Che tempi che viviamo… ci sforziamo di essere razionali e quasi tutti noi siamo disposti a credere solo a quello che ci sembra tangibile, misurabile, verificabile. Per poter considerare un fenomeno reale occorre vederlo che si ripete in modo costante. Pensiamo che la natura proceda da un immenso e complesso meccanismo e che noi umani, essendo una sua manifestazione, siamo anche noi una macchina biologica, chimica e fisica ben oliata.
Allora abbiamo sviluppato mezzi per capire come funzionano i fenomeni della natura e di che cosa siamo fatti.
Siamo risaliti all’origine della vita allo scopo di manipolarla, renderla più sana, più affidabile e perché no, anche uniforme.
Questo cozza con l’etica? Ma che importa. La nostra visione e la nostra interpretazione del mondo e della realtà sono più forti. Siamo talmente convinti di avere ragione che non immaginiamo per un solo istante di non essere dalla parte della verità.
Ma ora mettiamoci un po’ in discussione, riflettiamo e chiediamoci se siamo sulla buona strada, se ciò che facciamo è giusto e buono per tutti. Ecco che emerge subito la sensazione che la visione che abbiamo adottato origini da un’angoscia che riguarda la nostra natura, cioè l’incognita del futuro. Perché, che lo si voglia o meno, e anche se questa visione della vita può sembrare fatalista, il nostro futuro, quale che sia la nostra nascita, l’intelligenza, le qualità, i valori, è di morire.
I nostri antenati avevano saputo coniugare l’angoscia della morte immaginando un aldilà, una vita dopo la morte, un viaggio oltre il tempo e il mondo visibile.
Per loro la vita dell’uomo sulla Terra non era che un passaggio, una tappa da superare prima del grande viaggio verso la vera vita. Ma dal giorno in cui abbiamo deciso di misurare i limiti del nostro mondo, di vedere in essi la manifestazione di un meccanismo universale in cui tutto è coerente, verificabile in ogni istante, in cui l’infinitamente piccolo si ricongiunge all’infinitamente grande, dove non c’è alcun mistero, poiché a qualsiasi problema viene imposta sistematicamente una spiegazione logica o una soluzione razionale, ci siamo confinati entro un universo chiuso in cui, senza volerlo riconoscere, non abbiamo più prospettive o speranze.
Volendo vedere il mondo con gli occhi della scienza, abbiamo generato il nostro disincanto, non possiamo più credere a ciò che vogliamo, sapendo che tutto ciò che immaginiamo non esiste, è un’illusione. Il solo vantaggio che possiamo trarne è l’abilità della nostra immaginazione di elaborare strumenti che ci rendano (almeno così pensiamo) la vita più facile e più comoda.
Facilità, benessere, distrazioni, ottimizzare i tempi, non sono forse le parole chiave del nostro mondo, anche se, allo stesso tempo, l’orrore è entrato nelle nostre abitudini, fa parte del nostro quotidiano, anche se non ci colpisce direttamente?
Così ci troviamo di fronte a uno strano paradossò. Mai siamo stati tanti numerosi sul pianeta, almeno, così dicono; mai abbiamo avuto altri mezzi per far durare la vita, anche se siamo lontani da far sopravvivere tutti in condizioni decenti. Ma, allo stesso tempo, mai siamo stati così disincantati, non credendo più a nulla, non nutrendo speranze.
Cosa possiamo dedurre? Che malgrado tutte le nostre scoperte, il sapere accumulato, ci ritroviamo davanti agli stessi interrogativi: da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?
La nostra mente razionale non fa che aumentare la nostra angoscia, la nostra paura del domani, eliminando tutto ciò che poteva aiutarci a scongiurarle, col pretesto che, visto che i mezzi impiegati dai nostri antenati per riuscirci non erano verificabili e affidabili, si dimostrano irrazionali.
Una delle nostre più grandi debolezze è la propensione ad avere ragione. Ma perché ci comportiamo così, perché vogliamo avere sempre l’ultima parola, se non per scongiurare l’angoscia della morte, la paura del domani, dell’ignoto, del non -essere? Volendo credere alle nostre convinzioni e alle nostre certezze, ci vietiamo di pensare a noi stessi e ai nostri limiti, alla precarietà e alla fugacità della nostra esistenza.
Tuttavia seguendo la voce interiore e connettendosi con la natura che ci circonda, possiamo riuscire a capire da dove veniamo e dove stiamo andando. Possiamo prendere coscienza del nostro essere qui ora, delle nostre responsabilità, dei nostri pensieri e delle nostre azioni che hanno conseguenze nel gioco della vita, degli eventi, delle circostanze che si formano e si disfano ad ogni istante, come fanno le innumerevoli e invisibili correnti d’acqua che si incrociano, si fondono, si rigenerano, appaiono e scompaiono nel mare.
Se ci osserviamo, non avremo più una visione fatalista del mondo e della vita, dal momento che è un divenire costante e prevedibile in base alle nostre azioni.
Solo la nozione del divenire costante può aiutarci a raccogliere tutte le nostre forze, le nostre qualità, i nostri talenti per vivere il presente con intensità tale da riuscire a scongiurare l’angoscia metafisica ed esistenziale che ci pervade.
Maura Luperto