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La doppia faccia della superstizione

Il suo nome è Roberto, trent’anni, impiegato. Lavora in un Istituto di Assicurazioni. È proprio in occasione del suo compleanno che vuole condividere le sue gioie: una vita senza scossoni, una carriera invidiabile, un lavoro stabile, il raggiungimento dei suoi obiettivi, la benevolenza dei suoi colleghi e amici, un amore nella sua vita. È un uomo molto buono, solare, sempre pronto ad aiutare chiunque si trovi in difficoltà, gran lavoratore, stimato dai suoi colleghi e dai suoi capi, ma, soprattutto, ha sempre una parola buona per chiunque e la battuta pronta, per qualsiasi circostanza. Oggi dunque è un giorno speciale: offre il caffè a tutti i suoi colleghi, al distributore automatico.

Sopraggiunge il suo capo: “Roberto, ti presento Marco, la persona di cui ti avevo parlato per affiancarti. Dovrai aiutarlo a capire la tua attività, spiegargli come si usa il prodotto informatico del quale sei specialista, hai un mese di tempo per renderlo autonomo. Lo so, non diventerà bravo come te, ma potrà sostituirti quando andrai in ferie. Conto su di te, Roberto, mi raccomando”, così lo esorta il suo responsabile diretto, mentre si unisce al gruppo per la pausa caffè.

“Sai, mi hanno parlato di te, del tuo carattere, della tua professionalità, sono veramente contento di lavorare con te. Devi essere paziente, sono lento ad imparare, ma sono sicuro che presto potrò affiancarti ed essere un valido collaboratore” – rompe il ghiaccio Marco, timidamente, ma con decisione.

“Non ne ho dubbi Marco, presto diventerai più bravo di me. So che sei molto volenteroso e ti vedo ‘tagliato’ per questa attività. E come dice il proverbio, ‘se volere è potere, volare è… potare’” – risponde scherzosamente al nuovo collega mentre gli offre un caffè, presentandolo ai colleghi.

Una risata collettiva accompagna la battuta di Roberto, si susseguono le presentazioni. Ma una voce fuori dal coro, il solito collega invidioso, immancabile in qualunque contesto lavorativo, si rivolge a Marco mentre gli stringe la mano: “Attento Marco. Roberto è un porta-sfiga. L’anno scorso un collega che lo ha affiancato ha avuto un incidente quasi mortale con la sua auto e si è fatto 6 mesi d’ospedale con una gamba e un braccio rotti: ma tranquillo, noi non siamo superstiziosi, sei in buone mani. Le mie condoglianze!”.

La platea prolunga la risata della battuta precedente, e Marco, sorridendo, s’introduce nell’allegra conversazione della pausa caffè ribattendo: “Neanche io sono superstizioso e poi non uso mai l’automobile: vengo al lavoro con i mezzi!”.

“Infatti” – aggiunge sorridendo Roberto – “Molti pensano che io porti sfortuna. Per esempio dicono che sono il terrore delle stampanti: quando passo vicino ad una stampante mentre qualcuno aspetta il proprio flusso cartaceo, questa si blocca, s’incastra la carta e nessuno stampa più finché non passa il tecnico a risolvere!”

“Maddai! Sono solo coincidenze!” – ribatte Paola, una collega quasi indispettita –“Ognuno vede solo quello che vuol vedere!  Tutto può succedere ed è sempre associato a qualche evento trasversale! Coincide solo ciò che si vuol far coincidere! E poi queste stampanti si guastano continuamente, con grande gioia per i tecnici dell’assistenza!”

“È vero Paola! Ma stiamo solo giocando! Noi siamo intellettuali, non crediamo certo a queste fesserie, ma ci scherziamo solo un po’ su!”

“Dici bene Fernando” – conclude la conversazione un altro collega – “la superstizione è retaggio degli antichi e degli idioti. Torniamo a lavorare, dai!”

La giornata lavorativa si conclude. La sorpresa arriva l’indomani: Marco non si presenta al lavoro. Non si presenta neppure il giorno successivo e quello dopo ancora.

“Cosa sarà successo a Marco ? come mai non è con te neanche oggi?” – chiedono i colleghi durante la solita puntuale pausa caffè.

“Non saprei” – risponde Roberto – “L’altro ieri, quando ci siamo salutati, non ha detto niente, anzi si è congedato con un ‘a domani’. Ma non l’ho visto più! Chiederò notizie a Gianluca, il nostro capo…”

“Avrà deciso di prendere la macchina ed è andato a schiantarsi” – lo interrompe  ghignando Antonio, il collega invidioso e fatalista. Improvvisamente si affaccia Gianluca, il capo di Roberto: “Eccoti, Roberto, ti cercavo: Marco non può venire neanche oggi, è in ospedale, non sappiamo per quanto ne avrà! Dovrai cavartela da solo ancora per un po’. Adesso mi informo meglio e probabilmente ti presenterò un’altra persona per l’affiancamento”

“Ma cosa gli è successo?” – ribatte curioso Roberto, risaltando sulle confabulazioni dei colleghi.

“Pare che ieri sera, mentre risaliva le scale di casa, sia scivolato ed abbia perso l’equilibro. È un miracolo che non abbia battuto la testa, ma ha una grave lesione all’osso sacro e contusioni varie!”

“Fortunato il tuo nuovo collega” – immancabilmente sottolinea sorridendo con una punta di sarcasmo Antonio, il solito collega invidioso, mentre deglutisce l’ultimo sorso di caffè.

“Cose che succedono!” – ribatte Marcello, un altro collega del gruppo ‘pausa caffè’, ostentando convinzione.

“Accidenti, non sapevo di avere questi poteri!” – aggiunge ironicamente Roberto  – “attenti! Il caffè potrebbe essere avvelenato! Abracadabra!”. E la pausa si conclude fra le risate. Marcello però non trangugia l’ultimo sorso di caffè e, senza dare nell’occhio getta via la tazzina di plastica con il fondo ancora ricco del delizioso liquido bruno non consumato.

L’attività lavorativa riprende frenetica. Roberto deve rinviare le proprie ferie causa il mancato affiancamento a cura dello sfortunato candidato adesso fuori combattimento. L’indomani, solita ora, si dirige verso la macchinetta del caffè per la solita pausa. Nessuno. 

“Strano!” – pensa fra sé e sé –  “non sono mai mancati! Ci troviamo qui ogni mattina alle 10 oramai da anni”. Non ci fa caso più di tanto, infila la monetina, beve il suo caffè e ritorna alla sua postazione. Non passano venti minuti , si alza, si dirige verso il bagno passando vicino al locale ove si consumano numerose ‘pause caffè’ e, con sua grande sorpresa, vede i suoi soliti colleghi che si alternano davanti al distributore, ridono e scherzano sorseggiando ciascuno la propria tazzina. Vorrebbe entrare, ma esita. Prosegue il suo itinerario verso la toilette, rientra alla sua postazione dubbioso, controlla l’orologio al suo polso e confronta l’orario con quello del computer: le dieci e trenta. Tutto normale. Potrebbe essere un caso, ma il giorno dopo si ripresenta lo stesso film: locale vuoto. Stavolta vuole studiare il fenomeno: si reca al distributore venti minuti dopo, ma, mentre s’avvicina, intravede dietro il vetro smerigliato che separa il locale dal corridoio la piccola folla di colleghi dileguarsi. Entra. Rimane ultima Paola, la collega più razionale del gruppo, la sua tazzina ancora nel distributore che versa il suo quotidiano decilitro di cappuccino schiumato.

