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Vedi ciò che credi o credi ciò che vedi?

Le nostre strategie decisionali, tra “credenti” e “empiristi”. Uno studio dell’Università di Bologna mostra per la prima volta che quando dobbiamo compiere una scelta siamo in grado di modulare l’ampiezza delle onde cerebrali alfa per includere o escludere le nostre aspettative nel processo decisionale: una strategia che ci permette di adattarci all’ambiente risparmiando energie.

Quando si tratta di prendere una decisione, c’è chi sceglie in base alle proprie aspettative su quello che potrebbe accadere, e chi è invece più scettico e preferisce toccare con mano la realtà prima di agire. Ma da cosa dipendono questi diversi orientamenti?

Un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna ha indagato perché, anche di fronte allo stesso ambiente e alle stesse informazioni, le persone percepiscono stimoli e prendono decisioni in maniera diversa. Lo studio – pubblicato sulla rivista Progress in Neurobiology – mostra che queste differenze dipendono dal modo in cui si connettono tra loro diverse regioni del cervello.

“Il nostro sistema nervoso non ha come scopo primario quello di creare una rappresentazione fedele della realtà, ma crea invece modelli interpretativi che ci consentano di adattarci all’ambiente circostante”, spiega Vincenzo Romei, professore al Dipartimento di Psicologia “Renzo Canestrari” dell’Università di Bologna, che ha coordinato lo studio. “Cerchiamo quindi continuamente di prevedere gli eventi futuri per anticipare le sorprese che ci riserva la natura: è un meccanismo che ci aiuta a risparmiare moltissime risorse“.

Per indagare in che modo questo meccanismo può però portare a strategie differenti quando si tratta di prendere una decisione, gli studiosi hanno realizzato un esperimento. Un campione di 68 persone è stato sottoposto a un compito di percezione visiva. I partecipanti dovevano riconoscere nel più breve tempo possibile un elemento che appariva su uno schermo, dopo aver ricevuto un’informazione in merito alla probabilità che lo stimolo venisse o meno presentato. Nel frattempo le oscillazioni delle loro onde cerebrali venivano registrate tramite elettroencefalografia (EEG) ad alta densità.

L’esperimento ha permesso di isolare i processi chiave che avvengono quando ci aspettiamo qualcosa a livello percettivo. In particolare, i ricercatori hanno osservato che le aspettative visive non aumentavano l’accuratezza con cui lo stimolo veniva percepito, ma modulavano la componente soggettiva della decisione. I partecipanti, insomma, “vedevano” lo stimolo proprio nelle occasioni in cui si aspettavano di vederlo, sia che questo effettivamente comparisse o meno.

Ma che cosa determina questo comportamento? Analizzando le oscillazioni delle onde cerebrali, gli studiosi hanno dimostrato per la prima volta che il meccanismo in questione dipende dalla modulazione dell’ampiezza delle onde cerebrali alfa, dei ritmi cerebrali molto presenti nella corteccia visiva umana, spesso associati alla concentrazione e alla coscienza. Nello specifico, minore era la forza di queste onde, maggiore era la probabilità che i partecipanti riportassero di percepire lo stimolo, anche se questo non compariva sullo schermo.

“L’ampiezza delle oscillazioni alfa è stata spesso associata ai processi decisionali”, spiega Luca Tarasi, dottorando dell’Università di Bologna e primo autore dello studio. “Dai dati raccolti è emerso che il ruolo di queste onde non è legato alla nostra capacità di compiere scelte accurate, ma piuttosto alle strategie decisionali che adottiamo deliberatamente: durante l’esperimento c’erano individui molto proni a modulare l’ampiezza delle onde alfa in funzione delle aspettative, mentre altri partecipanti mostravano una modulazione ridotta”.

Da qui, gli studiosi hanno individuato due strategie decisionali distinte. Da un lato ci sono i “credenti”, più propensi a orientare le proprie scelte in funzione delle aspettative, e dall’altro gli “empiristi”, che considerano in maniera minore queste informazioni nel momento in cui devono prendere una decisione.

“Queste due strategie sono dovute a modalità diverse con cui le aree cerebrali comunicano tra di loro: influenzando l’ampiezza delle oscillazioni alfa si favorisce oppure si previene l’incorporazione delle aspettative nel processo decisionale”, dice il professor Giuseppe di Pellegrino, altro autore dello studio e direttore scientifico del Centro studi e ricerche in Neuroscienze Cognitive dell’Università di Bologna – Campus di Cesena. “In particolare, mentre la strategia del ‘credente’ mette in comunicazione le aree cerebrali che si occupano di utilizzare le aspettative, gli individui che adottano la strategia dell”empirista’ mettono in comunicazione le aree cerebrali che si occupano di controllare e inibire l’utilizzo delle aspettative visive”.

La capacità di prevedere gli eventi in base all’ambiente in cui ci troviamo ci consente di ridurre lo sforzo necessario per prendere decisioni e di risparmiare quindi molte energie. Ma chiaramente questa capacità di adattamento dipende anche dalla possibilità di aggiornare le nostre aspettative, nel momento in cui dall’ambiente esterno ci arrivano informazioni discordanti.

“È importante sottolineare che le due strategie delineate, quella dell”empirista’ e quella del ‘credente’, non sono in competizione tra loro, ma vanno viste come funzionali al contesto”, precisa infatti Luca Tarasi. “Se mi trovo in un ambiente completamente nuovo, mi conviene adottare la prospettiva dell”empirista’, raccogliendo dei dati prima di arrivare ad averne una rappresentazione interna; una volta che ho acquisito una rappresentazione adattiva, posso però passare alla strategia del ‘credente’, per risparmiare risorse mentali preziose e destinarle ad altre attività”.

I risultati ottenuti potrebbero essere utili in campo organizzativo, per individuare i contesti più adatti in cui inserire i dipendenti all’interno di un’azienda o un’istituzione complessa, ma anche in campo clinico, per identificare casi di rischio precoce di disadattamento.

“Utilizzare in maniera rigida un approccio basato sulle credenze interne può causare una forte dissociazione tra gli eventi percepiti attraverso i sensi e la loro interpretazione soggettiva, come nei casi di schizofrenia”, spiega infatti Vincenzo Romei. “Si potrebbero quindi implementare protocolli di neurostimolazione cerebrale non invasiva per regolare attivamente gli stili decisionali, e determinare così se eventuali valori marcatamente sbilanciati possano essere ricalibrati all’interno di un range di valori meno estremi”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Progress in Neurobiology con il titolo “Are you an empiricist or a believer? Neural signatures of predictive strategies in humans”. Gli autori sono Luca Tarasi, Giuseppe di Pellegrino e Vincenzo Romei del Centro studi e ricerche in Neuroscienze Cognitive dell’Università di Bologna, attivo al Campus di Cesena presso il Dipartimento di Psicologia “Renzo Canestrari”.