Dopo il mio ultimo articolo sulla panificazione, in molti hanno richiesto maggiori dettagli su come uso il lievito e sul perché per le mie panificazioni eviti di utilizzare sia il lievito di birra, sia il “lievito chimico”.
Prima di entrare nel merito vorrei fare alcune premesse teoriche.
Il processo di lievitazione della pasta prevede tre attori fondamentali:
- La pasta con la sua maglia glutinica, che si forma durante l’impasto con l’acqua, il cui scopo è di gonfiarsi trattenendo, a guisa di palloncino
- l’anidride carbonica, prodotta dagli
- agenti lievitanti, siano questi di tipo “chimico” o di tipo “naturale”.
A tal proposito vorrei ribadire che l’epiteto quasi denigratorio di “chimico” contrapposto a “naturale” attribuito a certi prodotti non mi piace, perché privo di fondamento: qualunque reazione o trasformazione di sostanze con cui abbiamo a che fare nella quotidianità è una reazione chimica, anche se prodotta da batteri o lieviti naturali.
Le reazioni chimiche avvengono costantemente dappertutto, intorno e dentro di noi, fanno parte della nostra stessa natura, quindi sono ovviamente naturali. La chimica industriale non è differente dalla chimica dei batteri, gli elementi di base sono gli stessi, quello che cambia sono le tipologie di processi e le finalità per cui vengono utilizzate. Quindi per me non è corretto utilizzare le locuzioni “lievito chimico” e “lievito naturale” per distinguere i due tipi di lieviti.
Le tipologie di agenti lievitanti utilizzate sono almeno tre:
- Lievito per dolci, ma nessuno vieta di usarlo anche per panificare, comunemente detto “lievito chimico”, lo definirei piuttosto “agente lievitante abiotico” o “lievitante abiotico” perché composto da due semplici reagenti chimici, ad esempio bicarbonato di sodio e bitartrato di potassio, sostanze che si trovano facilmente in natura, la cui reazione produce l’anidride carbonica, e non da microorganismi, come invece accade con gli altri tipi di lievito che io definisco “lievitanti biotici”.
- Lievito di birra, quello più diffuso per le panificazioni, basato sulla fermentazione prodotta dal miceto (fungo) saccaromyces cervisiae, estremamente pratico da utilizzare per la sua efficienza e rapidità di fermentazione, nonché per il gusto ed il profumo delle panificazioni che risulta gradevole ai più: non tutti sono avvezzi al gusto leggermente acido che si trova nella
- pasta madre o (nel mio caso) nel licoli, ovvero pasta madre liquida, la mia strada preferita per la lievitazione, di sicuro la più lenta, ma anche la più indicata per produrre pane che può diventare persino un cibo “sano” se formulato con opportuni ingredienti.
A differenza del lievito di birra, la pasta madre è di fatto una coltura di batteri, ovvero un impasto di farina e acqua, sottoposto a una contaminazione spontanea da parte di microrganismi, di cui una parte “lieviti”, ossia funghi ascomiceti tra i quali ritroviamo anche il succitato saccaromyces cervisiae, presenti naturalmente nelle materie prime (es. farina), oppure provenienti dall’aria, dall’ambiente, dall’operatore stesso, il cui sviluppo crea all’interno della massa una microflora batterica autoctona in cui predominano i batteri lattici.
Questi microrganismi, in competizione nutrizionale tra loro, in presenza di sostanze nutritive, di acqua, calore, ecc., crescono, si moltiplicano, avviano gli specifici processi metabolici di cui uno dei sottoprodotti è l’anidride carbonica che è la causa della lievitazione.
Altri sottoprodotti metabolici, quali ad esempio l’acido acetico e l’acido lattico, sono la causa del gusto leggermente acidulo di queste panificazioni, non a caso si parla anche di pasta madre acida, ma anche dei processi che consentono un netto miglioramento sul piano nutrizionale della panificazione stessa.
Quale lievito dunque?