“Buongiorno Roberto, posso offrirti un caffè?”

“Grazie, Paola, ne ho proprio bisogno. Ma che succede? Avete spostato gli orari? Come mai?”

“Non saprei dirti, Rob, ma dall’altro ieri, dopo l’assenza forzata del tuo sfortunato neo-collega Marco, Marcello e Antonio avanzano pretesti per ritardare la nostra pausa. Hanno sempre un qualcosa da fare che non può essere interrotto, poi, mentre beviamo il caffè, entrambi guardano attraverso il vetro, in direzione del tuo ufficio. Ci vuole poco a capire che, non appena ti vedono, hanno urgenza di rientrare, e gli altri li seguono a ruota!”

“Già, e ieri Marcello era latitante alla riunione che avevo convocato per il pomeriggio, per discutere il da farsi proprio sul piano di lavoro da lui redatto. Ha declinato dicendo che doveva risolvere un problema ad un cliente che non poteva aspettare, erano le sedici”

“Niente di più falso, caro Roberto, alle sedici era seduto davanti a me, impegnato sul suo computer, ma non per rispondere ai clienti, ma per postare su Facebook, l’ho visto dal riflesso dei suoi occhiali. Ti ha snobbato”

“Ma perché mai!? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Perché non me lo dice?”

“Caro ingenuo collega, ma non capisci? Eppure non è difficile per un intellettuale acuto come te!”

“Credimi, Paola, non riesco a capire, che vuoi dire?”

“I nostri colleghi sono superstiziosi quanto ipocriti. Non lo ammetterebbero mai, ma ricordi cosa sosteneva Freud in merito al tema superstizione? ‘Non esiste ma ci credo’. Ma come te ne puoi uscire con ‘il caffè che potrebbe essere avvelenato’, subito dopo la notizia del tuo collega incidentato? Ricordi la provocazione ironica di Antonio?  Lui  crede veramente che porti sfiga e con quella tua battuta hai sancito la tua crocifissione”

“Ma è impossibile! Io stavo scherzando, ed anche gli altri ci scherzano su! Com’è possibile che prendano sul serio certe affermazioni !? non ci posso credere!”

“Non è tanto l’affermazione in se, caro Rob, ma la circostanza in cui viene pronunciata. Ti posso dimostrare che non esiste alcuno che non sia un minimo superstizioso, per quanto ostenti razionalità e modernità. Siamo tutti un po’ scaramantici, sicuramente lo sei anche tu!”

“Certo Paola, lo sono anch’io, ma per gioco, per scherzarci su, e finisce lì. Non escluderei mai una persona solo per la presunzione che porti sfiga, dettata poi da una serie di coincidenze! Non siamo più nel Medioevo, non credi?”

“A quanto pare non è così, Roberto, lo vedi anche tu. Il vuoto intorno a te. Razionalmente ognuno di noi considera la superstizione una sciocchezza, ma sfido chiunque di loro a far finta di nulla quando un gatto nero incrocia la loro strada”

“Io adoro i gatti, di qualunque colore essi siano, anzi, l’ultima volta che un gatto nero ha incrociato la mia strada mi ha portato fortuna: ero disoccupato da due mesi e il giorno dopo ho ottenuto questo lavoro, che mi piace. La vicenda mi ha fatto riflettere molto sulla stupidità dei nostri antenati, che credevano che le streghe che servivano il demonio si incarnassero nei corpi dei gatti neri!”

“Già, ma allora spiegami Roberto, perché hai rinviato quel viaggio a Milano solo perché capitava di Venerdì 17? Non ne sei condizionato anche tu, magari inconsapevolmente?”

 “Touché: ma non tanto perché io ci possa credere, il che è da escludere, ma semplicemente perché ci credono altri. Allora vedi intorno a te una nube di idioti che si muove con tutte le prudenze di questo mondo e che non prende decisioni. Ho rinviato quel viaggio perché sarebbe stato un viaggio a vuoto: le persone che avrei dovuto incontrare sono notoriamente superstiziose e non avremmo potuto operare lucidamente. Infatti uno di loro quel giorno si è dato malato!”

“Ah ah ah ah! È vero! In questo Istituto i giorni cadenti di venerdì 17 detengono i record di assenze! Io invece ho assistito ad un incidente a catena innescato da un imbecille che aveva inchiodato di colpo allorché un gatto nero stava per attraversargli la strada!”

“Pazzesco! Immagino che anzi tutti avranno pensato che la colpa era del gatto nero, suffragando la teoria del gatto-nero-porta-sfiga, non dell’imbecille che ha inchiodato. La superstizione è come il cane che si morde la coda, ignorando di essere causa del suo male. Così adesso il gatto nero sono io, giusto?”

“Temo di sì, Rob, questi intelligentoni ti hanno isolato. E non finisce così: la voce si diffonderà  e sarai la causa designata di qualunque disgrazia  possa succedere a chiunque ti passi vicino. Il tam-tam paura derivante da superstizione è un’arma che ha condotto Mia Martini al suicidio, ricordi?”

“Sì, ricordo. Una nota dolente del nostro progresso culturale che si deforma in presenza di circostanze che inducono paura. Questa è la vera essenza del diavolo. Mia Martini aveva tutto, la ricchezza, il successo, l’amore, ma grazie alla sua fama di iettatrice suo malgrado fu isolata da tutti, finché, travolta dalla solitudine coatta, giunse all’estremo atto”.

“Non so che dirti, caro collega amico” – soggiunge la razionale collega Paola, ponendogli una mano rassicurante sulla spalla – “per fortuna non sono tutti così. Qualcuno sa ancora usare il cervello, ma sono pochi!”

“Pochi ma preziosi, Paola. Ti ringrazio per avermi aperto gli occhi, adesso mi comporterò di conseguenza. Siete veramente pochi, ma per fortuna che ci siete”.

Ma i guai di Roberto sono appena all’inizio. Viene convocato da Gianluca il suo capo.

“Marco si è ripreso, Roberto, ma non vuole assolutamente venire a lavorare con te. Non riesce a darmi delle valide ragioni, ma ha minacciato di rassegnare le dimissioni qualora glielo avessi imposto. E non possiamo perdere un elemento come Marco, è molto bravo. Inoltre arrivano strane voci sul tuo conto presso il cliente ove ti trovi, dicono che spaventi le persone e…”

“Questo è troppo, Gianluca!” – Esplode improvvisamente Roberto, indignato e offeso per la situazione che si sta venendo a creare – “Cosa ti hanno detto di preciso? Che porto sfiga? E tu cos’hai risposto? Immagino: il cliente ha sempre ragione. Questa è sudditanza condita da ignoranza, caro il mio capo!”

