Non capita spesso, nemmeno fra gli insegnanti che ci hanno educato dalla scuola alla vita, di trovare qualcuno talmente pedante da inchiodarci nella dimensione dell’imperfetto senza darci via d’uscita dai nostri errori, di fatto puramente formali, non sostanziali. Ma vediamo cosa può essere successo a questo signore ancora frastornato dopo il suo ingresso in una libreria, per la semplice richiesta di informazioni su un libro della Storia d’Italia, per valutarne l’acquisto.
Un distinto signore, un professore, un mattino nuvoloso d’Aprile, tendente al piovoso, decide di passare in libreria, un po’ per immergersi nella scelta di qualche libro interessante, un po’ per richiedere informazioni circa un libro di recente edizione. Così avrebbe trascorso qualche ora fin quando il tempo non fosse migliorato.
Si guarda intorno, mentre si chiude nell’impermeabile, pronto a sfoderare il mini-ombrello sempre pronto per l’uso. Finalmente trova un’insegna che recita:
Libreria del perfetto Italiano, lasciate ogni dialetto o voi ch’entrate
“Eccentrico il titolare” – pensa il professore – “però la trovata è sicuramente accattivante”.
Così si dirige alla volta della vetrata d’ingresso. La trova chiusa, ma le luci all’interno sono accese e si distingue il movimento di qualcuno all’interno. Vede un citofono e un campanello. Suona. Gli viene risposto: “Prego, dica pure e sia convincente!”. Un attimo disorientato, balbetta:
“S-Si può entrare dentro, in libreria?”
Gli viene presto risposto: “Cominciamo male, signore. Le pare che sia mai possibile entrare fuori?”
Colto di sorpresa da un’obiezione tanto ovvia quanto impensata, aggiunge:
“Buongiorno, vorrei acquistare un libro, posso entrare?”
Si apre la porta a vetro e gli viene incontro il titolare della libreria: “Le pare un buon giorno? Lei vede il sole? Sarebbe un buon giorno se fossimo pesci, non le pare? Prego entri!”
“Grazie” – risponde il professore – “Posso dare un’occhiata in giro?“
“Mi scusi” – ribatte il proprietario – “Mi spiega meglio cosa vuole fare? Togliersi un occhio e sbatterlo in giro? E poi in giro dove? Non vede? Il locale è quadrato!”
Il professore, più esterrefatto che mai, non capisce se il padrone stia scherzando, ma così non sembra, e cerca in qualche modo di districarsi e spiegarsi.
“Intendevo dire, signore, che vorrei vedere tutto ciò che c’è esposto in questi banchi e scaffali, affinché possa effettuare una scelta, e poi desideravo delle informazioni circa un libro che è appena uscito sulla storia d’Italia …”
Il proprietario lo interrompe di colpo:
“Fermo, fermo, si fermi: non riesco a capire cosa vuole: dunque, lei ha detto che desidera un’informazione, e a me cosa può importare dei suoi desideri? Qui si entra per comprare i libri, semmai può ‘chiedere’ un’informazione, non soltanto desiderarla!”
Il professore, più sbilanciato che mai, comincia a entrare nel panico, ma il libraio infierisce:
“E poi da qui non è uscito alcun libro! Glielo garantisco. Li riconto ogni sera prima di uscire, sono tutti qua dentro!”
“Va… va bene! Mi correggo” – si dimena il professore – “Le ‘chiedo’ un’informazione: È qui in libreria l’ultima edizione del Libro sulla Storia d’Italia, di cui parlano giornali e TV in questi giorni?”
“E ci risiamo” – ribatte il libraio – “Da quando i giornali parlano? E lei li ha ascoltati? E le TV? Parlano pure loro? Così da sole? E da quando? Intende dire forse ‘di cui stanno parlando talune pubblicità in TV’, oppure ‘come è scritto in taluni giornali’?”
Il professore comincia a perdere la pazienza, inizia un’analisi introspettiva ripensando a come è stato sempre pignolo con i suoi studenti, e quasi sente di dover chiedere loro scusa, ma tira un sospiro di… pazienza, e continua.
“Insomma, ce l’ha o non ce l’ha questo libro?”
“Certo che ce l’ho, bastava chiederlo subito, senza tutti quei giri di parole!” – risponde il libraio, mettendo ancora a dura prova la pazienza del malcapitato professore – “Una libreria ben dotata come la mia possiede sempre le ultime edizioni di libri così importanti. Cammini fino in fondo al corridoio, vede una scala discensionale e si porti al piano seminterrato, alla fine della scala svolti a sinistra, terzo scaffale partendo da terra, quinto libro contando da sinistra verso destra”
“Che precisione!” – pensa fra sé e sé il professore – “un po’ troppo pedante, ma conosce il suo mestiere oltre che le sfumature della nostra lingua”
Si dirige così verso la scala, e voltandosi rassicura il padrone:
“Non appena l’avrò trovato, risalgo su e lo acquisto”
“Lei mi deve spiegare due cose nel suo povero italiano:” – incalza il libraio – “come fa a ri-salire, se non è mai salito per codesta scala prima d’ora, e inoltre a risalire su, come se potesse risalire giù in alternativa; mi spiega lei dove ha imparato l’italiano?”
