di cuori che non si improvvisa né si impone, ma rivela la novità di un Vangelo che, se vissuto, ha ancora molto da dire e da dare alle donne e agli uomini del nostro tempo.
Grazie, Don Alberto, questa visione di comunità ci fa ben sperare in un futuro di solidarietà.
Anna Castelli