“Aspetta, Roberto, Calmati, capisco il tuo stato d’animo, adesso cerchiamo di trovare una soluzione e… “

“No tu non capisci un…” – esita Roberto, un attimo prima di completare la frase, un respiro profondo, poi conclude  – “… un bel niente, Gianluca, so di cosa stai parlando, ma non hai capito che ti trovi davanti ad una masnada di superstiziosi che danno corpo ai fantasmi. Se si guasta un termosifone qualcuno dirà che il giorno prima mi ha visto toccarlo con la mano. Hai capito adesso? Qualunque cosa abbiano cercato di dirti è un pretesto che maschera la loro ipocrisia condita d’ignoranza!”

“Sì, Roberto, in effetti mi sono stupito anch’io. Dopo tanti anni in cui il tuo operato ha fatto faville, improvvisamente mi arrivano dei feedback negativi, e, in effetti, mi sembrano alquanto pretestuosi, però devi farmi capire e mettermi in condizione di rispondere e di farti riabilitare agli occhi del…”

“Di quel pezzo d’idiota del Direttore Generale, più superstizioso degli Inquisitori Ecclesiastici del XV secolo. Cosa vorresti dirgli? Che la superstizione non esiste?  Che i suoi dipendenti sono degli emeriti creduloni primitivi con la paura fra le palle? È come cercare di convincere i domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer, che le streghe non esistono! Ma costoro li potrei capire, siamo alla fine del ‘500, ma adesso siamo nel terzo millennio. Non puoi fare niente, Gianluca, non c’è niente da capire”

Gianluca, più frastornato che mai, si trova nella scomoda condizione di dover proteggere il business e, allo stesso tempo, capire e appoggiare le argomentazioni di Roberto il quale, tuttavia, è sempre stato un validissimo elemento, altamente quotato e stimato da colleghi e superiori. Deve cercare di gestire la situazione diplomaticamente. Ma la furia di Roberto è incontenibile. Il manager cerca di arginarla come può, nel tentativo di salvare capra e cavoli:

“Perdona la mia ignoranza, Roberto, ma chi sarebbero questi due figuri che hai citato? E cosa c’entrano col nostro problema con il cliente?”

L’interruzione dà modo all’irascibile Roberto di calmarsi e riprendere fiato, quindi, abbandonando la sua collera, spiega benevolmente al suo superiore:

“Perdonami, Gianluca, l’ignoranza è una brutta bestia e non c’è tecnologia e razionalità che servano. I due ‘figuri’ che ti ho citato sono due frati domenicani tedeschi  del XVI secolo, autori del ‘Malleus Maleficarum’, un trattato ove costoro spiegavano i criteri per riconoscere le streghe. La superstizione si nutre di se stessa e si diffonde a macchia d’olio facendo presa sull’inconsapevole paura derivata dall’ignoranza. E tu vorresti far breccia su di essa? Desisti, capo, non c’è niente da fare. Sono pronto a rassegnare anch’io le mie dimiss…”

“Non dirlo neanche per scherzo, Roberto. Troveremo una soluzione. Dormiamoci su, domattina vieni a trovarmi nel mio ufficio, troveremo sicuramente un modo per salvare capra e cavoli, cioè la commessa presso il cliente e la tua figura presso la nostra azienda. Dai, la notte porta consiglio”

“D’accordo, Gianluca, e scusami per la mia intemperanza. Ma sappi che non possiamo combattere contro i mulini a vento con un ronzino ed una lancia. A domani, dunque, ne parleremo con calma. In questo caso, la notte porta… coniglio”

Un sorriso di circostanza accompagna Gianluca, mentre saluta Roberto, ancora perplesso per quanto sta accadendo. Ma le sorprese non sono finite.  Il giorno dopo Roberto, arrivato in ufficio per l’appuntamento nella sede dell’azienda presso cui è dipendente, incontra Gianluca, che lo invita a sedersi. Il suo sguardo basso  non promette nulla di buono.

Devo darti una notizia che non ti piacerà” – va subito al dunque il manager senza preamboli.

“Si è fatto male qualcun altro all’Istituto?” – avanza Roberto, ostentando un ghigno ironico, quasi per sdrammatizzare.

Non c’è da scherzare, Roberto. Stamattina prima del tuo arrivo ho fatto una lunga chiacchierata con il Capo Servizio del team ove sei inserito all’Istituto”

“Dai, Gianluca, non tenermi sulle spine, cos’è successo veramente? Che vuole il dott. Salvelli?”

“Non gli sei mai stato simpatico, anche se ha sempre apprezzato il tuo lavoro, e giusto per questo ha sempre ‘tollerato’ la tua presenza. Ma adesso…” – Gianluca quasi non riesce ad andare avanti e fa una pausa, per trovare le migliori parole, ma Roberto gli risparmia la fatica interrompendolo tosto:

“Quell’ignorante! L’anno scorso mi prese in disparte per  farmi scrivere una relazione, diretta al Direttore Generale, passandomi un brogliaccio da lui manoscritto a matita. Mi disse di ‘metterlo in bella copia’. Un bambino di terza elementare avrebbe saputo far di meglio: nemmeno l’acca davanti all’ausiliare. Mi raccomandò anche di non farne parola ad alcuno. Lo riscrissi completamente, cogliendo il suo pensiero e riportando schematicamente tutte le argomentazioni, prima in sintesi e poi in dettaglio. Mi chiedo come facciano certi analfabeti a ricoprire cariche di responsabilità in un Ente importante come quest’Istituto. Ma siamo in Italia, non dobbiamo stupirci di niente, funziona così. Dai Gianluca, fuori il rospo, sono pronto a tutto”

“Quell’ignorante, come dici, mi ha chiesto di toglierti dall’Istituto e subito, senza ulteriori passaggi di consegne. Marco prenderà direttamente il tuo posto!”

“Accidenti, ce l’ha fatta!  Lucignolo ha imparato a scrivere e non ha più bisogno di me?”

“Smettila di scherzare, Roberto, non sei nella posizione giusta per fare ironia: a sua moglie hanno diagnosticato un tumore al pancreas. Avrà al massimo 5 anni di vita”

“E che c’entro io? Ah già! dimenticavo… la superstizione. Combinazione succede contestualmente al tam-tam woodoo dei trogloditi. Inutile qualunque tentativo di civilizzazione là dentro. Beh, ci sarà un altro cliente presso cui collocarmi, no?”

“È questo il punto, Roberto. Non c’è un altro cliente ove serva la tua alta competenza. Solo profili di basso livello. Fra l’altro la nostra azienda sta passando un brutto periodo e non possiamo metterti in stand-by in attesa di un nuovo cliente. Sono costretto a metterti a cassa integrazione, insieme agli altri 10, per un massimo di 6 mesi. Ti consiglio di trovarti un altro posto di lavoro. Questo è quanto”.

“Già, non sono nella posizione, dici. Dovrei inchinarmi a novanta gradi, questa è la giusta posizione per riuscire a mantenere un lavoro, al servizio di questi ottusi individui che fanno il bello e il cattivo tempo, giusto, Gianluca? E tu? Abbassi la testa, per te non cambia nulla, pur di mantenere codesta seggiola”.

