Malattia e guarigione nella tradizione ebraica

(Il ruolo del sacerdote e del medico)

Leggendo il Pentateuco scopriamo il ruolo fondamentale del contatto con il sacerdote nel processo di guarigione.

Nelle lunghe e complesse parashot tazria e mezorà (Levitico 13,15), che riguardano il trattamento dei vari malati di “lebbra”, fenomeno che comprendeva anche altre affezioni della pelle, eczema o psoriasi, carcinomi, perdita di capelli o anche perdite e infezioni ai genitali. In queste parashot viene descritto come, durante i 40 anni di peregrinazione nel deserto, quando un ebreo contraeva una malattia della pelle, o degli organi genitali, si rivolgeva al Cohen, il sacerdote. Questi esaminava la pelle del malato e a seconda dei casi lo dichiarava “tame” (impuro) o “puro”. Nel caso che il sacerdote nella sua diagnosi, trovasse indicazioni che gli suggerivano che il malato avesse infranto i codici morali e spirituali e che questa fosse la causa della sua psora, lo dichiarava impuro e lo allontanava dall’accampamento, per sette giorni. Poi lo visitava nuovamente e se in quel periodo era evidente (anche per il miglioramento della malattia), che egli avesse fatto una seria opera di introspezione e di teshuvà, lo riammetteva nell’accampamento. Altrimenti gli prescriveva un nuovo periodo di isolamento.

“Per tutto il tempo che la piaga sarà su di lui sarà impuro. Vivrà da solo. La sua dimora sarà fuori dall’accampamento”

Levitico 13.46

Egli doveva vivere solo perché, a parte il pericolo di contagio, la malattia era un’occasione specialissima per avere un dialogo diretto con Dio, è un riesame dei propri rapporti. Anche se vengono descritte, in queste parashot, con vari paragrafi le tecniche che precedono il reinserimento del lebbroso nell’accampamento (immersioni, purificazioni, unzioni con olio, ecc), non si dice nulla riguardo a terapie fisiche che venivano usate.

Questo perché l’origine di questa malattia, più che di ogni altra, era di tipo spirituale. La parola “lebbroso”, mezora, infatti è scomponibile in maza-ra, trova il male, parla male degli altri. Dunque questa tendenza a vedere il male negli altri e non in sé, viene curata con l’isolamento e l’introspezione e l’analisi dei propri difetti, di cui la lebbra è solo l’aspetto esteriore. E questo lo sapevano tutti: il lebbroso, il sacerdote e il resto della comunità…( si noti che anche lo Zohar afferma che la maggior parte delle malattie derivano o dal Lashon Ra la mala lingua, o dal ain raa, il malocchio).

Cura spirituale (introspezione e preghiera) o medicine? La dialettica tra la cura spirituale, che si raggiunge con l’introspezione, è la terapia passiva, che viene dall’esterno, è il tema di moltissime discussioni del Talmùd, che contiene opinioni diametralmente opposte sui medici.

Da un lato si sostiene che chi è in pericolo di vita deve perfino trasgredire lo Shabbàt e recarsi dal medico, dall’altro si afferma categoricamente, riguardo all’arroganza dei medici ( che credono di poter curare con la propria forza e non capiscono né l’intricatissimo processo karmico esistente in ogni processo di malattia-guarigione, né la conversazione silenziosa che avviene tra Dio e il malato in questa circostanza): il migliore dei medici al purgatorio.

Maura Luperto