A questo punto il professore perde la pazienza, e, come si direbbe in un impreciso ma onomatopeico italiano ‘fa BOOM’, e così esplode dicendo:
“Adesso basta!” – risponde quasi ringhiando – “Lei è riuscito a farmi perdere la pazienza! Ringrazi che sono un professore educato!”
“Ed è colpa mia se lei si perde le cose?” – ribatte il martellante proprietario – “la cerchi, dunque, non può essere fuori di qui!”
“Non è possibile! Lei è matto, le ho dato fin troppo spago fin adesso e…”
“Spago? Che spago? Io non ho ricevuto alcun filo, laccio o corda da lei! Mi perquisisca pure! Non troverà alcuno spago!”
Il professore oramai ha gli occhi fuori dalle orbite, furibondo, trattiene l’istinto di prendere il titolare per il collo e strozzarlo. Fa un profondo respiro, e, deciso ad andarsene, risponde:
“Va bene! Ok, lei è un linguista assoluto, ma fuori di testa, pazzoide, è impossibile parlare con lei. Ero passato di qua solo per ingannare il tempo mentre piove…”
“E io sarei il pazzoide?” – l’interrompe il titolare, infierendo sul professore come Maramaldo su Ferrucci – “mentre lei che crede di ‘ingannare il tempo‘ è sano di mente? Si rende conto di quello che dice? Il tempo può mai cascarci? Non è un essere vivente, è un’entità, una dimensione in armonia con lo spazio, come c’insegna Einstein: non si può ingannare. Poi lei dice che piove. Cosa piove? ha usato il predicato verbale senza il complemento oggetto!”
Furibondo il professore, esce, ma prima di sbattere la porta urla sfogandosi:
“Esco FUORI da questo posto diretto da un idiota presuntuoso che si crede un linguista, e lo sconsiglierò a chiunque voglia ENTRARCI DENTRO. Voglio parlare la mia lingua come mi pare, e ringrazi che non le ho dato corda, altrimenti ce l’avrei impiccato. Preferisco la pioggia fuori che restare con lei dentro ancora un minuto. Addio pedante individuo, a mai più!”
Esce sbattendo la porta. Per fortuna appare il sole a “raffreddare” la sua collera (oops! bisticcio di parole che il nostro linguista non avrebbe tollerato), e torna verso casa. Il povero libraio, rattristito, pensa fra sé e sé: “Ma perché si è arrabbiato? Ho solo corretto i suoi evidenti errori d’italiano, ed era pure un professore! Mah!”
Già, il nostro sventurato protagonista è un professore, e per di più di… Italiano! Un ciclone linguista lo ha inondato e, per pochi minuti, è rimasto in balia del vento. Chissà, forse domani sarà più tollerante con i suoi allievi, forse leggerà i loro temi accettando qualche imperfezione in più, e sorvolerà meno malvolentieri sui luoghi comuni tipici del dialetto locale: quelli del suo vantato italiano non sono certo migliori, e un semplice bibliotecario fissato gliel’ha pesantemente e pedantemente dimostrato.
Parlare una lingua è bellissimo soprattutto se colorita dall’imperfezione di dovute convenzioni e modi di dire che meglio rendono l’idea della fredda dizione letterale; la spontaneità non offusca il fascino della recitazione, anzi, entro certi limiti lessicali, lo esalta.
Perfino il grande William Saroyan, autore de “La Grammatica Italiana” anno 1968, inciampò su un giudizio erudito come questo: “È falso sostenere che il soggetto compie l’azione e il complemento oggetto la riceve; si può smentire con il seguente esempio: Luigi prende l’influenza”. Forse il libraio era lui?
Cercare difetti in ciò che è imperfetto per convenzione non aiuta l’apprendimento, ma crea confusione. L’uso di metafore rende l’idea più della spiegazione letterale, una convenzione non può diventare una regola, vacillerebbe inesorabilmente, come vacillò la fama di un critico d’arte dopo lo scherzo dei falsi rilievi di Modigliani (12 luglio 1884, Museo Progressivo di Arte Moderna di Livorno) ripescati nel fiume dopo lunghe e costose ricerche: qualcuno mise l’ago nel pagliaio dove la calamita l’avrebbe cercato. Poche parole e la metafora rivela la dinamica della vicenda.
Ma questa è un’altra storia
Vincent, Scrittore, Musicista, Informatico
Tratto dal racconto n. 2 del mio primo libro : “Le Favole di Vincent” Video: https://youtu.be/zfQXnA_JNBw