“Attento a come parli, Rob, non sei nella posizione…”

“L’hai già detto, Gian, io non sono nella ‘posizione’, ma tu non hai palle. Tolgo subito il disturbo, tranquillo, me la saprò cavare. Ricordi i bei discorsi che mi facesti quando mi hai assunto? E ricordi come sei salito di livello quando il superiore di Salvelli scrisse l’elogio nei miei confronti per il lavoro svolto? Al rinnovo del contratto con l’Istituto hai anche potuto alzare la tariffa per le mie prestazioni, da Product Expert a Senior Consultant. Che figurone con i tuoi capi eh? E come ti riempivi la bocca durante la presentazione dei risultati di fine anno, che bei ‘numeri’ hai presentato, e quanti applausi! Ma di aumento di stipendio neanche un accenno. Ma sei stato sempre un amicone, fino ad oggi. Complimenti. A quanto pare non ti ho portato ‘proprio’ sfortuna eh?” – chiude l’arringa Roberto, accennando un falso sorriso, sforzandosi di contenere la rabbia.

“Non posso darti torto, Rob, ho sempre avuto tanta stima di te e ti ho sempre lasciato carta bianca. Ma adesso le circostanze mi vedono costretto a prendere una decisione che non avrei mai pensato di dover lontanamente considerare, proprio con te, che sei uno dei migliori, e dover continuare a tenere persone scalda-sedia che sono solo un peso economico per la nostra azienda. Mi rincresce. Ti lasceremo delle referenze ottime, ti aiuteranno a trovare lavoro all’altezza del tuo livello di professionalità”

Il colloquio si conclude, Gianluca accompagna alla porta Roberto, il quale evita l’ultima pacca sulla spalla, ricambiando con una velata smorfia mascherata da un sorriso di commiato, che si spenge appena distoglie lo sguardo e si allontana con l’amaro in bocca. La porta si richiude alle sue spalle, Gianluca rimira la porta chiusa, si stringe sulle spalle in un’ultima riflessione: “Peccato!” – sospira,  ritornando alla sua scrivania.

Roberto adesso è a casa, sul portatile connesso a Internet. Sfoglia le offerte di lavoro compatibili col suo profilo. “Apply CV On line” è il bottone ripetutamente cliccato allorché trova un’inserzione che fa al caso suo. E-mail di presentazione, CV allegato e via. “Speriamo bene” – pensa ogni volta, passando ore ed ore stancamente connesso.

Il tempo passa inesorabilmente, supera l’ora di cena. Il telefono squilla. “Oddio! Mi son dimenticato di chiamarla!” – riferendosi alla sua ragazza, preso nei suoi pensieri, fortemente amareggiato.

“Ah, dunque esisti! Pensavo ti fossi eclissato dietro Giove!” – Esordisce la sua ragazza, in luogo dell’arcaico “pronto”, retaggio di un passato telefonico  analogico incapace di decodificare il mittente.

“Scusami amore, ero preso… sai… il lavoro…”

“Sicuro, il lavoro, Rob, sei sempre preso, anche quando torni a casa! E sei sempre stanco. Ma stavolta neppure mi hai pensato! Esigo una spiegazione!”

Roberto, scusandosi a cuore aperto, le racconta brevemente i fatti accaduti, le cause e le conseguenze, con tutto il condimento di amarezza che segue, sperando di trovare un conforto.

“Ti sta bene!” – le risponde inaspettatamente e inspiegabilmente Carla, la sua ragazza da oltre 12 anni, con la quale ha condiviso gli studi universitari e i momenti più belli della sua vita.

“Ma che dici Carla? Ma… hai capito con che gente lavoro? Come puoi…” – ribatte stupefatto Roberto, che non finisce la frase.

“Te l’ho detto più di una volta Roberto!” – lo interrompe Carla –  “Certe battute non le devi fare. Anche la gente più intelligente ha dei punti deboli non manifesti. Ricordi Voltaire? Era Illuminista, ateo convinto, ma in punto di morte volle il prete. Ricordi il detto ‘Non esiste ma ci credo’ ? non lo sosteneva solo Freud, ma lo sostengono tutti, anche i più razionali di questo mondo. Adesso lo capisci che non devi scommettere sull’intelligenza, ma sull’ignoranza? E… chi lo sa che non sia vero che porti iella!”

“Stai scherzando, vero Carla? Dimmi che stai scherzando, almeno tu!”

“Certo che sto scherzando, scemotto, ma c’è chi non scherza. Nessuno ha il coraggio di ammettere d’essere superstizioso. Tutti ostentano modernità e razionalità, ma, in fondo e non troppo in fondo, pochi snobbano il gatto nero che gli attraversa la strada e pochi aprono l’ombrello dentro casa. Per non parlare degli ipocriti che si fanno il segno della croce: costoro sono i peggiori. È un rituale propiziatorio affinché le cose vadano bene: ma costoro tirano soltanto acqua al loro mulino: non c’è alcunché di altruistico nel loro gesto. Lo fanno perfino i calciatori, per propiziare il successo personale e,  tutt’al più, la vittoria della propria  squadra. Dovrai stare più attento amore mio, dovrai mettere in conto questo aspetto oscuro e oscurantista della gente. Adesso devo lasciarti Rob, ho da fare. Fatti risentire solamente quando avrai novità”

“Va bene Carla, a presto. Mi darò da fare per trovare un altro lavoro e ti terrò informata” – si congeda Roberto, immergendosi in una lunga riflessione, mentre continua a sfogliare le offerte di lavoro.

Passano due giorni, tre, quattro, una settimana, ma nessuna offerta di lavoro cui aderisce trova riscontro dall’altra parte. La maggior parte delle adesioni vanno a vuoto, raramente qualcuno educatamente risponde “Il suo profilo è veramente interessante, ma per la posizione in oggetto abbiamo preferito un altro candidato”, qualcun altro più evasivamente: “Apprezziamo il suo interesse per la posizione in questione, ma le sue competenze vanno oltre i requisiti del ruolo. La terremo presente per opportunità future”.

Non poco amareggiato Roberto continua stancamente la sua ricerca, tutti i giorni. Ma è un periodo difficile, a ridosso delle vacanze estive, le attività cominciano a rallentare, quindi le offerte di lavoro si diradano. Il mese di luglio sta per concludersi, l’ultimo weekend, chiusure estive alle porte, la prospettiva di un agosto da disoccupato. È molto sfiduciato e sta per rinunciare, quando una ‘strana’ inserzione desta la sua attenzione:

“Però! Si può provare! È fuori della mia portata, ma niente che non possa imparare durante il percorso lavorativo. È un po’ lontano, accidenti, a Torino, ma poco importa: meglio in trasferta che disoccupato”

Un click sul bottone “Apply” suggella l’adesione. Stavolta è fiducioso: quella competenza richiesta è difficile, rara: la conoscenza di un prodotto informatico recente, sicuramente privo di specialisti aggiornati nel mercato delle risorse umane. L’azienda richiede specialisti con almeno due anni d’esperienza.