Personalmente non faccio uso del lievito abiotico, perché, oltre alla lievitazione, non mi fornisce nulla di interessante, neanche a livello di sapore: è un agente relativamente neutro sul piano del gusto, ideale per far lievitare dolci.
Per praticità, invece, devo ammettere che talvolta ricorro al lievito di birra, ma solo quando devo preparare molta pasta per pizza e mi ritrovo con poco tempo a disposizione.
La mia scelta ricade quindi sulla pasta madre, o meglio, sul licoli.
La pasta madre è il lievito più indicato anche dalla moderna scienza della nutrizione per panificazioni, poiché tale agente lievitante biotico, oltre alla lievitazione stessa, realizza un’utile trasformazione delle caratteristiche nutrizionali dell’impasto, in modo favorevole al nostro intestino: viene aumentata la digeribilità, l’assimilabilità dei micronutrienti (la sostanziale neutralizzazione dei fitati, antinutrienti presenti specialmente nelle farine integrali) e infine viene favorita una maggiore tollerabilità del glutine.
Unico difetto: la pasta madre richiede una manutenzione con successivi rinfreschi, anche quotidiani, che oltretutto consistono nel buttar via una parte di pasta eccedente.
Questo metodo non fa per me che per principio non butto mai via nulla di commestibile: per questo motivo il mio lievito d’elezione è il licoli, la pasta madre liquida, una variante molto pratica della pasta madre tradizionale che non richiede quasi nessuna manutenzione né alcuno spreco di farina.
IL GLUTINE
Formato durante l’impasto, il glutine è una struttura proteica molto elastica che riesce ad intrappolare l’anidride carbonica prodotta dal processo di fermentazione o dalla reazione chimica dell’agente lievitante abiotico.
Attenzione: il bicarbonato da solo non riesce a far lievitare i dolci perché per produrre l’anidride carbonica ha bisogno di una controparte acida che non si trova nella farina, per questo è necessario aggiungere un acido debole, ad esempio il bitartrato di potassio (detto anche “cremor tartaro”); in realtà potrebbe bastare anche del succo di limone o un altro acido debole come l’aceto, importante che la reazione sia lenta durante l’impasto, in modo da gonfiare nel modo migliore la maglia glutinica, senza far fuggire troppo presto l’anidride carbonica prodotta.
Senza il glutine è molto più difficile ottenere dei buoni lievitati, anche se non impossibile, per questo le pizze e le varie panificazioni per celiaci sono spesso molto deludenti, almeno per chi come il sottoscritto ama i cibi lievitati.
Eppoi c’è glutine e glutine, secondo me andrebbe rivisto questo stigma eccessivo nei confronti di questa proteina, certo non è una sostanza che brilla per salubrità, ma è risaputo che il glutine ottenuto da certe farine antiche è molto più tollerato (non dai celiaci ovviamente) del glutine che ritroviamo nella maggior parte delle panificazioni “da supermercato”.
Infine una considerazione: siamo sicuri che sia così ineludibile il dover ricorrere a farine come la Manitoba per ottenere lievitazioni importanti come panettoni o simili prelibatezze?
Si usano farine molto forti, lo so, farine dove la gran quantità di glutine riesce a trattenere buona parte dell’anidride carbonica. Ma è anche noto che con opportune tecniche è possibile aumentare la forza delle farine deboli in modo da poter produrre buone lievitazioni con un glutine meno “invadente”: dovremmo provare a puntare tutti i nostri sforzi di bravi panificatori a ottenere grandi lievitati con farine più deboli ma anche più tollerabili.
Ricordo infine che ci sono additivi assolutamente salubri e leciti, come la vitamina C (praticamente acido ascorbico), che fanno magie anche con farine deboli.
In sintesi, con varie tecniche e opportuni ingredienti è possibile ottenere pane salubre e ben lievitato anche con farine con meno glutine, poco ma di buona qualità.
Nella prossima puntata descriverò come utilizzo il mio Licoli e come riesco a crearlo “ex nihilo”.
Con il lievito madre si conquista un nuovo livello di indipendenza alimentare, oltre che una nuova opportunità di star bene.
Hgd