Sono stati necessari 990 giorni per portare a compimento un avvicinamento alla nostra stella che non ha precedenti e l’incredibile velocità di picco registrata il 21 novembre è stata gestita senza arrecare danni all’integrità del mezzo NASA. E’ così che la sonda Parker Solar Probe è entrata per la prima volta nella parte superiore dell’atmosfera solare, la corona, dove ha potuto effettuare rilevazioni sulle particelle e sui campi magnetici che non hanno precedenti in ambito scientifico.
La sonda spaziale Parker Solar Probe, precedentemente nota semplicemente come Solar Probe +, è una delle più importanti sonde sviluppate dalla NASA, allo scopo di analizzare attentamente il Sole e il suo vento stellare. Il lancio è avvenuto il 12 agosto 2018 alle ore 07:31 UTC dal Launch Complex 37 nel Cape Canaveral Air Force Station a Cape Canaveral, con un ritardo di dieci anni rispetto alla sua prima ipotesi di lancio. Deve il suo nome al fisico Eugene Parker, che per primo teorizzò la presenza del vento solare. Durante la missione di sette anni, il veicolo spaziale eseguirà un totale di 24 perieli, con gli ultimi tre che portano il veicolo spaziale a meno di 6 milioni di chilometri dalla superficie del Sole
Si tratta di un’impresa storica la cui importanza è quantomeno paragonabile a quella del primo sbarco sulla Luna, poiché tale traguardo ha permesso letteralmente di toccare “la stessa sostanza di cui è fatto il Sole“, come afferma orgogliosamente la NASA in un comunicato.
“Sin dalla partenza della Parker Solar Probe, il 12 agosto 2018, abbiamo potuto analizzare diverse caratteristiche inedite della nostra stella man mano che ci siamo avvicinati“, affermano gli scienziati artefici dell’impresa. Costoro hanno notato che le strutture magnetiche, chiamate “Tornanti Solari”, abbondano nelle vicinanze alla superficie del Sole. “Forse ora che siamo in prossimità della corona potremo scoprire la loro origine e il motivo della loro formazione”, conclude l’operoso team di scienziati della Nasa
COME SIAMO RIUSCITI A RAGGIUNGERE LA CORONA SOLARE
E’ bene spiegare che, a differenza dei pianeti rocciosi come la Terra, il Sole non ha una superficie solida. Presenta un’atmosfera caldissima fatta di materiale solare tenuto assieme dalla gravità e dalle forze magnetiche. Quando il calore e la pressione spingono quel materiale lontano dal Sole, c’è un’area chiamata “Superficie critica di Alfvén“ in cui la gravità e i campi magnetici sono troppo deboli per contenere le particelle espulse. E’ qui che finisce l’atmosfera solare e inizia il vento solare, la cui influenza attraversa e supera tutto ciò che è presente all’interno del sistema solare.
La Superficie critica di Alfven è stata superata per la prima volta il 21 aprile 2021, in occasione dell’ottavo sorvolo del Sole, quando la sonda si trovava a circa 8,1 milioni di km di distanza dalla corona solare. Dopo il raggiungimento di quell’obiettivo era solo questione di tempo prima che la Parker solar Probe riuscisse a toccare la corona solare, e quel traguardo è stato finalmente raggiunto.
Ma non dobbiamo immaginare una distinzione così netta tra atmosfera superiore e corona, non si tratta in effetti di un’area sferica ben delineata, ma al contrario presenta diverse increspature che variano in simbiosi con l’attività superficiale del Sole. Questo è un grande vantaggio perché analizzando cosa succede nella corona solare possiamo capire cosa avviene a livello superficiale e come vengono influenzati i venti solari. Proprio per questa sua caratteristica la sonda Parker Solar Probe è entrata e uscita più volte dalla corona solare. Ma come se ne sono accorti gli ingegneri NASA?
Quando la sonda è arrivata a circa 6,5 milioni di km dalla superficie del Sole ha attraversato una zona chiamata Pseudostreamer, che delimita la corona solare. Ad un certo punto il numero di tornanti è diminuito e le particelle hanno mostrato un rallentamento rispetto al loro comportamento nell’area del vento solare. È stata la prima volta in cui la sonda ha rilevato la capacità del campi magnetici di dominare il movimento delle particelle solari, segno di essere entrati nella corona solare
Ma il primo passaggio è durato solo poche ore e sarà seguito da altri ancora più ravvicinati. L’obbiettivo è arrivare alla distanza record di 6,16 milioni di km dalla superficie del Sole. Il prossimo sorvolo che porterà nuovamente la Parker Solar Probe all’interno della corona solare è previsto nel corso del 2022.