“Ma se è uscito 6 mesi fa!!! ma lo sappiamo: chi pubblica queste inserzioni non è il diretto interessato e non ha le conoscenze di merito, quindi alza la posta dei requisiti, sconfinando nell’improbabile. Ma ci siamo abituati: per cui posso azzardare dichiarando un’esperienza che non ho ancora maturato: non avrebbero strumenti per controllare!” – pensa fra sé e sé Roberto, cercando di auto-giustificarsi e auto-perdonarsi per il bluff inoltrato.

Passa poco meno di un’ora e il telefonino vibra sulla scrivania. Un numero  mai visto, prefissato da 011, appare sul display, Roberto non ha dubbi: “Sono loro”.

“Il dott. Roberto La Costa?”  – una voce giovane al femminile interpella così il candidato

“Sono io” – risponde deciso, soddisfatto e fiero Roberto, senza preoccuparsi di tradire la smorfia sul viso: non può essere visto

“Ci è appena pervenuto il suo CV, molto interessante e, soprattutto, lei conosce l’ultimo grido del prodotto ‘Aurora’ della ACME AG, mi conferma?”

“Certamente, ci lavoro da 6 mesi!, l’ho visto nascere”

“Dottor Roberto, ha letto bene l’annuncio? Sono richiesti due anni d’esperienza su tale prodotto!”

“Spiacente dottoressa… dottoressa”?

“Virginia, mi chiami pure Virginia, sono la Responsabile del Recruiting. La nostra azienda si chiama Quantica S.p.A.”

“Piacere, Virginia, informi lo staff tecnico che tale prodotto, due anni fa, era alla release 3.0, l’anno scorso è passato alla 4.0 e, solo da sei mesi, è approdato alla versione 5.0. Il requisito espresso è chiaro: Aurora 5.0”

“Risposta esatta, dottor La Costa. I due anni di esperienza richiesti  erano un trabocchetto, affinché possiamo individuare  gli ‘addetti ai lavori’ già dal primo approccio telefonico. Solo chi è veramente competente sul prodotto può  conoscere questi dettagli, così risparmiamo giorni e giorni di selezioni. È disposto a venire a vivere a Torino? È un progetto di lunghissima durata!”

Naturalmente Roberto accetta, definiscono tutti i dettagli, firma un contratto telematico, prenota l’Eurostar, biglietto di sola andata, prenota un Bed and Breakfast per la prima settimana, inizia a preparare i bagagli: partenza dopodomani, Venerdì.

La sera telefona alla sua ragazza per aggiornarla sulle novità, come promesso:

“Alla buon’ora!” – esordisce la ragazza, manifestando il suo disappunto dopo quasi un mese di silenzio – “ti avevo dato per disperso! Dove lavori  adesso?”

“Buonasera, Carla, ancora non sto lavorando, eravamo rimasti che ti avrei chiamato solo allorquando avessi avuto delle novità: dopodomani parto alla volta di Torino!”

“Torinoooooooo? E sei pure contento? Ma è lontanissimo! Come faremo? Perché non hai cercato un lavoro a Roma? E poi perché parti a ridosso del weekend? Così non ci vediamo!”

Roberto le spiega il perché del silenzio comunicazioni, le sue ricerche frustrate su Roma, le sue difficoltà del momento e la decisione quasi costretta dalle circostanze nei tempi e nel luogo.

“Sai, Carla, ho anche riflettuto sulle tue parole, e credo di aver avuto conferma anche durante le mie ricerche: poiché a Roma conosco tante persone, e il mondo dell’informatica è piccolo, il tam-tam del porta-sfiga dev’essersi diffuso alla velocità della luce. Forse anche per questo avrei avuto non poche difficoltà per inserirmi. Cambiando zona, valicando l’Appennino, fermandomi alle Alpi, posso ricominciare. Torino non è fuori dal mondo, meno di cinque ore di viaggio con l’Alta Velocità”

“Hai ragione, Roberto, anche se questo ci allontana, hai preso una saggia decisione. Ma stai attento: il mondo è paese. I superstiziosi esistono anche nel moderno e raffinato Nord Italia. Non stimolare la quiescente altrui paura dell’ignoto, potresti rimanere nuovamente senza lavoro, lo sai, vero?”

“Tranquilla Carla, non ripeterò due volte lo stesso errore! A presto! Ci vedremo nel prossimo  week-end”

Carla non è affatto tranquilla. Troppe volte Roberto aveva sfidato la fortuna con le sue ‘idee moderniste’. Non basta essere nel giusto per convivere dignitosamente negli ambienti lavorativi, bisogna un po’ piegarsi ai compromessi e, come camaleonti, adattarsi all’ambiente.

Roberto è a Torino, si é sistemato presso il B&B ove alloggerà provvisoriamente per i prossimi sette giorni. Durante il viaggio, grazie alla connessione internet wireless del treno, ha avuto modo di contattare proprietari di appartamenti in locazione: un monolocale è più che sufficiente. Il weekend passa in visite a possibili alloggi per il lungo periodo lavorativo e, finalmente, arriva il primo giorno di lavoro. Viene accolto da Virginia, la recruiter, che gli spiega le ultime formalità. Lo fa incontrare con il Capo Progetto e da quel momento Roberto è inserito nel team. Viene presentato ai nuovi colleghi, quindi accompagnato alla sua postazione di lavoro.  Esamina i documenti che gli sono stati forniti, studia il nuovo prodotto per cogliere velocemente le novità rispetto alla versione precedente a lui ben nota. In breve riesce a familiarizzare  con la nuova interfaccia ed è pronto per essere operativo nei prossimi giorni.  Scambia opinioni con i nuovi colleghi, si fa illustrare il piano delle attività, i tempi e i metodi. In una parola si inserisce facilmente e positivamente nel team.

“Roberto, vieni a prendere un caffè con noi al distributore?”  – esordisce Rita, la nuova collega della scrivania di fianco.

Un brivido percorre la schiena di Roberto, esita un secondo prima di rispondere. Tristi ricordi vengono evocati da quella domanda, la sua battuta che qualche mese fa ha innescato un effetto domino di superstizione, un impatto talmente violento quanto oscurantista che l’ha proiettato lontano dalla portata dell’attrazione gravitazionale della sfera lavorativa romana. Apre la bocca esitando, mentre quei tristi ricordi si susseguono, rivede il suo ex capo, pusillanime, sbrigativo nelle decisioni, suddito e accondiscendente ai capricci del cliente. La bocca è ancora aperta mentre si susseguono i pensieri, ma non emette suoni.

“Roberto, stai bene? Sei diventato pallido, così, all’improvviso. Tutto OK?”  – insiste Rita, preoccupandosi

T…tutto ok, Rita, eccomi, scusa! Un attimo di smarrimento, devo ancora ambientarmi! Sì, un caffè è quello che ci vuole! Eccomi!”

Così raggiunge il team al distributore, dissipando le preoccupazioni della premurosa Rita. Socializzare con i colleghi è importante, per lavorare meglio. I primi passi in un nuovo ambiente sono i più delicati, per farsi accettare, per conquistare e meglio gestire le attività.

