-“ Ciò, ti vol che ‘ndemo aea Campana?” (Trad.: Allora,vuoi che andiamo all’osteria “la Campana”?)
Tra le tante cose che adora fare il Sior Pare c’è quella di andar a mangiar fuori. Per quanto lui ami moltissimo cucinare (vedi l’articolo in cucina col sior pare), gli piace un sacco l’idea di sedersi in un ristorante ed essere un po’ viziato o semplicemente fare qualcosa di diverso dal solito. Mangiare cose strane e prelibate, il tutto accompagnato da uno Spritz iniziale e poi un buon vino o una birra fresca.
Quando ero piccola capitava davvero molto di rado, di solito quando eravamo in ferie. Negli ultimi anni invece ogni occasione è buona. Inizialmente si andava a mangiare una semplice pizza o del pesce, o magari degli gnocchi ad una sagra. Poi l’ho introdotto al Sushi che è diventata la sua passione. Per quanto ogni tanto glielo prepari io, fosse per lui ci andrebbe una volta a settimana! Che siano i semplici Nigiri, del Sashimi, un Chirashi o i vari tipi di spaghetti, a lui basta sedersi lì e farsi portare tutti quei piatti esotici per sentirsi in paradiso.
Le occasioni in cui ormai è d’obbligo uscire fuori a mangiare sono gli onomastici.
Nella mia famiglia c’è l’usanza di festeggiare l’onomastico come un compleanno se non di più: ci si fanno i regali, si compra la torta e si va, appunto, anche a mangiar fuori. Tradizione tipica del sud Italia e poco nordica ma molto veneziana (e, come già detto, a Venezia abbiamo un Dio per conto nostro). Da quando ho iniziato ad andar in ferie da sola ho sempre fatto in modo di essere a casa il 26 luglio per festeggiare Sant’Anna con i miei genitori. È ormai un rito. A pranzo i miei piatti preferiti, si apre un prosecco, la torta e si festeggia fino a sera che si esce.
È una cosa a cui teniamo tutti, io in modo particolare essendo nata il 28 dicembre con la sfiga di ricevere sempre o un solo regalo tra Natale e compleanno o due piccoli. Sembrerà infantile, ma è come non godersi né una festa né l’altra. Per cui i veri festeggiamenti con la famiglia si fanno il giorno dell’onomastico. Questo valeva comunque un po’ anche per gli altri, si comincia il 30 novembre con Sant’Andrea, il 1 dicembre era il compleanno di mia nonna, il 17 di mia mamma e, infine, il 28 il mio.
Da qualche anno abbiamo preso l’abitudine di andare a pranzo in una antica osteria gestita da una coppia di veneziani a 100 metri da casa. Un posto fuori dal tempo, con le sedie del 1800 e vecchi quadri, in cui ogni giorno il menù cambia a seconda di quello che hanno trovato al mercato ittico. Buon pesce fresco e il vinello della casa. È un po’ come sentirsi in famiglia.
Quest’anno il Sior Pare si è preso per tempo, così già ai primi di luglio mi chiedeva ogni tre – quattro giorni:
- ” Ciò, quando vien Sant’Anna? E ‘ndemo a magnar fora? Dove ‘ndemo?” (Trad.: Ehi, quando è Sant’Anna? E andiamo a mangiar fuori? Dove andiamo?)
Il 26 a pranzo vado da lui, aspettandomi chissà che. Niente. Nemmeno gli auguri. Mi telefona verso le 19:
- “So ‘pena tornà da messa, no me cambio e ‘ndemo a magnar daea Laura?” (Trad.: Sono appena tornato dalla messa, non mi cambio e andiamo a mangiare dalla Laura? (pizzeria vicino a casa))
- ” Ma non dovevimo andar luni aea Campana?” (Trad.: Ma non dovevamo andare lunedì alla Campana?)
- ” Beh, ‘ndemo anca eà! Ma almanco stasera festeggemo.” (Trad.: Beh, andiamo anche là! Ma almeno stasera festeggiamo)
La giornata è finita così. Una telefonata, una pizza e una birra fuori e poi insieme felici a vedere la Juve vincere questo nono scudetto.
Tra tutte le cose, l’importante è sapere sempre come coccolarsi.
Anna Bigarello