È la nazionale più giovane e povera del mondo, senza strutture sportive nel suo Paese, reduce da una guerra fratricida che ha mietuto migliaia di vittime.
Poi, c’è lo sport. Che scrive pagine di storia destinate a segnare un’epoca.
Un po’ come per il Marocco ai Mondiali di calcio, la notizia sta facendo il giro del mondo ma lo spirito è decisamente diverso.
C’è empatia, e simpatia, per questo gruppo di – letteralmente – scappati di casa (e non, come si dice in gergo sportivo, perché dormono in campo o si trastullano con la palla) capaci di compiere un vero miracolo sportivo che ha raccolto intorno a sé i consensi di tutto il pianeta basket, e non solo.
La nazionale è composta di orfani e profughi e ha battuto il Senegal 83 a 75 ottenendo la qualificazione ai prossimi Mondiali di basket.
Un risultato storico per il Paese più giovane e povero del mondo. Il Sudan del Sud – ufficialmente Repubblica del Sudan del Sud – diventa pienamente indipendente il 9 luglio del 2011 anche se restano alcune controversie con il Nord, come per esempio la ripartizione dei proventi del petrolio i cui giacimenti si trovano all’80% nel Sudan del Sud. Se questo potrebbe rappresentare un incredibile potenziale economico in un’area fra le più povere al mondo, resta il fatto che la maggior parte degli impianti di raffinazione si trova invece al Nord.
Ma torniamo al basket.
Il miracolo si deve innanzitutto ai giocatori ma anche a Luol Deng, sudsudanese ala piccola “semplicemente” ex Chicago Bulls dal 2004 al 2014, Cleveland Cavaliers e Miami Heats (2014 – 2016), Los Angeles Lakers (2016 – 2018), naturalizzato inglese, che ha chiuso la carriera nel 2018 con i Minnesota Timberwolves.
Come dire una vita in NBA, che nel 2007 gli ha attribuito l’NBA Sportsmanship Award per la sportività mostrata in campo.
A novembre 2019, Deng viene eletto presidente della Federazione cestistica del Sudan del Sud, riconosciuta dalla FIBA nel dicembre 2013 come 54ª federazione aderente alla FIBA Africa.
A novembre 2020, Luol Deng diventa allenatore della nazionale di pallacanestro del Sudan del Sud per le qualificazioni al campionato africano del 2021.
La squadra sudsudanese, però, gioca sempre in trasferta perché il suo Paese, martoriato com’è da anni di guerra civile, non ha strutture sportive. Tra i suoi giocatori – che vivono tutti all’estero – ci sono quattro orfani di guerra mentre altri due sono nati in campi profughi in Kenya.
Ed è ad Alessandria D’Egitto che il Sudan del Sud stacca con ampio anticipo il biglietto per i Mondiali di Basket, spinto da un incontenibile Nuni Omot, chiudendo le qualificazioni mondiali con nove vittorie in dieci partite disputate.
Il quintetto più motivato del mondo non è stato fermato nemmeno quando i Brooklyn Nets hanno impedito il doppio ruolo al loro attuale allenatore Royal Ivey, anch’egli ex giocatore NBA e assistant coach a Brooklyn.
Pensate si siano fermati? Ivey ha ceduto il posto di coach della nazionale sudsudanese nientemeno che al presidente della federazione, quel tale Luol Deng di cui si parlava prima.
Chiamando in causa Nietzsche, “ciò che non ti uccide ti rende più forte“. Come dire che la resilienza, ovvero la capacità di adattarsi positivamente a traumi, avversità, tragedie, minacce o anche fonti importanti di stress è la prima caratteristica di questo magic team.
Inutile dire che il popolo del Sudan del Sud è letteralmente impazzito di gioia. In nome del basket un Paese intero ha provato quel senso di appartenenza che solo lo sport può donare. Un po’ come il rugby e Nelson Mandela, o la nazionale di bob giamaicana.
Sudan del Sud: la gioia passa per una palla arancione
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— South Sudan Basketball (@SSBFed) February 24, 2023
cricol
Grazie a La Giornata Tipo per aver segnalato per prima questa bellissima storia di sport e di vita.
Credits foto copertina FIBA