“Mi dicono che vieni da Roma, Roberto. Come mai da queste parti?” – chiede molto educatamente Franco, un collega del team, mentre sorseggia la sua bevanda

“Vado dove il lavoro mi chiama, e poi mi piace girare l’Italia. Non ho famiglia, nessun legame permanente, quindi, ho pensato: perché no?” – risponde disinvoltamente Roberto, sorseggiando a sua volta la sua bevanda – “Ho girato già parecchie città come Venezia, Firenze, Milano. Torino mi mancava”

“Ma, stavolta dovrai rimanerci almeno un anno. E che farai se ti chiederanno di rimanere ancora?”  – chiede dolcemente Rita

“Vuol dire che mi recherò dal Sindaco e gli chiederò le chiavi della città!”  – risponde prontamente Roberto, sollevando il bicchiere in segno di brindisi, ingoiando l’ultimo sorso, serrando  la bocca in un sorriso rivolto alla collega.

Una composta risata conclude la pausa caffè e tutti tornano ai propri posti di lavoro. Rita è seduta accanto a lui e lo istruisce sui dettagli e sulle evoluzioni dell’attività. Roberto ricambia illustrando alcune particolarità del prodotto informatico che conosce meglio di chiunque altro, scorciatoie e prassi semplificate per la risoluzione di alcuni odiosi problemi che emergevano già nelle versioni precedenti del prodotto stesso. In pochi giorni Roberto è operativo al 100% ed in perfetta sintonia con i colleghi del team.

La sua simpatia conquista i nuovi colleghi, ha sempre la battuta pronta, ma non sconfina mai oltre una certa misura, consapevole dei rischi: ha tesaurizzato la sua ultima triste esperienza e il suo essere ha emesso i dovuti anticorpi.

Un bel dì, un giorno apparentemente come tutti gli altri, Roberto approda, come ogni mattino, alla sua scrivania. È sempre il primo ad arrivare, abita molto vicino, ed è quindi il primo a ricevere ed aprire le emails del gruppo, cosicché possa gestire situazioni anomale del sistema in tempo utile. Fra le emails ne trova una, a dir poco, “strana”: “L’appalto è stato aggiudicato all’azienda Quantica S.p.A., la commessa verrà svolta dal nostro team. Le mie congratulazioni a tutto lo staff. Venerdì 13 cena aziendale, si prega di partecipare”.

 Mentre si sofferma a riflettere su tale e-mail, cercando di capire di cosa si tratti, giunge Rita, la sua collega e vicina di scrivania.

“Hai saputo?” – esordisce Rita – “Abbiamo finalmente vinto la gara d’appalto. Erano 8 anni che tentavamo, ma venivamo sempre battuti dalla concorrenza”

“Sono felice per voi… anzi per noi! Scusa, devo abituarmi all’idea di far parte della squadra, e direi anzi di esserne felice, e… non solo per questi risultati positivi!”

“Non essere modesto, Roberto, è stato grazie anche alla tua partecipazione nel team! Sai… devo dirtelo: da quando ci sei tu lavoriamo un po’ meglio tutti, siamo più coesi. Sei una figura professionale che, oltre ad essere ben preparato sul campo, fai da ‘raccordo’, insomma, grazie a te la comunicazione viaggia più veloce e puntuale e lavoriamo meglio in squadra. Hai conquistato la stima di tutti!”

“Ma… veramente… non faccio altro che il mio lavoro, fra l’altro senza la tua guida avrei avuto molte difficoltà, non credo di aver fatto la differenza, forse…”  – e s’interrompe bruscamente, senza completare la frase. Non vuole dire una parola di troppo: meglio accontentarsi dell’ondata di positività che, stavolta, volge a suo favore.

“Forse…?” – lo invita a concludere Rita, curiosa e attenta.

“Forse… cioè… volevo dire… forse è una casualità, credo che avreste vinto lo stesso, io ancora non sono addentro pienamente nelle procedure, sto ancora imparando!”

“Sempre modesto, Roberto, eh? Allora mettiamola così: se è una casualità come dici, allora ci hai portato tanta fortuna!”

Un nuovo brivido gelido percorre ancora la schiena di Roberto, gli sembra di rievocare quel momento fatidico in cui pronunciò quella frase che decretò la sua fine lavorativa. Ma, riflettendoci bene, stavolta è diverso: non ha pronunciato alcuna frase ‘pericolosa’ (se n’è guardato bene), né si sta parlando di sfortuna o iella, anzi, tutt’altro: adesso, per bocca di Rita, entra in gioco il fattore ‘fortuna’. Pronta la risposta di Roberto, che non si sbilancia più di tanto:

“Se lo dici tu! Felice di contribuire alle casualità positive, anche se naturalmente credo sia una semplice coincidenza”  – conclude con un sorriso sornione Roberto, soddisfatto d’aver piantato il seme giusto .

La sera, rientrato a casa, al telefono con la sua ragazza, dopo i convenevoli amorosi, le racconta gli ultimi avvenimenti, nonché la sua idea di battere sul chiodo della superstizione, stavolta in suo favore.

“Non mi sembra una buona idea, Rob, non sei rimasto abbastanza scottato dagli ultimi avvenimenti? Non bisogna giocare su queste cose!”  – paventa  Carla, preoccupatissima

“Mah, amore, io non ho detto niente. Sto solo assecondando le altrui ‘sensazioni’. Il mondo gira, la gente si esprime e cerca conforto nella scaramanzia. Ma questa volta sarà diverso. Vedrai, stavolta non mi prendono di sorpresa”

Così conclude la telefonata con la sua ragazza e si prepara ad affrontare un nuovo giorno. L’indomani quando giunge puntuale la pausa caffè, i membri del team, intenti a sorseggiare bevande che oggi hanno un sapore diverso, più dolce,  più corposo, più gradevole del solito, vengono raggiunti dal loro capo progetto, che ne approfitta per condividere la gioia gustandosi un buon cappuccino:

“Ragazzi, è superfluo dire che sono contento di voi, del vostro lavoro premiato dai risultati. Continuiamo così!”

Poi, rivolgendosi a Roberto:

“Tu sei Roberto, il nuovo arrivato, giusto?”

“Giusto!” – risponde Roberto senza nulla aggiungere.

“Mi sono giunte voci positive su di te, a quanto pare la nostra squadra decolla da quando sei arrivato tu. Non sono superstizioso, ma credo che una ventata di positività dalla Capitale unita alla tua professionalità non può che portarci bene. Benvenuto nel gruppo Roberto!”

“Grazie, Dottor Manifesti, cercherò nel mio piccolo di non deludere le aspettative”

E il dottor Manifesti, Project Leader del team di lavoro, si congeda dai collaboratori mentre risponde al cellulare non prima di aver trangugiato l’ultimo sorso di cappuccino.

Non aveva mai visto tante facce allegre sul posto di lavoro. Roberto torna alla sua postazione con il sorriso ancora stampato sulle labbra, come non succedeva da anni, complice la simpatica Rita, che lo invita ad esprimere un commento su Aldo Manifesti, il capo appena conosciuto.

