Nella Chiesa del Carmine Maggiore in Napoli è visibile una teca contenente un insolito ex voto, il rostro di un pesce sega, al di sotto della quale è presente una lapide in marmo corredata da un’incisione realistica del profilo di questo strano animale marino.
Si tratta, infatti, di un pesce cartilagineo (imparentato con squali e razze) dalla morfologia molto particolare, essendo dotato di un muso appiattito e molto allungato, dotato su entrambi i margini di numerosi denti, conferendo al rostro l’aspetto di una sega: si tratta di un’arma micidiale, con la quale il pesce è in grado di “fare a fette” le sue prede, come si può vedere in alcuni filmati reperibili in Internet. Alcuni zoologi si sono basati proprio sul rostro del Carmine, che secondo una leggenda risalirebbe alla fine del 1500, per sostenere che questa specie era un tempo diffusa nel Mediterraneo.
Ma questa animale è mai vissuto nel “mare nostrum”? Cosa può dirci al riguardo il rostro del Carmine Maggiore?
Grazie a una lavoro multidisciplinare realizzato da un’equipe di ricercatori dell’Università Politecnica delle Marche (Ancona), della FAO, della Stazione Zoologica “Anton Dohrn” e dell’Univesistà “Federico II” di Napoli, coordinati dal Prof. Vincenzo Caputo Barucchi del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente è stato possibile chiarire l’enigma della “reliquia” zoologica, come si può leggere in una recente pubblicazione sulla rivista internazionle “Contribution to Zoology” (Tatiana Fioravanti et al., 2023, doi: 10.1163/18759866-bja10048).
L’analisi morfologica del rostro ha identificato l’esemplare come appartenente alla specie Pristis pectinata, attualmente diffusa nell’area caraibica e probabilmente estinta nell’Africa occidentale. L’identificazione è stata validata dall’analisi del DNA antico estratto dalla cartilagine molto ben conservata, che ha permesso di confrontare le sequenze di DNA del pesce di Napoli con quelle di esemplari provenienti da altre zone del suo areale di distribuzione. Questa analisi non ha evidenziato caratteristiche genetiche diverse da quelle che si osservano nell’Oceano Atlantico, mettendo così in dubbio l’origine locale dell’animale.
Ciò che tuttavia rende molto improbabile che l’esemplare risalga alla fine del Cinquecento è la datazione con il radiocarbonio, che lo colloca intorno alla metà dell’Ottocento.
In definitiva, sembra proprio che il pesce sega non sia mai vissuto nel Mediterraneo, come suggeriscono anche le condizioni climatiche di questo mare (troppo freddo per un pesce amante dei climi tropicali), nonché la totale assenza di resti archeologici e di rappresentazioni nell’iconografia antica, suggerendo che i Romani non lo conoscessero. In effetti, nella sua monumentale Naturalis Historia, Plinio il Vecchio segnala il pesce sega per l’Oceano Indiano ma non lo cita per il Mediterraneo.
Sebbene vi siano delle rappresentazioni di mostri marini (detti “pistrici”) in alcune chiese medievali dell’ex Regno delle Due Sicilie (per esempio, nel duomo di Gaeta e nella chiesa madre di Positano), esse non hanno nessuna somiglianza con il vero pristice dal rostro seghettato (Pristis pectinata), ma sono degli animali di fantasia, come altrettanto fantastica sembra la presunta origine mediterranea del rostro conservato nella Basilica del Carmine maggiore a Napoli.
In copertina, Pesce sega fotografato all’Acquario di Genova. Credits Università Politecnica delle Marche