In questi giorni trent’anni fa mi sono laureata. Ero una giovane psicologa piena di entusiasmo e ricordo che frequentavo tutti i seminari e tutti i convegni che l’Ordine promuoveva. Fu proprio in uno di questi dal titolo “LA SFINGE PONE UN NUOVO ENIGMA” che feci la conoscenza di un paio di sociologi che gettavano ombre sul nostro futuro. Parlavano di genetica, una scienza che stava facendo passi da gigante, o meglio la capacità di manipolare e condizionare il patrimonio genetico degli esseri umani.
Ricordo di aver avvertito una certa paura e un desiderio impellente di fuggire mentre ascoltavo il relatore che diceva: “È vero, non i nostri figli, e neppure i figli dei nostri figli, ma più avanti, avremo senz’altro la possibilità di leggere nei nostri geni quasi con certezza a che età avremo la possibilità di ammalarci di diabete o di incappare in un infarto. E questo naturalmente modificherà l’intera società ricreando caste privilegiate di uomini sani e caste di persone che faticheranno a trovare una collocazione perché troppo “a rischio”; le società assicuratrici non vorranno tutelarli per lo stesso motivo. Prima di unirsi, un uomo e una donna si confronteranno le reciproche “carte d’identità genetiche” per valutare se si potranno generare figli sani e anche per determinare il sesso, il colore degli occhi…. ecc.”
Un brivido mi pervase, una sorta di orrore e desiderai non sapere oltre.
Poi però un altro sociologo portò una ventata di ottimismo raccontando che a suo modo di pensare gli anni futuri non sarebbero stati caratterizzati da particolari catastrofi e anzi la vita dell’uomo medio e dei suoi figli sarebbe stata serena e ricca di progressi. Parlava della trasformazione della scuola partendo da un processo di destrutturazione dei programmi e limiti. Una scuola che avrebbe favorito l’immaginario, che avrebbe permesso alla creatività dei ragazzi di esprimersi attraverso le nuove tecnologie, una scuola che parlasse all’anima e non soffocasse la vitalità. Perché, diceva “Senza proposte culturali, la tecnica non sarebbe servita. Perché solo tecnica avrebbe finito per annullare l’umanità”.
Un altro esperto di comunicazione, invece parlava dei media. Auspicava una comunicazione partecipe e critica della realtà, che doveva trasmettere, non esseri robotici, capaci di confezionare esclusivamente con le macchine un prodotto che sarebbe risultato vendibile a basso costo. Poi pronunciò parole profetiche, disse: “Per quanto riguarda il futuro di una stampa libera in Italia, pare che non ci sia storia: oggi è il politico, domani sarà lo sponsor a dettar legge“.
La conclusione venne lasciata alla visione delle città del futuro. Ecologia, ambiente…. si lamentava che la spinta ecologista non aveva avuto molto successo a causa della miopia e l’indifferenza generale. Si era in un momento storico in cui lo stile di vita era caratterizzato dall'”usa e getta” in tutti i campi. Questo atteggiamento diffuso aveva generato persone che producevano un quintale di rifiuti di plastica a testa l’anno, con le conseguenze che oggi abbiamo tutti sotto gli occhi.
Colpevoli e vittime. Trent’anni dopo mi ritrovo a vivere in un film di fantascienza, dove l’uomo ha superato ogni immaginazione futuristica ed è arrivato a produrre armi batteriologiche per autoannientarsi. Esiste ancora un futuro? Vorrei poter pensare oggi che nel giardino dietro casa, i miei nipoti possano poter vivere spazi di fantasia e di libertà. L’alternativa sarebbe solo il mondo delle tenebre.
Maura Luperto