Bel tipo, lo ammetto, molto serio e di poche parole. Non capita spesso che i capi si districhino dai loro mille impegni per corrispondere un tributo di riconoscenza verso i propri collaboratori”

“È vero, Roberto. Aldo è il nostro leader da circa sei mesi ed è più presente del suo predecessore. È odioso quando le cose vanno male, ma non va mai alla ricerca di un capro espiatorio: cerca sempre di richiamarci alle nostre responsabilità e di metterci in condizione che gli stessi errori non si ripetano più. È un forte sostenitore del lavoro di squadra, e noi, tutto sommato, riusciamo a lavorare abbastanza bene in team da quando siamo sotto le sue direttive. Il tuo arrivo ha rinforzato ulteriormente questa metodologia di lavoro: il tuo predecessore, un cosiddetto ‘genio incompreso’, teneva tutto per sé e non condivideva le sue conoscenze, così, spesso, pagavamo noi per i suoi errori!”

“Ah!  È stato licenziato?”

“No, ha preferito andarsene per un’offerta migliore. La tua postazione è rimasta vuota per una settimana, ma per fortuna sei arrivato al momento giusto: la squadra è nuovamente al completo e, direi, nella migliore delle forme!”

“Beh, cara Rita, anch’io ho sempre sostenuto che il lavoro di squadra è sempre migliore del lavoro di… goniometro!”

E con tale battuta, che suscita le risate di Rita e dei colleghi vicini di scrivania, i due si re-immergono nelle pressanti attività lavorative.

Squilla il telefono sulla scrivania di Roberto: “Hai tre minuti per me? Sono Silvia, postazione F-47, due file dopo la tua!”

“D’accordo, arrivo subito”

Roberto si reca alla scrivania di Silvia, interrogandosi su cosa possa aver bisogno, proprio da lui, il nuovo arrivato, una collega di lavoro appartenente ad un altro team, conosciuta al distributore del caffè insieme a tanti altri nuovi colleghi.

“Guarda, Roberto, la stampante oggi non ne vuol sapere di funzionare! Devo assolutamente stampare un documento e sono nel panico… non so proprio cosa fare, dicono che tu… tu… risolvi molti problemi!”

Roberto dà un’occhiata alla stampante, sembra tutto in ordine. Esegue il test di stampa e la stampante funziona regolarmente. Dà un’occhiata al PC e vede una folla di attività in corso. Dovrebbe funzionare ugualmente, ma sappiamo, la tecnologia informatica è tutt’altro che scienza. Una nube oscura pervade la sua mente nel ricordo “sono il terrore delle stampanti”, ma, fortunatamente si dissipa dopo qualche istante.

“Silvia, prova a chiudere tutte le applicazioni, e a effettuare il re-boot, quindi apri solo Word e riprova a stampare!”

Silvia, senza chiedersi il perché, obbedisce alla lettera, quasi come un bambino al quale si promettono le caramelle. Dopo la ripartenza del suo PC, prova a riaprire il suo documento Word per stamparlo, e, con sua grande meraviglia, la stampa si avvia regolarmente e tutte le pagine vengono regolarmente prodotte in una perfetta veste tipografica.

“Ma è un miracolo! Avevo già provato stamattina a riavviarlo, ma non ne voleva sapere! Cos’hai fatto?”

“Beh, Silvia, hai presente il film ‘L’uomo che sussurrava ai cavalli?’ forse puoi chiamarmi ‘L’uomo che sussurra alle stampanti’”

Silvia esplode in una risata. “Mi avevano anche detto che hai la battuta pronta su tutto, Roberto! Grazie, sei proprio un mago con i computer!”

“Non sono un mago, Silvia, solo… un po’ fortunato” – risponde Roberto, avvicinandosi a lei per continuare a parlarle a bassa voce – “Comunque ti consiglio di disinstallare un po’ di applicazioni, qualcuna potrebbe andare in conflitto con Word e qualcun’altra impedirti di stampare, specialmente quel game… che tiene impegnata la risorsa di stampa,  impedendo agli altri processi di accedervi. Anche se lo chiudi non rilascia la risorsa di stampa e, finché non riavvii, non riusciresti più a stampare!”

“Ehmmm ah… ssssì…certo! Nemmeno s…sapevo di averlo!” – ribatte imbarazzata Silvia, sentendosi in qualche modo ‘sgamata’ – “anzi, farò di più: mi farò riformattare il PC e installare solo gli applicativi che mi servono qui al lavoro!”

“Ottima idea così non risuccederà più”

“Grazie ancora, Roberto e… non farne parola, ti prego, questo PC l’ho ereditato da chi occupava prima di me questa postazione, non ho idea di tutto ciò che è  installato, così ho provato un po’ tutto… solo per curiosità!  ma sai, altri potrebbero pensare…”

“Tranquilla, Silvia, sarò muto come un pesce. Sarà il nostro segreto, dirai soltanto che in mia presenza la stampante ha ripreso a funzionare!” – conclude Roberto, congedandosi da lei strizzando l’occhio e rientrando alla sua postazione.

“Cosa le era successo?”  – lo interroga Rita curiosissima

“Mah, non l’ho capito! Ha ripreso a funzionare tutto, io le ho solo fatto riavviare il PC. Comunque le ho consigliato di riformattarlo, sai, forse qualche virus…”

“Certo, sì, qualche virus, come no! Ahahah! Allora saremmo tutti infettati! Siamo connessi alla stessa rete! Vedi? Sei tu che porti fortuna! Davanti a te anche i virus scappano”

E i due colleghi, stretti collaboratori, si concedono l’ennesima risata sull’accaduto.

Nei giorni a seguire le attività lavorative si svolgono regolarmente, tutto sembra svolgersi secondo normalità, finché Roberto non si vede apparire il suo capo, Aldo, all’improvviso di fianco alla propria scrivania.

“Puoi seguirmi nel mio ufficio?” – esordisce Aldo in tono incisivo, ma moderato.

“Certamente, dott. Manifesti, eccomi”

“Rilassati, Roberto, solo una curiosità. Hai notato che sei più benvoluto del solito, specialmente da quando abbiamo vinto la gara d’appalto? Vorrei sapere: cosa stai combinando? Stai distribuendo favori a tutti?”

“Ma veramente, dott. Manifesti, io…”

“Chiamami pure Aldo, rilassati, non è un interrogatorio, solo una domanda!”

“C… certo Aldo, grazie, quello che vorrei dirti è che… non ho fatto esattamente niente!”

“Allora forse ho capito, Roberto. Da quando sei arrivato tu stanno accadendo cose buone, non succedeva da anni. Io non sono superstizioso, anche se nel mio portachiavi non toglierei mai il piccolo corno d’avorio pitturato di rosso. Mi auguro solo che tu faccia sempre parte della nostra squadra e che continui nel tuo operato come hai sempre fatto. Non c’è nessuna magia e credo ne sia convinto anche tu, vero?”

“Assolutamente sì, dott. Manif… ehm… Aldo. Penso che si tratti solo di coincidenze. Ci si può credere o non credere!”

“Ma come lo spieghi che la stampante di Silvia ha funzionato solo in tua presenza, da quel momento in poi?”

