A tu per tu di domenica

“Domenica. Giorno del Signore. Signore dei giorni.”

Così esordiva Suor Armanda ogni lunedì in refettorio, dopo aver calmato noi bambini vocianti.
Sì, proprio quella Suor Armanda a cui è intitolato l’istituto di Mira Porte.
Ho avuto la fortuna di frequentarla per i cinque anni delle elementari.
Donna forte, volitiva, votata alla missione come solo una suora bergamasca sa fare.
Affiancata da Suor Bibiana, dolce e materna.
Una coppia che ricordava molto il poliziotto buono e il poliziotto cattivo dei film degli anni Ottanta.

Ogni volta che arriva la domenica, il mio pensiero si volge a Don Alberto, parroco di Camponogara.
Una persona acuta e sorridente che ha una buona parola anche per gli atei come me.
Un pilastro qua nelle Wastelands, circondato di giovani che lo seguono nei suoi progetti per una chiesa che, al giorno d’oggi, non ha più l’odore di sangue e incenso dell’Inquisizione di una volta, e per “una volta” intendo quando ero giovane io, molti, troppi anni fa.

Me lo immagino correre tra una messa e l’altra, organizzare eventi e volare al capezzale dai vecchietti che chiedono l’Unzione degli Infermi, l’ultimo sollievo per un credente.
Perché qua, di anziani, ce ne sono tanti.  

Non riesco a digerire la morte, anche quando è un sollievo.
Siamo una generazione senza figli, votata ad accudire gli anziani genitori fino all’ultimo dei loro giorni.
Consapevoli che non sentiremo mai risate di bambini a casa nostra, litigate per la loro adolescenza inquieta.
Gioie e dolori che abbiamo coscientemente deciso di evitare, probabilmente perché abbiamo sempre avuto nel DNA la consapevolezza che avremmo dovuto essere il sollievo di chi ci ha seguito, sfamato, accudito fino al momento di lasciare il nido.

Consapevoli di dover trovare una soluzione per la NOSTRA vecchiaia, una sorta di comunità di persone particolari che hanno deciso di non sottostare ai dettami della società: nascere, procreare, morire.
Non moriremo soli, state tranquilli.

Come dicevo, la morte mi disturba.
Nonostante sia tristezza e allo stesso tempo sollievo in situazioni di malattia senile, nonostante abbia studiato culture orientali in cui non c’è la stessa tragica disperazione che essa assume nella nostra cultura.

I miei occhi non vedono più come prima.
Gennaio è un mese crudele: si porta via i deboli e, nelle pieghe del crepuscolo, nasconde cose che non si vorrebbero vedere.
Mi manca la luce.

“Domenica. Giorno del Signore. Signore dei giorni.”

Il mantra di una suora che mi riporta alla realtà.

Forse la vita non è nascere, procreare, morire.

Forse, magari, è nascere, prendersi cura di chi conta nella propria vita, sorridere con gli amici.
Magari morire anche, un giorno capiterà a tutti perché siamo finiti nel tempo, ma nel frattempo guardarsi allo specchio ed essere sempre soddisfatti di ciò che si vede: esserci per gli altri, tra una passeggiata e un libro, tra la fatica di prendersi cura di chi conta, il sorriso di fare una chiamata a un amico, di dirgli che se ha bisogno tu ci sei, anche subito, anche domani.

Gennaio tra le pieghe del buio nasconde cose strane, ma porta la consapevolezza dell’essere fiero di far parte di una comunità.

Chissà se quei discorsoni per tenerci buoni, Suor Armanda se li preparava o le venivano così, a braccio, quando prendeva in mano il microfono.
Non l’ho mai saputo.

Anna castelli