COME FA LA SONDA A RESISTERE AL CALORE DEL SOLE
Forse non tutti sanno che la superficie del Sole non è il punto esterno più caldo della Stella. Se la superficie arriva a circa 5.500 gradi celsius, la corona solare raggiunge temperature di gran lunga superiori, dell’ordine di 2 milioni di gradi celsius. Come fa la Parker Solar Probe a resistere?
La chiave risiede nell’ingegnoso sistema di protezione e scudo termico progettato per resistere a fluttuazioni estreme di temperatura, ma è fondamentale anche una semplice questione fisica legata al meccanismo di diffusione del calore nello spazio. A temperature elevate le particelle possono muoversi velocemente ma poiché lo spazio è per lo più vuoto, ce ne sono in realtà poche in grado di trasferire energia (e quindi calore) al veicolo spaziale.
La corona solare attraverso la quale vola Parker Solar Probe, ad esempio, ha una temperatura estremamente elevata ma una densità molto bassa. Pensiamo ad esempio alla differenza tra il mettere una mano nell’acqua bollente e una nel forno alla massima temperatura: nel secondo caso riusciamo a resistere per molto più tempo nonostante la temperatura sia oltre il doppio, proprio perché c’è un’interazione con un numero minore di particelle rispetto a quelle dell’acqua a 100°.
Allo stesso modo, rispetto alla superficie visibile del Sole, la corona è meno densa, quindi la sonda interagisce con meno particelle calde e non riceve tanto calore. Ciò significa che mentre Parker Solar Probe viaggia attraverso lo spazio con temperature esterne di diversi milioni di gradi, la superficie dello scudo termico rivolto verso il Sole si riscalderà non oltre i 1.400 gradi Celsius. Non sono pochi, perciò la sonda è dotata di uno scudo termico (TPS) che utilizza una schiuma composita contenuta tra due piastre di carbonio in grado di mantenere la strumentazione al sicuro.
Altre missioni precedenti
La strada è stata aperta dalle missioni solari recenti, come il Solar and Heliospheric Observatory (SOHO) che dalla fine degli anni novanta ha fornito immagini mozzafiato del Sole e della sua corona.
La sonda Ulysses ha misurato il vento solare e il campo magnetico del Sole, mentre percorreva un’orbita che le ha permesso di osservare i poli dell’astro. Queste missioni hanno rivelato che i venti solari più veloci, che soffiano a velocità fino a 800 km/s, possono avere origine da tutta la superficie solare e non solo dai poli, come gli astronomi avevano creduto in precedenza. Ancora non si comprendono i processi fisici che generano il vento solare e quindi non si può prevedere l’arrivo delle tempeste che causano tanti problemi sulla Terra.
Nel 2001, la NASA ha lanciato Genesis, una sonda che ha raccolto particelle del vento solare da un’orbita vicina a quella della Terra. Successivamente, il veicolo ha riportato i campioni sulla Terra, sebbene l’atterraggio non sia avvenuto come previsto a causa di un’avaria, dove gli scienziati hanno poi potuto misurare l’abbondanza dei vari elementi e isotopi. Anche la Russia, il Giappone e la Germania hanno messo a punto missioni per lo studio del Sole.
Considerazioni Finali
Ricordo, tanti e tanti anni fa, di aver visto uno di quei filmati di avvistamenti UFO, che mi ha destato l’attenzione più di molti altri: una (presunta) astronave che si tuffava nel sole a una velocità impressionante, e che usciva dall’altra parte. I soliti tre o quattro scienziati scettici, interpellati, asserivano che “E’ impossibile perfino avvicinarsi al Sole, figuriamoci attraversarlo: non esiste materiale che sopporti quelle temperature per p più di qualche secondo!”. Un altro scienziato ribatté con fermezza: “Ciò che era impossibile oggi, sarà possibile domani, anche l’impossibile. La storia ce ne ha dato ampia dimostrazione”.
E la storia è giunta ai giorni nostri: alla luce delle nuove tecnologie emerse, nel corso del tempo le imprese di questi UFO sono sempre meno miracolose. Questa “miracolosa” sonda ce l’ha dimostrato: l’ultimo scienziato interpellato è stato profetico. Già oggi siamo in grado perfino di deviare asteroidi del diametro di decine di chilometri in rotta di collisione con la Terra. Nel corso del presente decennio, saremo in grado di individuare asteroidi molto più piccoli (meno di cinquanta metri di diametro) in tempo utile (adesso solo qualche ora prima, troppo poco per organizzare una difesa o evacuare una città), e salvare quindi il pianeta da catastrofi di immane portata: dalla distruzione di una metropoli all’estinzione di massa nel pianeta. Direi proprio che i fondi destinati alle ricerche nel campo dell’astronomia, sono ben più che ripagati.
Vincent
Scrittore, Musicista, Informatico
Fonti: Focus TV, HDBlog.it, Wikipedia