“Beh, i PC sono dispettosi… certe volte si inchiodano e non vogliono saperne di funzionare, certe volte invece operano senza intoppi, davvero, non saprei…”

“Lo sai che ieri Rocco, il programmatore, ha evitato di perdere il lavoro di due ore  grazie a te?”

“Davvero? E come?”

“Così mi ha detto: tu l’hai chiamato per andare a prendere il caffè insieme ai tuoi colleghi, lui ha annuito, ma prima di lasciare la postazione ha effettuato un backup del suo modulo software. Ed è stato un ‘save’ provvidenziale, perché un secondo dopo è andata via la corrente il suo PC si è spento: avrebbe perso due di lavoro per ricostruire il software che sta scrivendo per il sito web aziendale!”

“Vedi, Aldo? Come ti dicevo, non ho fatto niente, anzi, nemmeno lo sapevo!”

Così Roberto comincia ad assaporare la ‘fama del gobbo portafortuna’, che lo aiuta non poco nell’inserimento nel nuovo lavoro e, soprattutto, nei rapporti con i suoi colleghi. Quell’aura di magia fa di lui una sorta di amuleto vivente: tutti lo vogliono vicino, non potendolo indossare. Tutti gli espongono i propri problemi, tecnici e non, tutti sono convinti che abbia sempre la soluzione giusta per ognuno. Lui è un bravo tecnico, sì, ma un aiutino in più recato dalla sorte benevola, non guasta affatto.

È passato quasi  un anno. Succedono tante cose, tante vicissitudini, ma Roberto è sempre all’altezza della situazione e del ruolo che ricopre. Fa sempre quadrato con i colleghi per superare le difficoltà.

Una sera, al telefono con la ragazza: “Ciao, Carla, sai, il mio contratto è in scadenza, qui a Torino!”

“Beh? Non sei contento? Tornerai a Roma! Hai detto che il tuo ex capo ti rivuole all’Istituto perché da quando sei andato via le cose sono talmente precipitate che adesso solo tu sapresti dove mettere le mani e come rimediare!”

“Non sono contento, Carla, perché sto per dirti che… non tornerò a Roma!”

“Ma coooooome? Stai scherzando spero! L’hai sempre desiderato!!!”

“È vero, all’inizio sì. Mi sentivo come detronizzato dal mio ruolo che avevo portato avanti con tanta professionalità e dedizione. Tutto il mio lavoro buttato da quelle stupide superstizioni!”

“Ah sì? E non è la superstizione che adesso ti sta salvando il sedere, Roberto? Andiamo!”

“Sì è vero, la superstizione o la semplice scaramanzia ha volto a mio favore esattamente come un anno fa ha volto a mio sfavore. L’altrui superstizione mi ha aiutato a penetrare l’ambiente, ma adesso la magia tanto enfatizzata all’inizio si è quasi completamente affievolita. Lavoro serenamente, condivido le difficoltà con colleghi e superiori, ho imparato una versione più avanzata del prodotto del quale sono esperto e… mi hanno fatto un’offerta a tempo indeterminato. In pratica vogliono che mi trasferisca qui, nella fredda Torino e continui a lavorare con loro in Quantica!”

“Non mi dire che hai accettato! Ti prego, no, no! E noi come faremo?”

“Non ho ancora accettato, Carla, mi serve la tua benedizione. L’offerta prevede anche un aumento: potrò così permettermi di vivere in un bilocale e tu potrai venire a trovarmi quando vuoi e, chi lo sa, potresti anche lavorare qui. Non si sta male. Vedi? Nell’ambiente in cui ho lavorato fino all’anno scorso, credevo di star bene, finché le persone non si sono rivelate nella loro vera essenza. Per una stupida credenza non hanno esitato a mettermi alla porta. Non hanno minimamente pensato che per me avrebbe potuto essere la fine, che sarei rimasto disoccupato. Si sono preoccupati soltanto di allontanare le oscure forze aliene che facevano di me un portatore sano di sfiga. E sarebbe successo anche qui se avessi fatto un passo falso simile o se avessi raccontato i miei trascorsi. Qui invece ho mosso la pedina giusta che, a quanto pare, ha indotto  Regina, Cavalli e Alfieri ad avanzare. La superstizione nascosta ha giocato un ruolo determinante all’inizio, nel momento d’incertezza, nel momento più difficile. Adesso anche il Re mi vuole nel suo regno, e le Torri mi proteggono con un buon contratto. Ho scommesso su ciò a cui non avrei mai creduto potesse succedere ed avere tali evoluzioni, ma ha funzionato. Tornare indietro sarebbe deludere queste persone che hanno tanto contato su di me, anche se aiutate da qualche idea scaramantica, e significherebbe premiare invece coloro che mi hanno defenestrato. E tu credi che costoro si sono ricredute veramente? No, Carla, costoro resteranno sempre con il germe del dubbio che io possa portar loro sfiga, ma adesso faccio loro comodo e vogliono salvare le loro seggiole. Non credi anche tu?”

Una lunga riflessione pone una pausa prima della risposta. Il respiro all’altro capo del telefono conferma la presenza dell’interlocutrice che, finalmente, risponde:

“Sai, Rob,  pensavo… il mio attuale lavoro mi ha stufato. È di ripiego. Quasi quasi accetto un’offerta di lavoro di traduttrice dal francese e vengo a vivere lì da te. La Francia è poi così vicina da Torino. Vuoi imparare il francese? Una ventina di giorni a Parigi quando andremo in ferie non ce le toglie nessuno! D’accordo? Hai tutta la mia benedizione, insieme al mio amore che non ti abbandonerà mai”

“E come non potrei essere d’accordo!? Domani allora firmo il contratto. Ma dimmi… cosa fai questo weekend? Non vedo l’ora di stare con te!”

E così si conclude amorevolmente l’odissea di Roberto verso la sua meritata pace sia lavorativa che psicologica. La bandiera porge tutta se stessa là dove il vento soffia. Così la Superstizione: un evento interpretato da una ‘diversa ignoranza’ può far cambiare direzione al vento del destino.

Nel profondo più profondo del cuore nessuno l’ha mai debellata: quando non è manifesta si nasconde confondendosi fra le nostre più recondite paure, fin quando riemerge, il più delle volte per fare del male spesso involontariamente, o, paradossalmente, anche del bene. Piccoli atteggiamenti spontanei, dettati da un velato istinto di conservazione  ci inducono a tagliar fuori dalla nostra vita qualcuno che possa alimentare il sospetto di iettatore. Così la bravissima cantautrice Mia Martini concluse col suicidio la sua vita immersa nella solitudine:  portava sfiga, dicevano tutti, allontanandola. Ma il nostro eroe è stato più fortunato: cambiando luogo e invertendo i poli della superstizione ha mutato il suo ruolo da porta-sfiga a portafortuna.  Cambiano gli amuleti, cambiano gli effetti collaterali, ma la Superstizione sopravvive ad ogni civiltà. E questa non è un’altra, ma é la Storia.

Vincent

Scrittore, Musicista, Informatico

Tratta dal racconto n. 18 del mio secondo libro “Non Solo Favole”, un racconto verosimilmente autobiografico