Guardare al nucleo delle cellule per comprendere l’Alzheimer: il 21 settembre 2021, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, è stata condivisa la notizia della scoperta di una proteina che protegge il nucleo cellulare da malformazioni, coordinata dal prof. Giannino Del Sal, Università di Trieste, IFOM e ICGEB, pubblicata sul giornale scientifico Cell Reports.
Un gruppo di scienziati italiani ha identificato una proteina, detta PIN1, che protegge il nucleo cellulare da malformazioni. I risultati sono appena stati pubblicati sulla rivista Cell Reports [1].
Quando la proteina PIN1 è assente o presente in quantità ridotte, come accade nei neuroni dei pazienti colpiti dalla malattia di Alzheimer, il DNA perde la sua organizzazione, vengono prodotte molecole che scatenano l’infiammazione e le cellule degenerano. La scoperta è stata fatta da un gruppo di scienziati dell’Università di Trieste e dell’ICGEB di Trieste, e dell’IFOM di Milano, con la collaborazione della SISSA.
Le cellule dei nostri tessuti sono sottoposte a stimoli e stress di diversa natura ai quali rispondono modificando e regolando l’organizzazione del genoma e l’espressione dei geni. Un meccanismo cruciale alla base di questa capacità fa perno sulla proteina PIN1, coinvolta nella decodifica di diversi tipi di segnali che la cellula riceve, ed è per questo implicata in molteplici processi fisiopatologici. Alterazioni dei suoi livelli sono associate a diverse condizioni di malattia: mentre un aumento di PIN1 contribuisce alla formazione dei tumori e delle metastasi, la sua diminuzione è osservata in malattie neurodegenerative come la demenza di Alzheimer.
Fino a oggi poco si sapeva sui meccanismi molecolari che, in queste, a loro volta e in ultima analisi, conducono le cellule nervose alla degenerazione.
«Diverse alterazioni nell’organizzazione del genoma e nell’attività dei geni sono associate all’invecchiamento e possono comportare danno al DNA e infiammazione, contribuendo alla degenerazione cellulare» spiega Giannino Del Sal, professore ordinario dell’Università di Trieste, Direttore del Laboratorio di “Cancer Cell Signalling” all’ICGEB di Trieste e responsabile del programma di ricerca “Segnalazione, microambiente tumorale e metabolismo cellulare” presso l’IFOM di Milano che ha coordinato lo studio con la collaborazione di Simona Polo, IFOM e Università degli Studi di Milano, Fabrizio d’Adda di Fagagna, IFOM e CNR-IGM di Pavia e Claudio Tripodo, Università di Palermo e IFOM e di Remo Sanges and Antonello Mallamaci della Sissa. «Tra queste alterazioni, una in particolare sta emergendo per la sua particolarità e rilevanza: l’attivazione di sequenze mobili del genoma dette trasposoni, che hanno la capacità di spostarsi all’interno del genoma cellulare danneggiando il DNA e causando quindi ulteriori problemi. È proprio l’anomala attivazione di questi elementi mobili del genoma che abbiamo osservato come prima conseguenza della mancanza o riduzione dei livelli di PIN1».
Francesco Napoletano, ricercatore dell’Università di Trieste, biologo genetista esperto di Drosofila, primo autore dell’articolo assieme alla Postdoc Gloria Ferrari Bravo, spiega «Abbiamo capito, studiando la drosofila, il moscerino della frutta, che PIN1 è essenziale per tenere sotto controllo queste sequenze mobili, in particolare in presenza di stimoli meccanici come quelli legati alla formazione di aggregati intracellulari tipici dell’Alzheimer, e che questo meccanismo protegge il DNA, soprattutto durante l’invecchiamento quando questi stress sono più significativi. Esso coinvolge la regolazione della struttura stessa del nucleo con un meccanismo conservato dalla drosofila fino agli esseri umani». Conclude: «tale meccanismo risulta alterato in pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer, nei cui campi biologici abbiamo osservato una riduzione dei livelli di PIN1 addirittura superiore alle attese, associata all’attivazione anomala degli elementi mobili».
Le malattie legate all’invecchiamento, come le malattie neurodegenerative e il morbo di Alzheimer, hanno un impatto sempre più rilevante dal punto di vista sociale e sanitario, visto il progressivo aumento dell’età media della popolazione e la mancanza di terapie risolutive e/o di marcatori utili a diagnosticare la malattia o prevederne l’evoluzione.
«Questo studio» afferma Giannino Del Sal «ha portato all’identificazione di proteine la cui funzione può essere modulata farmacologicamente allo scopo di prevenire o migliorare il decorso di malattie dell’invecchiamento come l’Alzheimer. La prima è PIN1, ma abbiamo individuato anche altri possibili bersagli. L’obiettivo è ora sviluppare molecole che ne promuovano la funzione protettiva nei confronti del nucleo cellulare e verificarne l’effetto in modelli preclinici della malattia».
«Infine» conclude il prof. Del Sal, coinvolto in un programma di ricerca collaborativa sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e dedicato allo studio delle metastasi come malattia “meccanica” «ci sono altre malattie legate all’invecchiamento dove gli stimoli meccanici hanno un ruolo determinante: i tumori. Stiamo attivamente conducendo le nostre ricerche anche in questa direzione, per comprendere meglio il ruolo di PIN1 e del meccanismo che abbiamo scoperto in quel contesto, e come possiamo sfruttarlo a nostro vantaggio per sviluppare nuove strategie terapeutiche».